Dalla birra ai dinosauri di Jurassic Park: le biotecnologie, una storia più antica di quanto pensi | Rizzoli Education

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Quando sentiamo la parola biotecnologie spesso ci vengono in mente scene da film: laboratori ipertecnologici, camici bianchi, provette fluorescenti e magari qualche scienziato un po’ folle che prova a riportare in vita i dinosauri, come in Jurassic Park.

Oppure succede l’opposto: la mente si svuota e rimane solo un grande punto interrogativo.

Durante i miei studi mi sono sentita fare spesso la stessa domanda:

“Biotecnologie? E cosa sono?”

All’inizio mi sembrava difficilissimo dare una risposta breve e chiara. Poi ho iniziato a notare una cosa: moltissime delle cose che usiamo ogni giorno esistono proprio grazie alle biotecnologie. Dal pane che mangiamo a colazione ai farmaci più sofisticati, dalle birre artigianali ai vaccini di ultima generazione, dietro c’è quasi sempre un pezzo di biotecnologia.

Anche se oggi le associamo a tecniche modernissime e a scenari quasi futuristici, le biotecnologie hanno radici antiche. Da millenni l’uomo sfrutta organismi viventi come lieviti, batteri, cellule vegetali e animali per ottenere alimenti, bevande o medicinali.

In termini più formali, secondo la Convenzione sulla diversità biologica delle Nazioni Unite (1992), la biotecnologia è «qualsiasi applicazione tecnologica che utilizza un sistema biologico, un organismo vivente o i suoi derivati, per creare o modificare prodotti o processi per usi specifici».

Dalla birra degli antichi egizi ai laboratori di DNA ricombinante, la storia delle biotecnologie è un viaggio che unisce tradizione e innovazione.

Le biotecnologie prima delle biotecnologie

Sebbene il termine biotecnologie sia stato coniato solo nel 1917, per millenni le civiltà umane le hanno praticate senza sapere nulla dei processi biochimici che stavano mettendo in moto.

Le prime forme di biotecnologia risalgono a circa 10.000 anni fa, quando l’uomo iniziò a selezionare le colture più produttive e a incrociare il bestiame più docile o resistente. Senza saperlo, stava già modificando il patrimonio genetico delle specie con cui viveva a contatto.

Una delle pratiche più antiche, e ancora oggi fondamentale, è la fermentazione, che sfrutta l’attività di lieviti e batteri per trasformare le sostanze presenti negli alimenti. È grazie a essa se abbiamo pane, vino, birra, yogurt e formaggi: prodotti nati da una collaborazione millenaria tra uomo e microbi.

Già le civiltà sumera ed egizia usavano i lieviti per far fermentare birra e pane. Gli Egizi producevano vino, mentre in Cina, già nel Neolitico, si sperimentavano bevande fermentate a base di riso, miele e frutta. Anche lo yogurt e i formaggi si devono a particolari batteri che trasformano il lattosio in acido lattico e, con l’aiuto del caglio, creano consistenze e sapori diversi.

L’uso di organismi viventi non riguardava solo il cibo. Intorno al 500 a.C., in Cina si utilizzavano preparazioni a base di muffe su semi di soia per trattare infezioni: non erano veri antibiotici, ma si basavano sull’intuizione che alcune muffe potessero rallentare l’avanzamento di certe malattie. In agricoltura, già nel 300 a.C. i Greci praticavano l’innesto per migliorare le piante, un esempio precoce di miglioramento genetico “artigianale”.

Tutte queste tecniche si basavano sull’esperienza e sull’osservazione. La svolta scientifica arriva solo nella seconda metà dell’Ottocento, quando Louis Pasteur dimostra il ruolo dei microrganismi nella fermentazione, ponendo le basi della microbiologia moderna e aprendo la strada alle biotecnologie come le intendiamo oggi.

La svolta: arriva Pasteur

Louis Pasteur (1822-1895) segna una vera rivoluzione: con lui si passa dalle pratiche empiriche a una comprensione scientifica dei processi biologici.

Nel 1857, nel Mémoire sur la fermentation appelée lactique, sostiene per la prima volta che la fermentazione è legata alla vita dei microrganismi. Studiando il lievito, dimostra che il processo è legato all’attività metabolica delle cellule e non a reazioni chimiche spontanee. Questa intuizione apre la strada alla spiegazione molecolare dei processi biotecnologici.

Pasteur dà anche vita alla microbiologia moderna. Nel 1861 introduce la pastorizzazione, un trattamento termico che elimina i microbi patogeni da latte e vino, e nel 1885 sviluppa un vaccino contro la rabbia, uno dei primi esempi di utilizzo mirato di sistemi biologici per prevenire una malattia.

Il passo successivo arriva nel 1897, quando Eduard e Hans Büchner dimostrano che la fermentazione può avvenire anche con estratti di lievito, senza cellule vive, grazie a enzimi presenti nel citoplasma. Da quel momento la vita può essere studiata come un insieme di processi biochimici: nasce la biotecnologia moderna.

Le biotecnologie moderne: quando la realtà sfiora la fantascienza

Dalla fine dell’Ottocento in poi, la scienza compie un salto enorme. Con la biologia molecolare, non ci si limita più a usare la vita, ma si impara a leggere e modificare il suo codice.

Il punto di svolta arriva nel 1953 con la scoperta della struttura a doppia elica del DNA, che rivela come le informazioni genetiche vengano copiate e trasmesse. Negli anni Settanta vengono individuati gli enzimi di restrizione, le “forbici” naturali che tagliano il DNA, e nel 1973 nasce la tecnologia del DNA ricombinante, il classico “taglia e incolla” dei geni. Da qui si aprono nuove strade: insulina ricombinante prodotta da batteri, proteine terapeutiche, analisi del DNA e, infine, il Progetto Genoma Umano, che nel 2003 porta al sequenziamento quasi completo del nostro DNA.

Negli stessi anni, realtà e fantascienza si sfiorano. Nel 1996 viene clonata Dolly, la prima mammifera ottenuta da una cellula somatica adulta: la prova che è possibile ricreare un organismo partendo da una cellula già differenziata. Nel 2020, Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna ricevono il Nobel per la chimica per la tecnica CRISPR-Cas9, forbici genetiche in grado di tagliare e modificare il DNA con grande precisione.

Con queste tecnologie, l’idea di “riscrivere” il codice della vita non è più solo da romanzo, ma una realtà scientifica con applicazioni che vanno dalle piante resistenti alla siccità alle terapie per malattie genetiche.

Ed è proprio qui che l’immaginario alla Jurassic Park si aggancia alla realtà: clonazione, organismi geneticamente modificati, possibilità di riportare in vita specie estinte… La fantascienza semplifica, ma le domande che pone restano attualissime: fino a dove possiamo spingerci nel modificare la vita? E con quale responsabilità?

Jurassic Park e la clonazione dei dinosauri: scienza o fantascienza?

Le biotecnologie racchiudono un potere enorme, e una domanda viene quasi spontanea: cosa c’è di vero e cosa invece è estremizzato nei film di fantascienza? Prendiamo proprio Jurassic Park.

L’idea di riportare in vita specie estinte si colloca esattamente sulla linea che separa il possibile dall’immaginario (almeno per ora). Il DNA, infatti, non è eterno: si degrada nel tempo e, dopo decine di milioni di anni, non ne rimane abbastanza per ricostruire il genoma completo di un dinosauro in modo affidabile.

Questo non significa che “resuscitare” specie estinte sia solo fantasia. Per animali scomparsi in epoche più recenti, come il mammut, disponiamo di frammenti di DNA conservati molto meglio in resti congelati, e alcune aziende stanno lavorando a progetti di de-estinzione: non veri cloni identici alla specie originaria, ma organismi viventi moderni modificati per assomigliare alla specie estinta, usando tecniche di editing genetico come CRISPR. 

Riportare in vita un T. rex resta, almeno per ora, fantascienza pura. Ma le biotecnologie da cui nasce la trama di Jurassic Park, quindi clonazione, DNA ricombinante, editing genetico, sono invece molto reali e vengono già usate in medicina, agricoltura e ambiente. È in questo spazio sottile, tra ciò che è possibile e ciò che per ora resta immaginato, che biotecnologie e fantascienza continuano a parlarsi.

Oggi, quando qualcuno mi chiede “Biotecnologie? E cosa sono?”, non penso più solo a laboratori futuristici o a Jurassic Park. Penso a una storia che parte dal pane degli antichi, passa per Pasteur, arriva al DNA ricombinante, a Dolly, ai vaccini a mRNA e alle forbici genetiche CRISPR.
Le biotecnologie sono, in fondo, questo: il tentativo di capire i meccanismi della vita abbastanza bene da poterli usare (e modificare) per scopi precisi. Sta a noi decidere come farlo, con quanta attenzione e con quanta responsabilità.

Fonti

Colonna R., Marotta D., Piscitelli A., Iadevaia V. (2022), Alcune storie di biotecnologia, Bulletin of Regional Natural History (BORNH), pp. 8–67.

Assobiotec – Federchimica (s.d.). Mostra sulla linea del tempo dell’innovazione biotecnologica. Pannelli espositivi 100×200 cm. PDF.

Rubrica a cura di Generazione Stem

Biografia autrice 

Alessia Terzano è una studentessa magistrale in Biotecnologie Avanzate. Ama raccontare la scienza in modo accessibile e creativo anche attraverso la divulgazione online. Collabora con progetti come Generazione STEM per rendere la scienza più accessibile e inclusiva.

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Andrea Padovan