Una narrazione di parte
Nell’Europa di fine Ottocento, in pieno imperialismo, iniziarono a fiorire falsi miti e racconti leggendari sull’Africa e sulle sue popolazioni.
Del resto si trattava di un continente ancora in gran parte sconosciuto, soprattutto nei suoi territori più interni. Solamente alcune recenti esplorazioni, come quelle compiute da David Livingstone tra il 1841 e 1864, avevano cominciato a far luce su regioni pressoché ignote agli europei.
Negli ultimi decenni del secolo, le notizie sull’Africa iniziarono ad arrivare in Europa attraverso le parole e i resoconti di esploratori, missionari e viaggiatori. Racconti, libri illustrati, guide turistiche: a partire da queste testimonianze gli abitanti Vecchio Continente si fecero una loro idea di Africa. Ma si trattava inevitabilmente di ricostruzioni di parte, presentate solo dal punto di vista occidentale, e che dipingevano un quadro deformato.
Si creò insomma una sorta di Africa “inventata”, non reale, raccontata da chi non voleva o non riusciva a comprendere culture, tradizioni e modi di vivere diversi da quelli europei.
Una giustificazione dell’imperialismo
Dopo la fase iniziale delle esplorazioni avvenne poi un fatto quasi paradossale: con il passare del tempo, più la colonizzazione procedeva, più l’Africa veniva descritta in modo approssimativo e veniva presentata come una terra immobile e selvaggia, incivile: in poche parole una terra che aveva bisogno del soccorso dell’uomo bianco per essere civilizzata.
C’era la necessità di giustificare l’imperialismo, presentandolo all’opinione pubblica europea come un atto di filantropia verso popolazioni “primitive”, da educare al viver civile.
E fu così che prese forma un immaginario collettivo fondato su stereotipi riproposti in continuazione.
Una sequela di stereotipi
Veniamo dunque ad alcuni di questi stereotipi. L’Africa venne innanzitutto presentata come un luogo primitivo e misterioso, abitato da popoli selvaggi e animali feroci. Una specie di grande parco in cui gli occidentali, forti della propria superiorità tecnologica, potessero vivere incredibili avventure, sulle tracce dei grandi esploratori. Fu questa la rappresentazione più romantica e – se vogliamo – anche più ingenua.
L’Africa fu poi descritta come un continente “senza storia”, come se prima dell’arrivo degli europei quasi non fosse esistita. Grandi imperi come quelli sorti nei secoli precedenti in Mali, in Congo, in Etiopia, o come quello dei Songhai lungo il corso del Niger, vennero di fatto cancellati con un colpo di spugna della memoria, insieme al loro ricchissimo patrimonio culturale e politico. Del resto, per gli occidentali era più semplice giustificare la civilizzazione di un popolo senza storia…
Un altro tratto delle narrazioni europee sull’Africa era quello di descrivere l’intero continente come una sola e grande entità indistinta. Migliaia di etnie, differenze geografiche, culturali, linguistiche vennero semplicemente ignorate.
Del resto, sempre secondo l’ideologia occidentale dell’epoca, gli africani erano poco più che bambini da istruire. Anzi, peggio: erano schiavi della loro stessa ignoranza. E agli europei spettava il nobile compito di liberarli da questa schiavitù. Incredibile, ma vero: proprio gli europei che per secoli avevano sostenuto la tratta atlantica degli schiavi, adesso parlavano di liberazione dalla schiavitù. E non importa poi se alla fine dell’Ottocento introdussero loro stessi una ben più feroce schiavitù, quella dei lavori forzati in Africa. Basti pensare al feroce sfruttamento dei popoli del Congo da parte del Belgio di Leopoldo II nell’estrazione del caucciù.
Un altro stereotipo, fortemente sostenuto anche dall’Italia si fondava sul fatto che l’Africa fosse un grande territorio “vuoto” e spopolato, e quindi da colonizzare al fine di ripopolarlo. Insomma, una colonizzazione dipinta come gestione delle dinamiche demografiche.
Immagini utili agli Stati europei
L’Africa primitiva e misteriosa, l’Africa senza storia, l’Africa di tribù arretrate, schiave della loro ignoranza e delle loro superstizioni. L’Africa dei popoli bisognosi di liberatori, in attesa di qualcuno capace di condurli alla civiltà, cioè l’uomo bianco ed europeo.
Sono tutte rappresentazioni di parte e molto poco veritiere, che però si diffusero rapidamente nell’Europa positivista di fine Ottocento, euforica per le proprie conquiste scientifiche, e convinta della propria superiorità. Rappresentazioni che si rivelarono efficaci nel fornire motivazioni “nobili” ai progetti imperialisti degli Stati.