Nel 2026 il turismo non cambierà per moda, ma per necessità. Dalla AI ai flussi, fino alla pressione sui residenti, ecco cosa succederà.
Il turismo nel 2026 non cambierà perché lo dicono i trend. Cambierà perché il modello attuale sta mostrando, in modo sempre più evidente, i suoi limiti strutturali. Non parlo di crisi, ma di frizioni. Tra chi viaggia e chi abita i luoghi, tra chi prende decisioni e chi le subisce, tra chi punta solo sui numeri e chi inizia a chiedersi che prezzo stiamo pagando per quei numeri.
Il 2025 è stato un anno di piena. Piena di presenze, di flussi, di record, ma anche di tensioni. E quando le tensioni aumentano, significa che il sistema non è più in equilibrio. Il 2026 sarà l’anno in cui questo squilibrio smetterà di essere un tema da convegni e diventerà una questione operativa.
A Napoli, durante la processione dell’Immacolata l’8 dicembre, tra le preghiere se ne è alzata una molto chiara. «O Vergine Maria, liberaci da overtourism, veleni e grandi navi» non è solo folclore, è il segnale che il tema è entrato nella vita quotidiana delle persone. Nel 2026 non sarà una battaglia contro il turismo, ma contro l’idea che i residenti siano sacrificabili.
In Visit Italy lo diciamo da anni, un turista felice nasce solo in un luogo dove chi ci vive è felice. E nei prossimi paragrafi provo a mettere in fila cinque punti precisi, cinque cambiamenti concreti che vedremo nel turismo nel 2026.
1. Cambierà il modo in cui si sceglie una destinazione
Non sarà più solo una questione di dove, sarà sempre più una questione di perché. La tecnologia non farà che accelerare questo processo attraverso algoritmi, intelligenza artificiale, suggerimenti predittivi. Tutto spingerà verso una selezione sempre più personalizzata, ma il vero cambiamento sarà culturale.
L’intelligenza artificiale sta già entrando nella pianificazione dei viaggi. Nel 2025 il 29% degli italiani l’ha usata per organizzare le vacanze, soprattutto Gen Z e Millennials. È un dato che sta crescendo rapidamente in Italia ed all’estero e che ci dice una cosa semplice. Il viaggio, sempre più spesso, inizierà da una conversazione con un algoritmo.
Le persone iniziano a non voler più “andare ovunque”. Iniziano a voler andare nel posto giusto per quel momento della loro vita. Il turismo del 2026 sarà meno aspirazionale e più coerente con lo stato emotivo, mentale, fisico di chi parte. Questo favorirà le destinazioni che hanno un’identità chiara e penalizzerà quelle che continuano a proporsi come generiche.
Non si vincerà più dicendo “venite qui perché abbiamo tutto”. Si vincerà dicendo “se ci scegliete, noi siamo questo”. E vincerà soprattutto chi saprà farsi intercettare e suggerire dalle AI come risposta coerente a un bisogno specifico.
2. La concentrazione dei flussi non potrà più essere ignorata
Oggi una parte enorme del turismo si concentra su una percentuale minima del territorio. Non è solo un problema di sovraffollamento, è un problema di qualità dell’esperienza, di tenuta sociale, di sostenibilità economica. Nel report “Benvenuti nella Checklist Era” con cui a settembre 2025 abbiamo fotografato l’estate è emerso un dato molto chiaro. Il 64% dei visitatori ha dichiarato di aver incontrato fenomeni di overtourism durante il proprio viaggio in Italia.
Nel 2026 questo nodo arriverà al pettine in modo definitivo.
I luoghi simbolo continueranno a essere visitati, nessuno scomparirà dalle mappe, ma sarà sempre più evidente che non possono sostenere tutto da soli. E sarà sempre più difficile raccontare come successo ciò che, per chi vive in quei posti, è diventato una forma di pressione continua.
In parallelo crescerà lo spazio per il resto del Paese. Non per caso, ma perché una parte dei viaggiatori inizierà a cercare in modo deliberato alternative più vivibili, meno sature, più accessibili dal punto di vista umano prima ancora che economico.
Le destinazioni che sapranno farsi trovare e lavoreranno per posizionarsi come alternativa concreta, intercetteranno questa domanda. Lo stiamo già vedendo in luoghi come Arezzo, Tropea, il nord Sardegna. Ed è lo stesso motivo per cui città come Genova o L’Aquila Capitale della Cultura 2026 hanno deciso di iniziare a costruire una narrazione diversa insieme a noi.
Il 2026 non sarà l’anno della fuga dai grandi poli, sarà l’anno in cui l’alternativa diventerà sempre più credibile.
3. Il rapporto tra turisti e residenti cambierà definitivamente
Per decenni abbiamo misurato il successo turistico guardando quasi esclusivamente ai visitatori. Arrivi, presenze, spesa media… tutto legittimo, ma incompleto. Nel 2026 diventerà evidente che senza il benessere dei lifers, coloro che vivono davvero i luoghi, quei numeri iniziano a perdere significato.
Un luogo può anche essere pieno, ma se è esausto, arrabbiato, svuotato di funzioni quotidiane, l’esperienza che restituisce si impoverisce. E questo, nel tempo, si riflette anche sulla domanda turistica. Non immediatamente, ma in modo progressivo, come è già successo in altre destinazioni d’Europa.
Il 2026 sarà l’anno in cui questa relazione verrà finalmente letta per quello che è. Una relazione di equilibrio, non di subordinazione. Non si protegge la qualità della vita “nonostante” il turismo, la si protegge perché senza quella qualità il turismo stesso si indebolisce.
4. Improvvisare non sarà più possibile
Per molti anni la promozione territoriale è stata trattata come una somma di azioni messe in fila. Un evento, una campagna in tv, un influencer, lo stand in fiera. Nel 2026 questo approccio mostrerà tutti i suoi limiti. Non perché comunicare non serva più, ma perché comunicare senza una strategia di lungo periodo, senza un disegno chiaro, senza un percorso coerente non è più sufficiente.
Le destinazioni con cui stiamo lavorando oggi su identità, posizionamento, coerenza narrativa e direzione entreranno nel 2026 con un vantaggio competitivo reale. Le altre saranno costrette a inseguire. E inseguire, in un mercato sempre più complesso, è la posizione peggiore in cui trovarsi.
5. Il 2026 non sarà un punto di arrivo, sarà uno spartiacque
Il turismo non sta andando verso una crisi, sta entrando in una fase di maturità forzata. Nel 2026 non capiremo tutto, ma capiremo se abbiamo davvero iniziato a cambiare direzione o se stiamo solo adattando il linguaggio senza modificare il modello.
Se continueremo a chiamare successo qualsiasi aumento di arrivi, anche in mete sature, allora non sarà cambiato nulla. Se inizieremo a mettere sullo stesso piano numeri e benessere di chi vive nelle destinazioni, allora potremo dire che il cambiamento è iniziato sul serio.
Ruben Santopietrohttp://www.rubensantopietro.com
Imprenditore e CEO di Visit Italy, piattaforma culturale indipendente che racconta l’Italia lontano dai riflettori. Da anni lavora nel marketing territoriale, accompagnando destinazioni e comunità a costruire nuove narrazioni. È stato intervistato da BBC, CNN e Skift come una delle voci italiane più autorevoli sul turismo. Nel tempo libero coltiva la passione per l’arte, le due ruote e l’esplorazione dei luoghi più affascinanti del mondo.