Rifiuti elettronici: un diritto del consumatore poco conosciuto - U.Di.Con Unione per la Difesa dei Consumatori

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In Italia milioni di piccoli dispositivi come cavi, caricabatterie, auricolari, frullatori, tostapane, mouse, bollitori, adattatori, finiscono ancora nel cassetto, in cantina o nell’indifferenziata. Non perché manchino gli strumenti per smaltirli correttamente ma perché quasi nessuno conosce un diritto semplice: i negozi devono ritirare gratuitamente il vecchio dispositivo, anche senza acquistarne uno nuovo, se di piccole dimensioni e se il punto vendita supera i 400 mq. È il cosiddetto 1 contro 0, previsto dal D.Lgs. 49/2014. Esiste poi l’1 contro 1, se compro un prodotto nuovo, posso consegnare quello equivalente usato in cambio, senza costi.

Sulla carta un meccanismo utile, rapido, comodo. Nei fatti, solo una minoranza lo utilizza. Secondo una recente ricerca realizzata da Ipsos per il Centro di Coordinamento RAEE, solo il 12% dei cittadini conosce e sfrutta davvero questa possibilità. Un dato troppo basso per un Paese che dovrebbe raccogliere il 65% dei rifiuti elettronici e invece resta intorno al 30%.

Il paradosso è evidente: comprare elettronica è la norma, smaltirla correttamente l’eccezione. Il 91% degli intervistati ha acquistato almeno un dispositivo negli ultimi 12 mesi, spesso più di uno. Il ricambio è rapido, ma il rientro nel ciclo produttivo è lentissimo. Eppure quei piccoli oggetti contengono materiali preziosi come metalli rari, componenti riciclabili, plastiche riutilizzabili che, se non recuperati, finiscono dispersi come rifiuti irreversibili.

Perché il sistema non funziona come dovrebbe?

La risposta più probabile è una: manca informazione.

Per anni la comunicazione sul riciclo è stata frammentata tra Comuni e negozi, con risultati molto disomogenei. Solo dal 2024 i produttori sono obbligati a investire in attività di sensibilizzazione destinate ai consumatori: una spinta che potrebbe finalmente colmare il divario informativo, ma che ad oggi richiede ancora tempo per diventare reale consapevolezza.

Eppure i vantaggi non sono solo ambientali. Per i rivenditori, grande distribuzione compresa, la gestione dei RAEE può trasformarsi in un’opportunità economica: il conferimento di grandi volumi viene incentivato con contributi crescenti, che in alcuni casi possono generare ricavi significativi. Un circuito virtuoso possibile, ma che funziona solo se le persone iniziano a portare in negozio ciò che oggi resta inutilizzato nelle case.

Servizi comodi ma poco usati

Oltre ai punti vendita, molti Comuni offrono anche ritiro a domicilio insieme agli ingombranti. E per i grandi elettrodomestici acquistati online, il ritiro contestuale del vecchio apparecchio è già obbligatorio. Insomma, le alternative esistono: il problema è che quasi nessuno le conosce o le utilizza.

Buttare un vecchio frullatore nel sacco grigio è facile. Riportarlo al negozio lo sarebbe altrettanto, ma non ci ricordiamo di poterlo fare.

La prospettiva: dal rifiuto alla risorsa

L’Europa ha fissato un obiettivo ambizioso: entro il 2030, almeno il 25% delle materie prime critiche usate nella produzione dovrà arrivare da riciclo. Oggi gli impianti possono recuperare fino al 95% dei materiali contenuti nei dispositivi elettronici. Tradotto vuol dire, ciò che chiamiamo scarto potrebbe diventare materia prima, ridurre importazioni e sprechi, generare valore.

Se resta in un cantina o finisce nell’indifferenziata, però, è una ricchezza bruciata.

Fonte: CdS

Foto: Canva – Getty Images

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