Gli esperti Mara Cananzi e Luca Fabris illustrano le difficoltà della transizione dalle cure pediatriche a quelle dell'adulto e le soluzioni adottate dall'Ospedale di Padova
La sindrome di Alagille è una malattia genetica rara, a trasmissione autosomica dominante, caratterizzata da anomalie multisistemiche dovute a difetti nello sviluppo del fegato, del cuore, dei reni, delle ossa, degli occhi e dei vasi arteriosi. Una delle principali peculiarità di questa condizione è la sua marcata variabilità fenotipica, che si manifesta sia nell’eterogeneità degli organi interessati che nell’ampio spettro di gravità con cui ciascun organo può essere coinvolto. Come molte altre malattie genetiche, questa sindrome è comunemente considerata di competenza esclusiva dei pediatri. Tuttavia, dopo l’infanzia, i pazienti necessitano di proseguire le cure con gli specialisti dell’adulto. Inoltre, sebbene meno frequentemente, una parte delle persone con Alagille può ricevere la diagnosi in età adulta, proprio in ragione dell’ampia variabilità fenotipica che caratterizza questa sindrome.
Due mondi, quello delle cure pediatriche e quello delle cure dell'adulto, che si incontrano in un momento decisivo: quello della transizione. Ne abbiamo parlato con due esperti dell'Azienda Ospedale Università di Padova: Mara Cananzi, professoressa associata di Pediatria e responsabile dell'unità di Gastroenterologia, Endoscopia Digestiva, Epatologia e Cura del Bambino con Trapianto di Fegato, e Luca Fabris, professore associato di Gastroenterologia presso il Dipartimento di Medicina e Adjunct Associate Professor presso il Liver Center della Yale University (New Haven, Connecticut), centro di riferimento internazionale per la ricerca traslazionale sulle malattie epatiche rare. I due specialisti, infatti, si dedicano rispettivamente ai pazienti pediatrici e adulti, e lavorano in un'azienda sanitaria dove recentemente è stato introdotto un protocollo che coordina il momento della transizione.
LA SINDROME DI ALAGILLE NEI BAMBINI
Diversi studi hanno dimostrato che la sindrome di Alagille è associata a una significativa riduzione della qualità di vita, sia nei bambini affetti che nei loro genitori o caregiver. Questi piccoli pazienti, infatti, non solo presentano una qualità di vita inferiore rispetto ai coetanei sani, ma anche in confronto ai bambini sottoposti a trapianto di fegato per qualsiasi altra indicazione: tutto ciò a causa fattori clinici, psicologici e sociali che, nel loro insieme, contribuiscono a rendere la gestione di questa rara sindrome particolarmente complessa.
“Dal punto di vista clinico, il prurito rappresenta uno degli aspetti più debilitanti della malattia”, spiega la prof.ssa Mara Cananzi. “Spesso di intensità severa e scarsamente responsivo alle terapie convenzionali, può interferire in modo significativo sul sonno, con ripercussioni sulla capacità di concentrazione e sull’umore. Inoltre, quando persistente, può ostacolare lo svolgimento delle normali attività quotidiane e ridurre le performance scolastiche, limitando la partecipazione del bambino ad attività educative e sociali e contribuendo a un senso di frustrazione e isolamento. Oltre al prurito, la presenza di morbidità croniche, in particolare a livello epatico, cardiologico e renale, comporta la necessità di controlli frequenti e terapie continuative, aumentando il peso della malattia sulla vita del bambino e della famiglia. Nei pazienti con cardiopatia significativa, la ridotta tolleranza allo sforzo può limitare la partecipazione alle attività sportive e ricreative. Infine, in alcuni casi, la malattia epatica può evolvere fino alla necessità di un trapianto di fegato, un percorso che comporta ulteriori sfide, sia dal punto di vista medico che psicologico e familiare”.
“L’impatto della sindrome di Alagille sulla sfera psicologica dei bambini è altrettanto rilevante”, prosegue Cananzi. “Il prurito può generare frustrazione e stress, interferendo con il benessere emotivo e contribuendo allo sviluppo di ansia e depressione. Le anomalie facciali, il deficit di crescita e gli xantomi (lesioni cutanee dovute all’accumulo di colesterolo), insieme ad eventuali cicatrici chirurgiche, possono incidere sull’autopercezione del bambino, accentuando il senso di diversità rispetto ai coetanei. Inoltre, la fatica e le problematiche cardiovascolari possono limitare la partecipazione dei piccoli pazienti alle varie attività tipiche dell’età, rendendo più difficile la socializzazione”.
L'IMPATTO DELLA PATOLOGIA SULLE FAMIGLIE
La sindrome di Alagille ha un impatto significativo non solo sulla vita dei bambini che ne sono affetti, ma anche su quella dell’intera famiglia. “I genitori devono affrontare un percorso complesso, segnato dall’incertezza sull’evoluzione della malattia, dalle numerose visite mediche e dalle decisioni terapeutiche difficili, con un carico emotivo particolarmente elevato”, continua la prof.ssa Cananzi. “Il livello di stress e preoccupazione nei caregiver è spesso molto alto, con conseguenze negative sulla qualità della vita familiare e sulla possibilità di dedicare tempo ad attività extralavorative o di svago. La gestione della malattia può comportare difficoltà lavorative e finanziarie, tanto che fino al 60% dei genitori riporta di aver dovuto modificare la propria attività lavorativa e il 20% di essere stato costretto a lasciare il proprio impiego. La ridotta produttività e le necessità assistenziali determinano spesso un impatto significativo anche sulle relazioni sociali e sul benessere psicologico dei caregiver, che mostrano livelli più elevati di depressione”.
“Nel complesso – sintetizza l’esperta – la sindrome di Alagille compromette profondamente la qualità di vita dei pazienti e delle loro famiglie, influenzando non solo la salute fisica, ma anche il benessere psicologico e la stabilità sociale ed economica. La gestione della malattia richiede quindi un approccio multidisciplinare che tenga conto non solo degli aspetti clinici, ma anche del supporto psicologico e sociale necessario per migliorare la vita di bambini e genitori”.
LE ESIGENZE NON ANCORA SODDISFATTE
Nonostante i progressi nella comprensione e nella gestione della malattia, molte esigenze dei pazienti con Alagille e delle loro famiglie restano ancora insoddisfatte. “In ambito clinico, una delle principali difficoltà riguarda il trattamento del prurito colestatico severo, che rappresenta una delle manifestazioni più debilitanti della malattia”, prosegue la prof.ssa Cananzi. “Per questo sintomo esistono oggi dei nuovi farmaci specifici, i cosiddetti IBAT-inibitori, che bloccano il riassorbimento intestinale degli acidi biliari. Tuttavia, per i pazienti con Alagille che non rispondono in modo adeguato al trattamento resta prioritaria la ricerca di nuove strategie terapeutiche per il controllo il prurito, considerando l’impatto che questo sintomo ha sulla qualità di vita, sul sonno, sulle attività quotidiane e sul benessere psicologico dei bambini”.
“Ad oggi – sottolinea l’esperta – non esiste ancora una terapia eziologica in grado di curare la sindrome di Alagille, né di guarire la malattia epatica ad essa associata. Correggere il difetto molecolare alla base della patologia, ovvero il malfunzionamento del pathway intracellulare JAG1-NOTCH, rappresenterebbe un progresso cruciale per migliorare l’outcome dei pazienti. Sebbene la terapia genica sia un’opzione teoricamente promettente, considerando che la sindrome Alagille è causata da mutazioni nei geni JAG1 o NOTCH2, ad oggi non è stata ancora sperimentata per questa malattia. Tuttavia, recenti studi preclinici hanno dimostrato la fattibilità e l’efficacia della terapia con oligonucleotidi antisenso, aprendo la strada a potenziali applicazioni cliniche di questo approccio”.
“Un’altra criticità – aggiunge Cananzi – è rappresentata dal fatto che la prognosi delle forme lievi di sindrome di Alagille è ancora poco conosciuta, soprattutto riguardo alla progressione della malattia epatica e al rischio di complicanze a lungo termine. Sebbene la colestasi cronica e la fibrosi epatica possano predisporre allo sviluppo di epatocarcinoma, il rischio oncologico in questi pazienti non è ancora ben definito. Inoltre, nelle forme adulte di Alagille il decorso della malattia e l’impatto delle problematiche cardiovascolari restano tuttora incerti, rendendo pertanto necessari ulteriori studi di follow-up a lungo termine: tuttavia, molte persone affette dalla sindrome, soprattutto quelle con forme lievi, non sono diagnosticate o vengono perse al follow-up, aumentando il rischio di una gestione inadeguata della malattia, soprattutto in età adulta”.
LA SINDROME DI ALAGILLE NELL’ADULTO: LE DIFFICOLTÀ DELLA DIAGNOSI
Oggi, circa l’80-90% dei bambini con sindrome di Alagille ha una sopravvivenza che supera i 18 anni di età. Quindi, per un epatologo dell'adulto questa patologia, anche da un punto di vista numerico, non è trascurabile. “È una malattia rara che rientra nel novero delle epatopatie di origine genetica che possono svilupparsi durante l'infanzia o anche più tardivamente”, sottolinea il prof. Luca Fabris. “Se l'esordio avviene in età adulta, la patologia ha degli aspetti molto più sfumati: è meno grave per quanto riguarda la gestione di certe manifestazioni da coinvolgimento d'organo, mentre per altre va attentamente sorvegliata”.
“In età adulta, la sindrome di Alagille può quindi essere più difficile da riconoscere, poiché il corteo sindromico tende ad essere meno evidente”, prosegue Fabris. “Ad esempio, il dismorfismo facciale, caratteristico dei bambini e degli adolescenti affetti, tende ad attenuarsi in età adulta, quando lo sviluppo di una mandibola più quadrata può mitigare il tipico aspetto triangolare del volto. Ciò rende più complesso sospettare la presenza della malattia nei pazienti adulti. Inoltre, negli individui che sono sottoposti a biopsia epatica per un’epatopatia cronica o una colestasi di origine sconosciuta bisogna considerare, oltre alla sindrome di Alagille, anche una serie di altre condizioni caratterizzate da duttopenia, che comprendono le colangiopatie immunomediate (come la colangite biliare primitiva e la colangite sclerosante), diverse patologie genetiche (come la fibrosi cistica e il deficit di alfa-1-antitripsina), o anche un eventuale danno da farmaci, cosa non rara nell'adulto. Anche per quanto riguarda il trattamento, i target sono diversi: nel bambino l'intervento è principalmente orientato alla gestione della colestasi e del prurito; diversamente, nell’adulto l’attenzione si concentra in prevalenza sulla gestione dell’epatopatia cronica e della sua progressione verso l’ipertensione portale”.
LE COMPLICANZE DELLA MALATTIA NEL PAZIENTE ADULTO
“Nella sindrome di Alagille, uno dei problemi che si verificano con maggior frequenza nell'adulto è rappresentato dal rischio di sviluppo di tumore al fegato, e purtroppo non ci sono linee guida per la sorveglianza del carcinoma epatocellulare nelle persone affette dalla malattia”, spiega Fabris. “A livello epatico, inoltre, il paziente può presentare dei noduli rigenerativi, che non sono tumori ma lesioni che si sviluppano probabilmente in risposta a malformazioni vascolari: sono tipiche di questa malattia e le loro dimensioni possono raggiungere i 5 centimetri, ma non richiedono un trattamento chirurgico o altre strategie che invece devono essere considerate per il carcinoma epatocellulare”.
“Nell’adulto con Alagille, così come nel bambino, è presente un coinvolgimento cardiaco, e non è raro che il riscontro di difetti al cuore avvenga per la prima volta proprio nell'età adulta”, prosegue l’esperto. “Si sviluppano, poi, patologie vascolari, come gli aneurismi cerebrali: l'adulto ha un rischio maggiore di emorragia subaracnoidea e, anche in questo caso, non ci sono linee guida di screening, per cui occorre eseguire una valutazione neuroradiologica proprio per svelare queste problematiche. Va sottolineato che nell'adulto con Alagille il rischio di emorragie sembra essere più accentuato non solo a livello cerebrale ma in generale, un aspetto che può complicare altre procedure mediche eventualmente utili, come la biopsia epatica”.
“In questa sindrome – aggiunge il prof. Fabris – anche la patologia renale può peggiorare in maniera significativa con l’aumentare dell’età. Inoltre, altri due problemi tipici del paziente adulto riguardano la gestione delle donne in gravidanza e dei pazienti candidati a trapianto di fegato: quest’ultimo, in particolare, è un aspetto cruciale, perché la malattia a livello epatico ha una progressione più lenta e caratterizzata dallo sviluppo di una fibrosi diversa da quella di altre epatopatie croniche più rapidamente evolutive. Infine, anche l'aspetto nutrizionale è importante nella gestione del paziente con sindrome di Alagille, e richiede un intervento multidisciplinare mirato anche alla gestione della malattia metabolica dell'osso, che spesso nell'adulto viene tralasciata o comunque trascurata, specie se maschio”.
L’IMPORTANZA DELLA TRANSIZIONE E IL MODELLO DELL’AZIENDA OSPEDALIERA DI PADOVA
L'adolescente con sindrome di Alagille che diventa adulto deve quindi affrontare numerose sfide. Per consentire a pazienti e medici di superare al meglio questo passaggio delicato, l'Azienda Ospedale Università di Padova ha elaborato per le malattie rare, inclusa la sindrome di Alagille, un protocollo di transizione dalle cure pediatriche a quelle dell'adulto. Le tappe per la messa a punto di questo percorso sono iniziate nel gennaio 2023; poi, nel febbraio 2024 è stato avviato un corso di formazione sul campo, seguito da una fase sperimentale e, a luglio, dall'approvazione di un vero e proprio protocollo operativo.
“Uno degli elementi chiave di questo programma è il concetto che, ancor prima della transizione vera e propria, l'adolescente diventi consapevole della sua malattia e acquisisca alcune competenze a riguardo”, sottolinea Fabris. “Con l’età adulta finisce la fase di cura in cui a fare da guida e da principali interlocutori con i medici sono i genitori: è quindi importantissimo che il paziente adolescente si responsabilizzi e che, ad esempio, sia in grado di concordare da solo un appuntamento medico. La fase successiva è l'elaborazione di un percorso di transizione specifico per ogni paziente, che viene definito di comune accordo tra il pediatra che ha avuto in cura il bambino e il medico che avrà poi in cura il paziente adulto. Viene poi individuata una ‘figura di transizione’, che molto spesso è il pediatra, e infine viene coinvolto il personale infermieristico per l'organizzazione degli ambulatori. Un altro elemento essenziale di questo percorso è la condivisione delle informazioni tra i gruppi di professionisti che vi partecipano, chiaramente nel pieno rispetto della normativa sul trattamento dei dati personali”.
IL VALORE DI UN APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE
Un aspetto decisivo per il successo della transizione è l'approccio multidisciplinare, cioè il coinvolgimento di tutte le figure professionali necessarie a valutare, assistere, formare, educare e supportare dal punto di vista organizzativo ogni paziente. “Nella sindrome di Alagille l'epatologo rimane la figura medica cardine, però deve essere coadiuvato da altri specialisti in ragione delle numerose problematiche cliniche che abbiamo esaminato poc'anzi”, afferma il prof. Fabris. “Ad esempio, abbiamo parlato del rischio di sanguinamento, quindi ci vuole un internista esperto in patologie emorragiche; c'è il rischio di emorragie subaracnoidee, quindi sono fondamentali il neurochirurgo e il neuroradiologo. Poiché la diagnosi di Alagille si basa sugli esiti dei test molecolari, è indispensabile il contributo del genetista e, dato che i pazienti adulti vengono spesso intercettati a partire da una colestasi di origine sconosciuta, è importante l'intervento di un anatomopatologo e un radiologo esperti di malattie epatiche, anche in ragione della necessità di saper interpretare le lesioni nodulari del fegato. Poi c'è l'aspetto nutrizionale, quindi occorrono un medico esperto di patologia nutrizionale e un dietista. Inoltre, se una paziente con sindrome di Alagille desidera intraprendere una gravidanza, il ginecologo dovrà tenere conto che, in base alle eventuali comorbidità associate alla malattia, la gestazione potrà comportare rischi aggiuntivi, sia per la madre sia per il feto. Faranno parte del team multidisciplinare anche il nefrologo, perché la patologia renale peggiora più frequentemente in concomitanza con l'età di transizione, e, qualora venga definita l'indicazione a trapianto di fegato, il chirurgo epatobiliare e tutto il team trapiantologico”.
“Nella sindrome di Alagille, dunque, è fondamentale una summa di competenze estremamente ampia e diversificata. Altri elementi che possono contribuire al buon esito della transizione sono sicuramente la preparazione culturale e professionale degli operatori sanitari, che d