Annalisa Oliveti, infermiera e coordinatrice clinica di Operation Smile

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Sono volontaria di Operation Smile dal 2008, inizialmente come Infermiera in anestesia e sala risveglio. Da circa dieci anni ricopro il ruolo di Coordinatrice Clinica Infermieristica.

In questi anni ho partecipato a circa 30 programmi chirurgici, l’ultimo proprio qualche settimana a Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo. Oggi il mio ruolo è principalmente organizzativo e gestionale: coordino il team chirurgico, in particolare quello infermieristico, prima e durante l’intera durata del programma. Inoltre, da alcuni anni mi occupo anche di formare le coordinatrici cliniche locali, un passaggio fondamentale per la continuità delle cure e per rafforzare i sistemi sanitari locali.

Ricordo bene il primo programma a cui ho preso parte: è stato nel maggio del 2008 in Giordania, eravamo un team internazionale piuttosto numeroso. Abbiamo svolto tanti interventi e, grazie alla collaborazione con un’organizzazione locale, siamo riusciti a far arrivare molti bambini dalla Palestina con le loro famiglie. Ogni aspetto del programma, dal trasporto alla cura post-operatoria, è stato possibile grazie a un lavoro di squadra tra persone, culture e competenze diverse. È lì che ho iniziato a capire davvero la forza di un lavoro di rete, fatto di rispetto e fiducia reciproci.

Ma è il secondo programma a cui ho partecipato ad avermi lasciato un segno profondo. Eravamo in un piccolo ospedale, con risorse limitate ma con un’accoglienza autentica, fatta di sorrisi, gentilezza e una grande voglia di collaborare. In quel contesto ho compreso, più che altrove, che anche il più semplice gesto può diventare significativo. Quando ci si incontra sul piano dell’umanità, la cura va oltre l’aspetto clinico: diventa relazione, ascolto, fiducia. E lascia tracce in chi la offre, oltre che in chi la riceve.

Annalisa durante un programma chirurgico in Perù

Le emozioni più intense tornano sempre, in ogni programma chirurgico, soprattutto durante lo screening iniziale. Centinaia di famiglie si presentano con i loro bambini, spesso dopo viaggi lunghi e impegnativi. Restano in fila con la speranza che un intervento possa cambiare il destino dei propri figli. Purtroppo, non riusciamo sempre a operare tutti. Per questo abbiamo messo a punto criteri di priorità basati sulla gravità delle patologie, per stabilire in modo equo le liste operatorie. I bambini che non riusciamo a trattare subito vengono inseriti in liste di attesa gestite dalle nostre fondazioni locali, con la promessa concreta di essere richiamati ai nostri prossimi programmi. Ma il momento in cui dobbiamo dire “non ora” resta il più difficile… ed è anche quella che ogni volta mi spinge a ripartire.

Ricordo ancora la storia di una bambina che stava seduta in disparte con la mamma alla fine di una giornata di screening durante un programma chirurgico a Cebu, nelle Filippine: aveva una schisi facciale molto grave, che non abbiamo potuto trattare durante il programma in corso. Non poterla aiutare subito mi ha lasciato un nodo dentro. Ma una delle responsabili del programma si è subito attivata per cercare una soluzione, coinvolgendo le fondazioni locali di altri Paesi in cui Operation Smile è presente e, qualche mese dopo, ho saputo che la bambina era stata operata con successo.

Un’altra storia che mi è rimasta nel cuore è quella di una piccola paziente che aveva circa 10 anni quando si è presentata al programma chirurgico con la madre per essere sottoposta all’intervento chirurgico riparativo per la sua labioschisi. Ricordo che era stata proprio la bambina a volere l’intervento, mentre la madre, per paura, aveva rinunciato anni prima. Il giorno in cui la piccola è stata operata, la madre ha pianto fino a quando la bimba è entrata in sala operatoria. Poi, però, quando sono andata a trovarle nel post-operatorio, ho visto negli occhi della donna un sollievo profondo, commozione e gratitudine e in quelli della bambina una grande gioia.

L’impatto dei nostri programmi va oltre l’intervento chirurgico. Offriamo anche cure in ambiti come la nutrizione, l’ortodonzia, la psicologia, la pediatria. Ogni intervento è pensato come parte di un percorso più ampio di cura e accompagnamento.

E poi c’è l’impatto umano e sociale, che è il più profondo: restituire fiducia, speranza, prospettive per il futuro. Costruire legami tra persone che parlano lingue diverse, hanno culture diverse, ma condividono la stessa volontà di costruire qualcosa insieme. Creare spazi di scambio professionale, dove ogni esperienza è valorizzata e ogni competenza messa in circolo.

Annalisa durante un programma chirurgico in Repubblica Democratica del Congo

Quando partecipo ai programmi, non è una singola storia a colpirmi, ma il modo in cui riusciamo, passo dopo passo, ad avvicinarci alle realtà sanitarie locali e a favorire un cambiamento positivo. Il modo in cui riusciamo a portare cure gratuite dove servono, formare i colleghi locali, condividere conoscenze e visioni. Il modo in cui promuoviamo il diritto alla salute universale. 

Recapiti
Francesco Casati