Vicini anche in corsia: il valore degli animali da affezione nella cura

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Esperienze regionali e prospettive sull’accesso degli animali nelle strutture sanitarie e sociosanitarie

Il rapporto tra salute, benessere e presenza degli animali da affezione nelle strutture sanitarie e sociosanitarie rappresenta un ambito di crescente interesse in Italia, dove negli ultimi anni si sono sviluppate nuove pratiche e normative in materia. Un cambiamento che nasce non solo dalla richiesta affettiva dei pazienti, ma anche da evidenze che ne mostrano i benefici sul piano psicologico e fisico.

GLI EFFETTI POSITIVI DELLA PRESENZA ANIMALE 

La ragione principale di questa apertura consiste nel riconoscere che la salute non è soltanto assenza di malattia, ma include anche il benessere fisico, mentale e sociale. Il contatto con l’animale familiare rappresenta una fonte di conforto emotivo e di continuità affettiva, elementi particolarmente preziosi per i pazienti ricoverati, in special modo per anziani, bambini o persone costrette a una lunga degenza.

Permettere la visita dell’animale può contribuire a ridurre il senso di solitudine, a favorire il recupero emotivo e a rendere l’esperienza della degenza meno alienante. In molti casi, la presenza dell’animale di affezione stimola la socialità, sostiene la motivazione alla cura e rafforza il legame con la vita quotidiana, diventando parte integrante del percorso di benessere complessivo.

UN QUADRO NORMATIVO ANCORA FRAMMENTATO

Nonostante la crescente attenzione verso il benessere psicofisico dei pazienti e l’importanza della relazione uomo-animale, a livello nazionale non esiste ancora una normativa organica che disciplini in modo uniforme l’accesso degli animali da compagnia alle strutture sanitarie, ospedaliere o sociosanitarie.

Attualmente, il riferimento principale resta la normativa regionale, che interviene a colmare il vuoto legislativo con regolamenti e delibere specifiche. Questa frammentazione comporta però una forte disomogeneità territoriale, con differenze significative tra le Regioni sia in termini di requisiti igienico-sanitari, sia di procedure autorizzative o di tipologie di animali ammessi.

In questo contesto, sono le Regioni a esercitare un ruolo pionieristico, sperimentando modelli e protocolli operativi. In Lombardia, ad esempio, il Regolamento Regionale 13 aprile 2017, n. 2 (artt. 22 e 23) stabilisce che l’accesso degli animali d’affezione alle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private accreditate “avviene, ove consentito dalle medesime strutture, nei limiti e secondo le condizioni stabilite dalle strutture stesse, in base alla valutazione dei rischi, delle caratteristiche dei locali e degli spazi comuni e dello stato in cui si trovano gli ospiti o i pazienti”.

In Toscana, la Giunta regionale ha approvato delle Linee Guida (Delibera n. 319 del 17‑03‑2025) che prevedono l’ingresso dei cani, gatti e altri animali da affezione nelle strutture sanitarie, cliniche convenzionate e RSA, se iscritti all’anagrafe degli animali d’affezione e a fronte del rispetto di requisiti ben definiti (certificato veterinario, condizioni igienico‑sanitarie, polizza assicurativa).

Allo stesso modo, la regione Lazio, con Decreto del Commissario ad Acta n. U00486 del 07/12/2018, ha emanato le Linee di indirizzo per l’accesso di animali d’affezione in visita a pazienti ricoverati presso strutture sanitarie e ospedaliere pubbliche e private accreditate rinviando poi ad appositi Regolamenti interni delle strutture stesse, la determinazione delle specifiche procedure di accesso.

Altre Regioni – come Emilia-Romagna, Piemonte, Calabria e Veneto – hanno adottato delibere simili, prevedendo modalità di accesso regolamentate, requisiti igienico-sanitari, aree dedicate e, in alcuni casi, la possibilità di ingresso per attività di pet therapy certificate.

Questa varietà di approcci dimostra una crescente apertura culturale e istituzionale, ma evidenzia al tempo stesso la necessità di un intervento legislativo nazionale che armonizzi le disposizioni regionali, garantendo criteri uniformi di sicurezza, igiene e tutela del benessere di persone e animali. In assenza di una normativa nazionale uniforme, le Regioni continuano a definire autonomamente le regole per l’accesso degli animali da affezione alle strutture sanitarie, spesso demandando ai regolamenti interni la gestione operativa. Pur nella varietà delle disposizioni, emerge un intento condiviso: tutelare la salute pubblica valorizzando al contempo il ruolo terapeutico della relazione uomo-animale.

Pur nella diversità dei modelli regionali, si possono individuare alcuni elementi ricorrenti, che costituiscono una sorta di riferimento generale. In molte Regioni è previsto, ad esempio, che l’animale sia identificato e iscritto all’anagrafe degli animali da affezione, nonché coperto da una polizza assicurativa. L’accesso avviene solo previa autorizzazione della struttura, in orari e con modalità prestabilite, e attraverso percorsi dedicati.

Le strutture possono inoltre individuare reparti o aree in cui l’ingresso non è consentito, come terapia intensiva, oncologia o neonatologia, per motivi di sicurezza e tutela igienico-sanitaria. Alcune Regioni prevedono anche l’obbligo di formazione del personale sanitario, affinché sia in grado di gestire correttamente la presenza dell’animale e di garantire il rispetto delle norme igieniche e comportamentali.

Nel complesso, queste disposizioni mirano a bilanciare la dimensione affettiva e relazionale della presenza animale con la necessità di garantire la sicurezza, l’igiene e il benessere collettivo, offrendo così un quadro regolamentare coerente ma flessibile, modellato sulle esigenze dei diversi contesti regionali.

SFIDE E PROSPETTIVE FUTURE

Nonostante il crescente interesse e impegno verso l’apertura delle strutture sanitarie agli animali da affezione, permangono alcune criticità che rendono complessa un’applicazione uniforme dell’accesso degli animali da affezione nelle strutture sanitarie. La principale riguarda l’eterogeneità normativa, poiché la disciplina regionale genera inevitabili differenze tra territori.

A ciò si aggiungono difficoltà organizzative e logistiche: predisporre spazi idonei, percorsi dedicati e momenti formativi per il personale richiede risorse, pianificazione e un cambiamento nella gestione interna delle strutture. A questo si aggiunge la necessità di un cambiamento culturale: non tutte le strutture mostrano la stessa disponibilità o sensibilità verso il tema, e in assenza di linee guida nazionali alcune esperienze potrebbero restare isolate o dipendere dalla buona volontà delle singole amministrazioni.

Per superare tali ostacoli, è necessario promuovere una visione nazionale condivisa, attraverso linee guida comuni, lo scambio di buone pratiche e monitoraggio dei risultati. Le esperienze già maturate in diverse Regioni costituiscono una base solida su cui costruire un modello più omogeneo, in cui la sanità del futuro possa integrare in modo stabile e umano il legame tra paziente, famiglia e animali d’affezione.

Recapiti
info@osservatoriomalattierare.it (Roberta Venturi)