Un giovane orso bianco, in cerca di cibo dopo un lungo viaggio dalla Groenlandia, arriva sulle coste islandesi, ignaro del destino che lo attende. Mentre si avvicina a un’area abitata, le autorità locali prendono una decisione difficile, scatenando un dibattito su come gestire il fragile equilibrio tra sicurezza umana e protezione della fauna selvatica
L’ultima volta che un orso polare entrava in territorio islandese Donald Trump diventava presidente degli Stati Uniti d’America, il Regno Unito si preparava a salutare l’UE a seguito del referendum, mentre il cuore dell’Europa veniva trafitto dal terrorismo islamico con gli attentati di Nizza Berlino.
Otto anni più tardi ci hanno pensato i tiratori scelti della polizia islandese a trafiggere un giovane esemplare di orso polare con un colpo di fucile che ha arrestato la sua ricerca di cibo e pure il suo cuore.
«Non è una cosa che ci piace fare. In questo caso… l’orso era molto vicino ad una casa di vacanza estiva. C’era una donna anziana lì». Con questa frase Helgi Jensson, capo della polizia dei Fiordi occidentali, tenta di giustificare la scelta estrema presa dalle autorità locali.
È vero, stando alle ricostruzioni, l’orso si era avvicinato eccessivamente ad un’abitazione di Hofdastrond, sulla costa nord-ovest dell’Islanda, dove una signora anziana stava trascorrendo le vacanze. Ed è stata proprio la donna a dare l’allarme, dopo essersi rifugiata ai piani alti della casa e aver avvertito la figlia, che in quel momento si trovava a Reykjavik, ad oltre 200 chilometri di distanza.
Il giovane esemplare di orso bianco invece, di chilometri ne aveva fatti più di 300, dato che era partito dalla Groenlandia dove faticava a trovare cibo e dove, grazie al cambiamento climatico, la sua casa sta scomparendo. I ghiacci si sciolgono sempre di più e possono diventare trappole mortali oppure, come in questo caso, mezzi di trasporto fortuiti per raggiungere altre terre.
L’animale era rimasto su una lastra di ghiaccio e, lasciandosi guidare dalla corrente, ha raggiunto i fiordi occidentali, nella zona delle case rosse, dove è stato attirato dall’odore di cibo proveniente dai cassonetti dei rifiuti all’esterno delle abitazioni. Ma la sua ricerca di cibo è stata interrotta ben presto. Così come il suo primo incontro con il genere umano, breve e… fatale.
Se le preoccupazioni legate alla sicurezza delle persone sono chiare e condivisibili, va ricordato che l’orso polare è una specie a rischio di estinzione e che quindi merita delle considerazioni particolari. Il numero di esemplari si riduce costantemente, vittima del cambiamento climatico che ha ridotto notevolmente la sua zona di caccia e il suo habitat in generale.
Quando si parla di orsi si deve avere a mente che ci si riferisce a predatori all’apice della catena alimentare e potenzialmente pericolosi per l’uomo, sì. Ma la natura ha degli equilibri delicati che non vanno intaccati e di certo la soluzione non può essere sempre rappresentata da una pallottola “salvifica”.
In quanto predatori, gli orsi polari svolgono un ruolo cruciale nel mantenere l’equilibrio dell’ecosistema, regolando il numero di prede come le foche, la loro principale fonte di nutrimento, anche se trovare cibo è diventato sempre più difficile per la specie. La conseguenza? Abbiamo esemplari di orsi bianchi sempre più magri, altri che prolungano il periodo di letargo e altri ancora che, molto semplicemente, muoiono di stenti.
Si stima che il numero totale di orsi bianchi nel mondo sia di circa 30 000 esemplari e la loro presenza si è ristretta del 30% dal 1987 ad oggi, nella sola baia di Hudson in Canada, per citare un esempio.
Di contro, il fatto che questi predatori abbiano sempre meno spazio a disposizione per cacciare e per vivere, fa sì che siano costretti a spostarsi e a cercare cibo nei pressi delle zone abitate, moltiplicando così anche gli incontri con il genere umano. Non è un caso che 15 dei 73 attacchi all’uomo registrati siano avvenuti proprio negli ultimi cinque anni, quando la crisi climatica ha iniziato a mostrarsi maggiormente, come riporta il Corriere della Sera in riferimento ad uno studio del Wildlife Society Bulletin pubblicato nel 2017.
La situazione è indubbiamente complessa, soprattutto quando si devono bilanciare la sicurezza umana e la salvaguardia degli animali selvatici. Tuttavia, viene da chiedersi se esistano alternative all’uccisione, soprattutto in casi preventivi come questo. Perché, ad esempio, non sedare l’orso e metterlo in salvo, magari riportandolo in Groenlandia, dove era nato? O forse il costo di una pallottola ha pesato più di quello di una vita?
Foto: IPA
Copyright © 2024 – Tutti i diritti riservati