Si celebra a Trapani il 21 marzo 2025 la XXX Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. CONI e Associazione LIBERA rendono noto quanto segue:
Trent’anni di impegno
La Giornata Nazionale della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle
mafie giunge alla sua trentesima edizione. Trent’anni di storia: un percorso di impegno che
ha reso protagonista una vasta rete di associazioni, scuole, realtà sociali, enti locali, in un
cammino di continuo cambiamento dei nostri territori, nel segno del noi, nel segno di Libera.
La Giornata è riconosciuta ufficialmente dallo Stato, attraverso la legge n. 20 dell’8 marzo
2017 e localmente in alcune regioni d’Italia (con provvedimenti e leggi differenziate, in
Piemonte, Umbria, Puglia, Lazio, Lombardia, Friuli Venezia-Giulia, Veneto, Emilia-
Romagna). A Roma, alla presenza del Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, si
è svolta nel 1996 la prima edizione, in piazza del Campidoglio, con la lettura del primo
elenco delle vittime innocenti, sapientemente redatto grazie alla tenacia e alla pazienza di
Saveria Antiochia, madre di Roberto
La Giornata ha l’obiettivo di rimettere al centro il valore delle storie delle vittime innocenti e di
quanti oggi subiscono la violenza mafiosa e di partire dalla memoria di quelle storie per dare
una lettura attuale e approfondita della presenza mafiosa, generando percorsi di
partecipazione civile. In questi trent’anni molta strada è stata fatta, innumerevoli sono state
le iniziative, i percorsi proposti e realizzati: l’impegno per la tutela dei beni confiscati alle
mafie e riutilizzati socialmente; i percorsi educativi nel mondo della scuola e nei luoghi
informali; l’impegno per tenere viva la memoria delle vittime innocenti, intese come persone
a tuttotondo, e il percorso di accompagnamento ai loro familiari; i campi di formazione e
impegno; la formazione universitaria, i percorsi con i ragazzi e le ragazze sottopost* a
procedimenti penali; l’ampliamento della rete internazionale, che oggi vede Libera presente
con associazioni, gruppi e altri soggetti collettivi in America Latina, Africa ed Europa. E poi la
grande sfida di accompagnare tutte quelle donne che hanno deciso di affrancarsi dai circuiti
mafiosi e violenti per tutelare sé stesse e i propri figl*, passo dopo passo supportandole nel
riconquistare spazi di autonomia.
Inoltre, a distanza di trent’anni, Libera e la rete di associazioni che la compongono hanno
avvertito l’esigenza di rinnovarsi nel linguaggio per raccontare l’impegno antimafia,
dotandosi di nuovi ed efficaci strumenti che parlino all’oggi. Per questo, a fine 2023, a Roma,
in un bene confiscato e riutilizzato socialmente, nasce “Extra Libera”: uno spazio
multimediale ed interattivo da attraversare, per conoscere le storie delle vittime innocenti e
ampliare il bagaglio di conoscenze su mafie e antimafia, con l’ausilio di cellulari e cuffie, per
rendere l’esperienza ancora più immersiva, interessante e accessibile anche a un pubblico
più giovane.
Dunque, trent’anni di impegno e di crescita collettiva, di costante attenzione nel contrastare
le mafie e la loro violenza, provando sempre a leggerne i cambiamenti con strumenti nuovi.
In questo lungo percorso, la giornata del 21 marzo rimane il nostro faro e riferimento per fare
memoria viva di tutte le vittime innocenti delle mafie. Persone che rappresentano storie,
scelte e impegno. Lo stesso impegno che viene portato avanti dalle centinaia di familiari che
camminano con Libera e che ne costituiscono la radice più profonda ed essenziale, nella
continua ricerca di verità e giustizia. Per loro e per costruire un futuro libero, saremo con la
nostra presenza in piazza il 21 marzo 2025 a Trapani. In una città e in una regione, la Sicilia,
che rappresentano un territorio ricco di storia, di cultura e di sviluppo civico. Sono luoghi
depredati dalla forza criminale, ma capaci di percorsi di alternativa, che illumineremo
nell’ambito di un periodo che dall’autunno del 2024 ci porterà fino al 21 marzo 2025.
Cammineremo, come ogni anno, al fianco dei familiari delle vittime innocenti per sostenere
le loro istanze di giustizia e verità, per costruire una memoria collettiva, per rinnovare il
nostro impegno per il bene comune, per continuare a chiedere che venga fatta luce sulle
troppe stragi d’Italia che ancora oggi aspettano che sia scritta la piena verità.
Perché a Trapani?
C’è una provincia in Italia dove da sempre “Cosa Nostra” ha avuto un ruolo di primo piano,
compromettendo la crescita di un territorio e di una comunità. Dove potrebbe anche non
essere necessario leggere atti giudiziari, intercettazioni, relazioni della Commissione
antimafia, per farsi un’idea di cosa si intende per mafia.
Se da sempre Cosa Nostra ha saputo sintetizzare passato e futuro, tradizione e modernità,
violenza ancestrale e bestiale, imprenditoria, a Trapani e nella sua provincia questo accade
da decenni, praticamente da sempre. Perché qui Cosa Nostra ha costruito le sue vocazioni,
da qui è partita per esportare il suo modello negli “States” spingendosi oltre oceano, qui si è
sempre sentita al riparo, protetta, qui ha messo a punto militarmente, e in parte
politicamente con l’attacco stragista di Palermo e poi di Milano, Firenze e Roma, qui ha
fissato, il suo zoccolo duro.
Trapani e gli intrighi con la mafia hanno sempre avuto una connotazione locale e una
valenza nazionale. Se fossero stati così valutati sin dal primo momento, forse la nostra
Democrazia e la nostra Libertà avrebbero avuto destino migliore. C’è una foto che potrebbe
servire da icona delle “trame torbide” della mafia di Trapani. È l’immagine del famoso
bandito Salvatore Giuliano, morto ammazzato in un cortile di Castelvetrano, quello
dell’avvocato De Maria, insegnante di scuola superiore detto “l’avvocaticchio”. Tutto avvenne
a Castelvetrano e il bandito non fu ucciso in un conflitto a fuoco con la Polizia, ma al chiuso
di una stanza. La sceneggiata serviva a coprire una innaturale messinscena organizzata
dalla mafia e tollerata dalle istituzioni. Istituzioni che da queste parti hanno sempre speso
tanta energia per negare l’esistenza stessa della mafia. E oggi capita ancora di sentire chi
insiste nel dire che catturato e morto Matteo Messina Denaro la mafia è stata sconfitta.
Dando ragione a chi a Roma pensa di togliere gli strumenti dalle mani di chi indaga contro le
mafie.
A Trapani si avviò la carriera di magistrati fortemente impegnati nella lotta alle mafie come
Giovanni Falcone, il quale allora si occupava di cause civili, e Rocco Chinnici, che iniziò
come uditore giudiziario proprio al Tribunale di Trapani. È avvenuto di tutto, nel tempo, a
Trapani: gli omicidi del sostituto procuratore Gian Giacomo Ciaccio Montalto; il giudice
Alberto Giacomelli; la strage di Pizzolungo e quei tre nomi indissolubilmente legati,
Barbara Rizzo, Salvatore e Giuseppe Asta, la mamma con i suoi due gemellini. E ancora,
l’assassinio del giornalista e sociologo Mauro Rostagno, l’attentato al poliziotto più vicino a
Paolo Borsellino, il questore Rino Germanà, l’agente penitenziario Giuseppe Montalto
ucciso per fare un “regalo di Natale” ai mafiosi reclusi al 41 bis. E ci si scorda delle scoperte
eccellenti, la raffineria di eroina, di contrada Virgini, ad Alcamo, capace di sfornare ottanta
chili di droga per ogni «ciclo produttivo», la più grande di tutte quelle scoperte in Europa.
Al territorio trapanese sono legate importanti operazioni, quali ad esempio “Artemisia”,
attraverso la quale viene scoperta una loggia massonica deviata, finalizzata al controllo degli
affari pubblici e istituzionali, con il coinvolgimento di importanti figure politiche e
imprenditoriali. La sede dell’operazione Gladio, il Centro “Scorpione”, il cui scopo era quello
di impedire l’ascesa politica dei comunisti in Europa e, in questo caso, in Italia, da molti
pentiti comunque descritta come collusa con l’ambiente mafioso. Lo stesso capo del Centro
“Scorpione”, Vincenzo Li Causi, muore in un conflitto a fuoco in Somalia, proprio nel
periodo in cui collaborava con la giornalista Ilaria Alpi, assassinata anche lei un anno dopo,
insieme al suo cineoperatore Miran Hrovatin, durante lo svolgimento di un’inchiesta
giornalistica su traffici internazionali di armi e rifiuti tossici.
C’è chi dice che la mafia è nata nel Trapanese o, comunque, qui ha radici profonde. Qui è
riuscita a fondersi con la società civile, con la politica e l’imprenditoria, una mafia che ha
sparato quando è stata l’ora di sparare ma che nel tempo ha acquisito caratteri di
moderazione, «preferendo operare nell’ombra – si legge in una delle tante relazioni della
commissione nazionale antimafia – privilegiando il consenso della gente e l’appoggio dei ceti
più abbienti con i quali sono state strette nel tempo profonde alleanze». Qui sono nati e
cresciuti i famosi “esattori siciliani”, i cugini Nino e Ignazio Salvo di Salemi, capaci di
eleggere deputati a Palermo e a Roma, in grado di determinare la caduta di Governi. Qui ha
comandato quasi fosse un podestà e fino a pochi anni prima dal suo ingresso in carcere, il
banchiere Antonio D’Alì, datore di lavoro dei Messina Denaro, padre e figlio, Francesco e
Matteo, che facevano i campieri nei suoi latifondi di Castelvetrano, e che dava posto di
lavoro ad un altro Messina Denaro, Salvatore, nella sua Banca, la Sicula, ricca cassaforte
dell’isola per decenni, diventando senatore prima e poi sottosegretario al ministero
dell’Interno; dedito a far allontanare da Trapani prefetti e investigatori non allineati a lui, o a
“iddu”. Qui è lungo l’elenco dei politici collusi con Cosa nostra, sono recenti le vicende di
candidati che hanno cercato l’aiuto dei mafiosi per “comprare voti”. In questa commistione
così forte tra mafie, politica e denaro, possiamo leggere chiaramente l’esito più impattante in
termini socioeconomici dei fenomeni corruttivi. C’è voluto l’arresto nel 2023 del capomafia
Matteo Messina Denaro per far scoprire a livello nazionale la consistenza della mafia
siciliana con tutte le relazioni di potere connesse a quel territorio, della Cosa nostra che non
è fatta solo di coppole, lupare e “punciuti”, ma costituita dai colletti bianchi, dai professionisti,
dove comandano i medici e la massoneria.” Una latitanza, quella di Denaro, durata
trent’anni, fatta di sodalizi e coperture che gli hanno permesso di continuare ad esercitare
potere in quel territorio; basti pensare che per anni gli investigatori hanno cercato di fare
terra bruciata intorno al boss arrestando i suoi fiancheggiatori: sono stati 140 gli arresti dal
2011, secondo l’Ansa. L’ultimo a finire in cella è stato Francesco Luppino, catturato il 6
settembre scorso. Imprenditore, che aveva la delega del boss nella gestione del territorio e
nelle nomine dei reggenti ma anche per gli appalti, gli affari e il complesso delle attività
criminali tra Campobello di Mazara, Marsala e Mazara del Vallo.” (dall’articolo de “La via
Libera dell’8 giugno 2023 Matteo Messina Denaro, la rete dell’ultimo boss | lavialibera )
Quelle connivenze e legami mafiosi che fino a quel 2023 solo l’informazione locale
raccontava approfonditamente conoscendone bene le trame, pagando costi molto alti, visto
che oggi vive costantemente il problema della propria sostenibilità, anche da un punto di
vista economico, soprattutto quando decide di rimanere fuori da circuiti di clientelismo e
pressappochismo.
È storia lunga, la vocazione della mafia Trapanese per la politica e per i rapporti istituzionali,
mediati spesso da ambienti fluttuanti tra massoneria e servizi segreti. Ed è proprio nel lavoro
del Sostituto Procuratore Gian Giacomo Ciaccio Montalto che possiamo rintracciare e
scoprire uno dei tanti esempi dell’infiltrazione della mafia nel tessuto istituzionale. Sarà il PM
Antonio Costa che, corrotto da qualche manciata di milioni di lire, attuerà una strategia
eccessivamente morbida nei confronti degli imputati nel processo agli appartenenti al clan
trapanese Minore, i quali, come risultato, verranno assolti.
È qui che ricca di queste premesse è nata la “nuova mafia”. Sempre al passo con i tempi
che cambiano. Ma che resta fedele all’ideologia del potere e del dominio a tutti i costi.
La mafia trapanese è una mafia capace di avere la caratura internazionale. Quella che è
arrivata nel cuore delle city della finanza europea, e di fare impresa con i grandi appalti dal
settentrione d’Italia sino al Nord Europa. È la mafia che dialoga con i grandi mercati
dell’agricoltura, una mafia che non si è indebolita e che dietro il fascino della gentilezza
nasconde il suo essere organizzazione violenta e criminale. Cercate i duri e puri? È a
Trapani che bisogna venire.
Da sempre Trapani è stata capitale per Cosa Nostra per quanto riguarda il riciclo di denaro.
Se da un lato risultano ingenti somme di denaro proveniente dal narcotraffico internazionale,
nonché ingenti capitali giunti nella provincia per le grandi opere e i grandi eventi, come la
America’s Cup, dall’altro Trapani rimane agli ultimi posti delle classifiche nazionali
relativamente alla qualità dei servizi e per i suoi livelli di povertà, con infrastrutture nella
maggior parte dei casi inesistenti, linee ferroviarie a binario unico assolutamente inadeguate
alla modernità dei tempi o strade ed autostrade collaudate con sistemi ormai obsoleti.
Nel complesso sistema di riciclaggio del denaro sporco, si inserisce il settore turistico,
dilaniato dagli interessi dei singoli imprenditori e da una gestione pressapochista e corrotta.
Un’industria del turismo di cui si è continuamente parlato ma che non è mai decollata, se
non negli interessi di industriali e imprenditori legati alla mafia. È del 2008 l’operazione
denominata “Cosa Nostra Resort”, condotta dalla Squadra Mobile di Trapani, diretta dal Vice
Questore Giuseppe Linares e dalla Guardia di Finanza, che riesce a mettere in luce un
sistema di prestanome che permetteva ai mafiosi di controllare gli appalti pubblici del
trapanese direttamente dalle carceri. (Per maggiori dettagli sugli affari legati alle economie
illegali si può consultare l’infografica sui beni sequestrati e confiscati a persone a vario titolo
riconducibili a Matteo Messina Denaro, aggiornato ai dati disponibili a luglio 2020 de “la Via
libera” Matteo Messina Denaro, la rete dell’ultimo boss | lavialibera)
Una grande possibilità di sviluppo economico avrebbe dovuto e potuto essere legata al
settore agricolo, ma in realtà nel corso degli ultimi anni l’assenza di una politica di incentivi,
cartelli costituiti da Cosa Nostra e Camorra, una presunta crisi idrica ma che in realtà ha a
che fare con la mala gestione delle riserve idriche, fanno sì che i terreni resi aridi sono stati
a poco a poco abbandonati perché improduttivi, costringendo ad ulteriore miseria i contadini,
che stanno progressivamente abbandonando il territorio, lasciando quei terreni prossimi a
grandi speculazioni edilizie e imprenditoriali.
È del 1959 il termine lavori per la costruzione della diga “Trinità”, nel territorio di
Castelvetrano, sbarrando il fiume Arena, con l’obiettivo di risolvere, almeno in parte, i
problemi di siccità del territorio. Ebbene, la stessa diga aspetta ancora di essere collaudata
e ogni anno ingenti quantità di acqua vengono riversate in mare, anche se il loro utilizzo
risolleverebbe le sorti di un settore agricolo invece stremato. Quindi, ancora una volta il mito
che riecheggia nel territorio trapanese, che vuole una mafia dalla parte dei poveri e del
popolo rivela il suo vero volto di braccio armato della borghesia e dell’aristocrazia che in
provincia non conoscono crisi e che si arricchiscono sempre più, aumentando il divario tra
ricchi e poveri, annullando la possibilità di formazione e crescita di una classe media, tra una
opulenza ostentata da grandi ville e una povertà nascosta.
Su questi elementi caratterizzanti l’attuale condizione del settore agricolo del territorio
trapanese cresce l’importanza della memoria di coloro che con forza hanno condotto vere e
proprio battaglie sociali e politiche affinché i diritti dei lavoratori, con particolare riferimento ai
contadini, venissero prima riconosciuti e, solo successivamente, difesi. Nei loro confronti la
violenza della mafia a servizio dei potenti risulta essere efferata e quindi in grado di
dimostrare quanto lo stereotipo dei mafiosi al fianco dei più poveri risulti essere inverosimile
e oltraggiante per la storia di questo territorio. È del 1947 l’assassinio di Vito Pipitone,
dirigente della Camera del lavoro di Marsala, che con determinazione aveva abbracciato
una battaglia importantissima per il presente e il futuro dei contadini: l’applicazione della
Legge Gullo, del 1944, finalizzata al riconoscimento dei diritti dei contadini e alla
ridistribuzione delle terre incolte che fino ad allora erano di proprietà dei grandi latifondisti.
La stessa legge non trovava una sua applicazione sul territorio siciliano, osteggiata da una
stretta collaborazione tra proprietari terrieri, figure politiche e di partito e mafiosi. Vito
Pipitone venne ucciso proprio per la sua determinazione, la sua cultura, per il suo desiderio
di cambiare realmente le cose. Proprio la memoria, la sua difesa e la sua valorizzazione,
possono aiutare questo territorio a decostruire un immaginario ancora troppo diffuso e
fortemente decantato che vuole dare alla mafia una natura benevole e in difesa di quella
porzione di società che subisce gli effetti di un sistema economico e sociale ancora oggi
troppo poco egualitario e inclusivo.
Non a caso, ad oggi, la figura dell’ex latitante Matteo Messina Denaro, dalle intercettazioni
telefoniche tra sodali e simpatizzanti, è ritenuta ancora più venerabile di quella di un santo,
tanto che alcuni devoti cittadini della provincia auspicavano che a Matteo e Francesco
Messina Denaro venissero erette statue “votive”. Una mafia quindi che ha lavorato in
maniera astuta con strumenti “pedagogici” efficaci, per un’educazione in grado di alimentare
un vero e proprio culto della mafia, un culto da celebrare, rendendola non solo affascinante
ma più concreta ed efficace di altre realtà educative che insistono solo sulla legalità,
tralasciando invece l’educazione per la giustizia sociale. In questo si inserisce il lavoro che in
alcune parti del territorio viene svolto a livello educativo e sociale, con sforzi quotidiani nelle
periferie cittadine, dove le gravi condizioni economiche e sociali portano gli abitanti a
diventare prede di una mafia che si impadronisce del poco che resta, attirando soprattutto i
giovani all’interno di contesti criminali e violenti. Questo avviene anche grazie a
un’ostentazione del lusso e della lussuosità, sfruttando tutti i canali moderni di
comunicazione, dove anche personaggi del cinema diventano strumento di “propaganda
mafiosa”. A tutto ciò