ROMA – Sa bene che il risultato in Abruzzo, se confermato nelle prossime tornate, potrà cambiare il volto della sua coalizione, rendendo più credibile quella definizione «centrodestra» che finora era sembrata generosa, vista la rappresentanza preponderante della destra rispetto al centro.
Ora, un anno dopo la morte di Berlusconi, un congresso, una nuova segreteria — la sua —, una partecipazione al governo senza strappi o capricci, Antonio Tajani può davvero ambire al suo dichiarato obiettivo: «Superare il 10% alle Europee e il 20% alle prossime Politiche». Senza sgomitare troppo, senza guardare dall’alto in basso l’alleato leghista che arranca, senza umiliare gli avversari: «Non l’ho mai fatto e non mi interessa. Mi interessa lavorare per il bene dei cittadini. E credo che una Forza Italia più forte sia un bene per il Paese: per il suo ruolo in Europa e per le politiche di governo».
Quindi, al di là dei numeri, oggi la vostra ambizione qual è? «Aggregare l’area che sta fra Meloni e Schlein, che è molto vasta e che cerca rappresentanza. Siamo aperti ad accordi politici con tutti coloro che condividono i nostri stessi valori e la voglia di portare avanti battaglie per la giustizia, per la riduzione delle tasse, per una politica estera seria».
Tradotto, a chi vi rivolgete?
«A chi non è andato a votare in primo luogo, ma certamente a forze di centro con cui siamo già in contatto, liste civiche, movimenti. Sul territorio, dove Bardi e Cirio sono stati giustamente ricandidati, anche magari a chi finora si è schierato nel fronte avverso e guarda con interesse alla crescita di un’area moderata per incidere».
Cioè anche Iv e Azione?
«Sul piano locale, se vogliono confrontarsi, noi ci siamo. Lo troverei abbastanza normale, visto anche la provenienza moderata dei nostri candidati. Naturalmente poi ci saranno le Europee e ognuno correrà in autonomia».
Crede che la vostra riacquistata attrattività sia dovuta anche alla mancanza di un centro forte nel campo largo?
«Non c’è dubbio che il loro cartello elettorale, perché questo è stato finora e dovremo capire in futuro se reggerà e come, vede una presenza preponderante di Pd e M5S. Non c’è una componente moderata trascinante. Il centro, in Italia, siamo noi».
E oggi, in Abruzzo dopo la Sardegna, quasi doppiate la Lega. Se lo aspettava? E cosa cambia?
«Mi aspettavo la nostra crescita, perché Berlusconi — al quale dedichiamo questo risultato — ci ha lasciato valori, storia, esempio e anche un partito in grado di camminare senza di lui. Sulla Lega, che per me ha ottenuto comunque un buon risultato, a noi non interessa la battaglia interna. Interessa ampliare l’area di consenso della coalizione, perché solo così si vince, non rubare voti agli alleati per “riequilibrare”. Una FI forte in una coalizione perdente non servirebbe a nulla».
Però le Europee saranno un banco di prova, c’è una sfida in atto. «Ognuno farà la sua corsa, ovvio. Noi puntiamo sul voto utile, che significa scegliere chi in Europa avrà un ruolo determinante per il destino dell’ltalia: ovvero noi, che siamo nel Ppe, il partito al quale toccheranno le scelte sulla prossima commissione e i prossimi vertici istituzionali. Siamo gli unici a poter incidere direttamente in ogni schema di alleanza, perché noi ne faremo certamente parte. Più forti saremo, più forte e capace di incidere sarà l’Italia».
Meloni può essere vostra alleata in una futura commissione presieduta da von der Leyen, che il Ppe ricandida pur non avendo avuto consensi unanimi?
«Noi siamo nel Ppe e votiamo quello che è il candidato del Ppe. Per il resto, vedremo che succederà col voto. Io fui eletto presidente dal Parlamento europeo da popolari, liberali e conservatori, sarebbe auspicabile una nuova maggioranza come quella. Ma non dipende solo da noi».
Per trascinare FI, lei si candiderà capolista alle Europee?
«È prematuro dirlo. Mi confronterò con Meloni e Salvini e insieme decideremo cosa sia meglio per i nostri partiti e per la coalizione. Posso dire che ho chiesto a Letizia Moratti e a Gabriele Albertini di candidarsi, spero nella loro disponibilità».