Il dato emerge da un recente studio italiano. La prof.ssa Gabriella Silvestri: “I neurofilamenti potrebbero diventare un prezioso indicatore del coinvolgimento cerebrovascolare”
Come in uno strano gioco di specchi, nella malattia di Fabry ciò che accade a livello renale si può riflettere anche sul cervello. È questa l’immagine che emerge da uno studio italiano, recentemente pubblicato su Brain Sciences. A legare i due organi è la microangiopatia: i piccoli vasi sanguigni che li attraversano presentano caratteristiche strutturali simili e diventano i bersagli privilegiati del danno vascolare tipico della malattia.
“La nostra ricerca ha valutato le alterazioni cerebrovascolari e cognitive nei pazienti affetti da malattia di Fabry, esplorando al tempo stesso il ruolo dei neurofilamenti a catena leggera come potenziali biomarcatori”, sintetizza la prof.ssa Gabriella Silvestri, coordinatrice dello studio e Dirigente Medico di Neurologia presso la Fondazione IRCCS Policlinico Gemelli di Roma, con Incarico di Alta Specializzazione dal 2018.
LA MALATTIA DI FABRY
La malattia di Anderson-Fabry, o semplicemente malattia di Fabry, è una patologia lisosomiale rara, progressiva e multisistemica. È dovuta a mutazioni del gene GLA, che codifica per l’enzima alfa-galattosidasi A (Gal-A), e si trasmette con modalità X-linked, poiché tale gene è localizzato sul cromosoma X. Nella Fabry, l’attività ridotta o assente dell’enzima Gal-A provoca l’accumulo intracellulare di globotriaosilceramide (Gb3) e altri glicosfingolipidi, soprattutto a livello delle cellule endoteliali, innescando un danno multiorgano con manifestazioni renali, cardiache e cerebrovascolari che possono condurre a morte prematura nella quarta o quinta decade di vita.
LO STUDIO SULL’IMPATTO CEREBRALE DELLA PATOLOGIA
Il coinvolgimento cerebrale nei pazienti con malattia di Fabry è una manifestazione clinica rilevante ma ancora oggi poco caratterizzata, sia dal punto di vista vascolare che degli effetti sulla capacità cognitiva. “Uno degli scopi del nostro studio è stato proprio valutare la prevalenza, e le eventuali manifestazioni cliniche, delle alterazioni cerebrovascolari in una coorte di quaranta pazienti adulti con diagnosi confermata di malattia di Fabry e senza danni cerebrali correlabili a cause esterne alla patologia, come ad esempio traumi o tumori”, spiega la prof.ssa Gabriella Silvestri.
Lo studio, di tipo trasversale (cross-sectional), prevedeva una valutazione multidisciplinare globale di tutti i quaranta partecipanti, comprendente: esame neurologico completo e valutazione neuropsicologica coadiuvata dalla somministrazione di una batteria standardizzata di test cognitivi; visita cardiologica con ecocardiografia; raccolta del sangue periferico per la misurazione dei livelli di Lyso-Gb3 (biomarcatore della malattia di Fabry) e di neurofilamenti (NfL); esame nefrologico con calcolo della funzionalità renale mediante eGFR (velocità stimata di filtrazione glomerulare); compilazione del Mainz Severity Score Index (MSSI) per la valutazione della gravità complessiva della malattia; esami di imaging cerebrale, tra cui risonanza magnetica.
“Le immagini ottenute dalla risonanza magnetica cerebrale sono state valutate indipendentemente da due neurologi esperti che erano allo scuro delle caratteristiche cliniche dei pazienti, e le lesioni individuate sono state misurate con il “modified Fazekas score”, un indice in grado di classificare la presenza e la gravità delle alterazioni di origine vascolare della sostanza bianca emisferica sulla base della loro estensione e dell’eventuale confluenza”, racconta la prof.ssa Silvestri. Ne è emerso che circa il 40,6% dei pazienti presentava segni radiologici di lesioni della sostanza bianca, espressione di leucoencefalopatia: nel 18,8% dei casi si trattava di lesioni di grado moderato-severo e solo il 10% dei pazienti inclusi nello studio aveva una storia documentata di ictus ischemico maggiore.
“Sebbene la maggior parte delle lesioni cerebrali non fosse particolarmente severa, la loro presenza non è da considerarsi innocua”, sottolinea la dott.ssa Silvestri. È chiara, infatti, l’associazione della leucoencefalopatia con i deficit cognitivi, in particolare per quanto riguarda l’attenzione, la memoria visiva, le funzioni esecutive e la fluenza verbale. “Il pattern di compromissione cerebrale individuato nei pazienti con Fabry è più coerente con un danno di tipo vascolare piuttosto che con un processo di neurodegenerazione primaria legato all’accumulo di Gb3 a livello dei neuroni”, osserva la neurologa. “È la microangiopatia a determinare questi disturbi, che possono sembrare sfumati ma che incidono in modo significativo sulla quotidianità dei pazienti”.
Queste ‘tracce’ lasciate dalla malattia nel cervello trovano un parallelo nel rene. Il filo rosso che unisce questi due organi emerge con chiarezza dall’analisi statistica. Sebbene vi sia anche il cuore tra gli organi più compromessi dalla malattia di Fabry, soprattutto nella sua forma a esordio tardivo, dall’analisi multivariata è emerso che l’unico predittore della presenza di lesioni cerebrali è risultato essere l’eGFR, cioè l’esame cardine per la valutazione della funzionalità renale. “Questo risultato è la possibile conferma del fatto che rene e cervello siano accomunati dallo stesso tipo di danno al microcircolo”, commenta la professoressa Silvestri. “I piccoli vasi sanguigni di questi due organi condividono caratteristiche di vulnerabilità e reagiscono in modo simile al danno cronico: da questo punto di vista, osservare il rene significa, in parte, osservare il cervello”.
NEUROFILAMENTI: UN POSSIBILE MARCATORE DI MALATTIA?
L’elemento veramente innovativo dello studio è stata l’analisi dei neurofilamenti a catena leggera (NfL). I neurofilamenti sono proteine strutturali che formano parte dello ‘scheletro’ interno dei neuroni. Quando queste cellule nervose subiscono un danno, frammenti di neurofilamenti – in particolare la catena leggera – vengono rilasciati nel liquor e nel sangue, dove possono essere utilizzati come marcatore del danno neuro-assonale. “Il secondo obiettivo della ricerca era valutare se la presenza di NfL potesse rappresentare un segnale biologico affidabile del coinvolgimento cerebrale nella malattia di Fabry”, dichiara la neurologa. “Nei ventidue pazienti in cui è stato possibile eseguire il dosaggio, i valori mediani di NfL erano più alti rispetto ai quindici controlli sani, rispettivamente 11,5 pg/mL contro 7,1 pg/mL, con una differenza che si avvicina alla significatività statistica”.
In un caso particolare, un paziente settantatreenne con una storia trascorsa di ictus cerebrale e successivi episodi di attacchi ischemici transitori (TIA) mostrava un livello eccezionalmente elevato di neurofilamenti a catena leggera, pari a circa 620 pg/mL. Questo dato conferma la sensibilità del biomarcatore NfL nel rilevare il danno cerebrale. “Gli studi di correlazione hanno infatti documentato che, nei pazienti affetti da malattia di Fabry, i livelli di NfL sono inversamente proporzionali alla funzione cardiaca e renale e alle performance cognitive”, chiarisce la prof.ssa Silvestri.
“Il livello di neurofilamenti a catena leggera non è un biomarcatore specifico della malattia di Fabry - puntualizza l’esperta - ma ha il vantaggio di essere semplice, ripetibile e già validato in molte altre condizioni neurologiche: nelle persone con diagnosi di Fabry, questo esame sembra riflettere bene il ‘carico complessivo di malattia’ e i disturbi cognitivi, il che lo rende un candidato interessante come indicatore di monitoraggio, utile sia nel follow-up clinico dei pazienti che nei futuri studi clinici su nuove terapie”.
“Il nostro prossimo obiettivo - conclude la coordinatrice della ricerca - è progettare altri studi, possibilmente prospettici, su una popolazione più ampia di persone con malattia di Fabry. Vogliamo capire se, allargando il campione, i neurofilamenti si riveleranno effettivamente il marcatore chiave di cui avevamo bisogno, e verificare, magari grazie proprio agli NfL, quanto le terapie oggi disponibili per la patologia riescano a incidere anche sul cervello, oltre che sugli altri organi coinvolti”.