A inizio 2025 a Perugia abbiamo condiviso un percorso di Sentie(Ri)Generativi insieme agli amici di PEFC e ad altre realtà con cui abbiamo subito riconosciuto una sorta di “affinità generativa”. Fra queste realtà c’era l’agenzia Sustenia, rappresentata da Vittorio Pentimalli, uno dei co-fondatori. Gli abbiamo chiesto di raccontarci Sustenia.
Com’è nata Sustenia?
Personalmente ho cominciato ad avvicinarmi ai temi della sostenibilità intorno al 2006–2007; in quegli anni lavoravo ancora nelle ricerche di mercato ed ero comproprietario e presidente di un istituto di ricerche. Ma quelli erano anche gli anni in cui quel mondo è rapidamente cambiato e poco anni dopo si è chiuso lo spazio per gli istituti medio piccoli, seppure di qualità. Nel frattempo avevo conosciuto Filippo Sciacca che dopo un passato nel marketing di grandi multinazionali aveva abbracciato lo sviluppo sostenibile come scelta di vita. Nel 2019, insieme, abbiamo dato vita a Sustenia.
Qual è la missione di Sustenia?
Sustenia nasce per realizzare operazioni di “marketing sostenibile” che portino notorietà e aumentino la reputazione delle aziende che le implementano. Ci rivolgiamo primariamente ad aziende grandi e business-to-consumer. La discriminante è che queste operazioni devono portare valore anche agli stakeholder e ai territori. Oggi le aziende sanno di doversi mostrare corrette, sostenibili, e capiscono il valore intrinseco di queste operazioni. La sfida è integrarle nelle logiche aziendali, trovando in azienda la volontà e i budget necessari a implementarle.
C’è una ricetta per vincere questa sfida?
Una ricetta unica non c’è. Dipende dall’interlocutore che si ha di fronte e dai varchi che lascia aperti. Perché è nella relazione con l’interlocutore che la ricetta prende forma. Non è difficile trovare chi dice “bello!” alle nostre proposte. Il difficile sta nel trovare il concept, l’intuizione che permette di inserirsi in quei varchi con modalità che siano nelle corde dell’azienda. In un caso, ad esempio, una nota azienda alimentare ci aveva fatto i complimenti lasciando però intendere che cercava altro. Siamo comunque riusciti ad approfondire il discorso con una persona che in azienda aveva intuito le potenzialità del nostro approccio e ci aveva aperto un varco. Dal confronto è scaturita l’idea: raccontare la filiera di produzione, legata agli ingredienti principali che quest’azienda utilizza e caratterizzata obiettivamente da elementi sociali e ambientali virtuosi, attraverso un’iniziativa nelle scuole. Ci sono casi, invece, dove le aziende hanno già idee progettuali chiare. Allora bisogna saperle aiutare a metterle a terra. In altri casi ancora, c’è l’azienda di non grandi dimensioni che deve elaborare una strategia in coerenza con quella della casa madre: qui, attivando le competenze adeguate in un’attività che noi definiamo di supporto allo sviluppo sostenibile, e che rivolgiamo in particolare alle Pmi, bisogna accompagnare l’azienda a sviluppare una strategia che sia allo stesso tempo distintiva e coerente con la capogruppo. Parlando con molte Pmi ci siamo resi conto che spesso fanno cose interessanti sulla sostenibilità, ma in ordine sparso, su temi distanti, senza visione strategica. Anche perché diversi imprenditori hanno due ostacoli ad approcciare la sostenibilità: la vedono come un intralcio al business; e in ogni caso temono di non riuscire a padroneggiarne la complessità. Alla base di tutto, però, ci deve essere l’onestà.
In che senso l’onestà è centrale?
Noi non siamo, e lo diciamo chiaramente, dei tuttologi della sostenibilità. Anzi, invito a diffidare di chi dovesse presentarsi così. Perché la sostenibilità è un universo di temi. Onestà allora significa ad esempio che una volta compresa l’esigenza dell’azienda, abbiamo da un lato l’umiltà e dall’altro la capacità di individuare nel nostro network di conoscenze e collaborazioni, le professionalità verticali più coerenti con i progetti. Network che è molto ampio, grazie soprattutto all’impegno profuso in tal senso da Filippo. Onestà significa anche che non accettiamo incarichi che non ci convincono, quando abbiamo la sensazione che si sconfini nel greenwashing. Se ad esempio un’azienda investe nella comunicazione di un progetto molto più di quello che investe nel progetto stesso, non ci convince. Onestà è anche essere apertie anzi orientati all’ascolto. Che è parte essenziale di un percorso verso la sostenibilità che definirei quasi psicanalitico. Ascoltiamo la proprietà e il management aziendali per fotografare lo stato dell’arte della sostenibilità in azienda. E poi iniziamo a ripulire, affinare il pensiero strategico. Per arrivare al cuore degli obiettivi da raggiungere con un documento che chiamiamo “Manifesto degli Intenti”, nel quale l’azienda s’impegna pubblicamente a fare determinate cose in vista di certi obiettivi e lo racconta ai suoi stakeholder. È un processo, quindi, che non propone modelli predefiniti o soluzioni chiavi in mano, ma si costruisce in modo sartoriale attorno alla singola azienda. Spesso, inoltre, sfocia in iniziative che hanno elementi importanti di generatività, che ovviamente, avendovi conosciuto nelle giornate di Perugia, so bene essere un pilastro dell’attività di (RI)GENERIAMO.
La generatività certamente è al cuore del nostro modello di business. Può farci un esempio di iniziative generative a cui avete lavorato?
Per soddisfare le esigenze di una grossa azienda alimentare, abbiamo costruito una Academy, che aggregava e faceva dialogare docenti universitari e rappresentanti di aziende della filiera del settore. L’obiettivo era esplorare come il settore stava vivendo certe problematiche. Queste esperienze sono confluite in un “Manifesto della produzione olivicola sostenibile” che è diventato patrimonio comune dell’intero settore.L’Academy, inoltre, continua a essere attiva attraverso webinar su temi d’interesse comune aperti a tutti. Del resto, se cerchiamo di diventare una società migliore, la condivisione di conoscenze e buone pratiche è una strada obbligata da percorrere. In una prospettiva, appunto, generativa.
Crede che la sostenibilità sia destinata a evolvere in senso generativo?
Siamo in una fase di grande sconcerto. In Europa abbiamo vissuto prima un eccesso di burocrazia della sostenibilità, a mio avviso frettoloso e ispirato a logiche un po’ miopi di autolegittimazione. Poi ci si è resi conto di aver complicato in modo assurdo le cose e si è fatta parziale marcia indietro. Oggi servirebbe un approccio pragmatico, capace di incidere effettivamente nel senso della sostenibilità, unito a un monitoraggio costante dei rapidissimi progressi tecnologici in atto in molteplici ambiti. A livello teorico ritengo validi oltre che affascinanti gli spunti offerti dalla filosofia dell’impatto sociale, dall’economia generativa e dall’economia vegetale (tema quest’ultimo di cui il presidente di (RI)GENERIAMO ha scritto su Notizie.it, ndr). Ma c’è il rischio che restino lontani dalle logiche che guidano le imprese. Occorre un passaggio intermedio che metta in condizione gli imprenditori di integrare quei concetti in strategie, operazioni, processiconcreti. Credo che vostri progetti come I FormidAbili o l’Energia del Bosco vadano in quella direzione.
Ha un messaggio nella bottiglia da lanciare?
Forse sarebbe successo anche senza la pandemia, ma la pandemia ha costituito un punto di passaggio tra un prima e un dopo. In questo “dopo” c’è una fortissima radicalizzazione, il dialogo sembra scomparso. Dobbiamo assolutamente riprendere a dialogare, anche da punti di vista lontani. Perché il dialogo è una pre-condizione per qualsiasi discorso sul vivere civile e quindi anche sullo sviluppo sostenibile.
(Nelle immagini Vittorio Pentimalli con Filippo Sciacca, Ceo di Sustenia, e Daria D’Angelo, Sustainability Client Director)