Gli scienziati stanno cercando di mettere a punto nuove forme di trattamento per contrastare efficacemente questo aggressivo tumore cerebrale
Nell’aprile 2024 aveva annunciato di essere affetta da glioblastoma, il più frequente tumore del sistema nervoso e uno dei più aggressivi e difficili da curare. Ieri, 10 dicembre, è arrivata la triste notizia che Sophie Kinsella, scrittrice britannica e autrice della celebre saga di romanzi "I love shopping", è deceduta in seguito alle complicanze della sua malattia. Il glioblastoma è infatti un tumore al cervello che lascia pochissimo margine alla speranza, dal momento che il tasso di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è di circa il 5%, un dato che fa chiaramente capire quale sia il livello di aggressività della malattia.
Il glioblastoma viene definito “multiforme” proprio in ragione della sua natura plastica e della spiccata tendenza alla recidiva; è un tumore meno diffuso di altri ma si stima che ogni anno in Italia si ammalino poco meno di 2mila persone, soprattutto nella fascia d’età tra 55 e 65 anni, dove si registra il numero più elevato di casi. Non ha una sintomatologia specifica, anche se una manifestazione evidente del glioblastoma è il forte mal di testa, spesso associato a vomito e nausea. La presenza del tumore aumenta infatti la pressione endocranica, ma la scatola cranica non può espandersi e aumentare di volume per compensare, e ciò può comportare una serie di problemi, fra cui difficoltà a mantenere l’equilibrio, calo della vista o dell’udito oppure vuoti di memoria, episodi di afasia e crisi epilettiche. Molto dipende dalla zona cerebrale in cui insorge il tumore: se il glioblastoma si sviluppa nel lobo frontale sono più frequenti i vuoti di memoria o altri deficit intellettivi; se invece la sede di insorgenza sono i lobi temporali possono essere più frequenti le crisi comiziali o i disturbi motori e del linguaggio. Infine, se ad essere colpito è il lobo parietale la cefalea può essere correlata a disorientamento spaziale, perdita degli schemi della postura spaziale e crisi epilettiche.
A questo punto, però, bisogna fare una precisazione: non tutti i mal di testa sono il campanello d’allarme di un tumore. Cefalea e mal di testa sono disturbi estremamente comuni nella popolazione, mentre il glioblastoma è un tumore raro le cui cause sono ancora oggetto di studio da parte dei neurologi e dei ricercatori. Negli anni, lo sviluppo della patologia è stato associato a mutazioni somatiche in geni come TP53, EGFR e PTEN, che svolgono una funzione chiave nel controllo della crescita e della sopravvivenza cellulare, nonché ad alterazioni epigenetiche e a fattori microambientali che favoriscono la trasformazione neoplastica.
L’attuale percorso di cura del glioblastoma multiforme - come quello di altri membri della famiglia dei gliomi - si basa sulla microchirurgia che, quando possibile, punta a rimuovere la maggior parte della lesione tumorale, preservando al massimo la funzione neurologica dei pazienti. Se il tumore è particolarmente esteso, o di alto alto grado, si ricorrere alla radioterapia e alla chemioterapia a base di temozolomide, secondo il cosiddetto protocollo Stupp: si tratta comunque di uno schema terapeutico immutato da anni, che evidenzia la necessità di trovare nuove opzioni per allungare la prospettiva di sopravvivenza dei malati.
Il futuro della cura del glioblastoma è scritto nelle terapie avanzate, che ambiscono a superare i limiti della chemio-radioterapia tradizionale contrastando i meccanismi di resistenza e l’effetto protettivo del microambiente tumorale, che ostacola l’attività del sistema immunitario e facilita la crescita neoplastica. In questo contesto, il punto di partenza ideale consiste nel disporre di modelli cellulari affidabili attraverso cui riproporre la biologia del tumore e consentire ai ricercatori di sperimentare nuove terapie: nello stesso periodo in cui Sophie Kinsella dava annuncio della sua malattia, era circolata la notizia della realizzazione di organoidi di glioblastoma multiforme, modelli cellulari tridimensionali del tumore, da parte della dottoressa Anna Tesei e del suo team presso il Laboratorio di Bioscienze dell’Istituto Romagnolo per lo Studio dei Tumori IRCCS "Dino Amadori" di Meldola: Tesei è responsabile scientifica del progetto "3D-Pioneer", che sfrutta le proprietà delle stampanti 3D per ricreare dei modelli su cui testare nuove opzioni di cura per questo tumore. Parallelamente, in altri laboratori di ricerca gli scienziati stavano lavorando sulle nanotecnologie indispensabili per ottenere un trasporto mirato delle molecole terapeutiche dentro il microambiente tumorale, superando la barriera emato-encefalica.
I vaccini a mRNA costituiscono un’interessante frontiera di studio, poiché permettono di ‘educare’ il sistema immunitario e spingerlo a contrastare la crescita del tumore; altrettanto promettente è la ricerca che guarda alla terapia genica, in cui l’Italia sta giocando un ruolo di primo piano grazie all’opera di Genenta, società di biotecnologie che sta testando il proprio trattamento in uno studio clinico di Fase I/II.
Infine, una delle promesse più entusiasmanti proviene dall’immunoterapia e dall’utilizzo delle cellule CAR-T, sviluppate per potenziare la risposta immunitaria contro antigeni specifici espressi del tumore o per rimuovere i meccanismi di inibizione che la neoplasia mette in atto per eludere i trattamenti: le CAR-T dirette contro gli antigeni EGFRvIII e IL13Ralfa2 hanno già dimostrato di possedere caratteristiche di efficacia e sicurezza, ma soprattutto di adattabilità, necessarie a contestare una patologia così mutevole e resistente. E poiché il microambiente tumorale continua a rappresentare un’ostica barriera alle terapie di ultima generazione, i ricercatori stanno valutando di sfruttare i linfociti infiltranti il tumore (TIL) presenti nella massa cancerosa, cercando un modo per riattivarli e scatenarli contro le cellule neoplastiche.
Tutti questi approcci innovativi sono ancora in fase di valutazione e ci vorrà del tempo prima che siano eventualmente autorizzati e immessi sul mercato, ma la scoperta di nuovi antigeni da prendere di mira apre una nuova breccia nelle difese di un tumore che, finora, si è rivelato coriaceo e difficile da sconfiggere. Da qui si partirà per sviluppare terapie in grado di vincere la resistenza della patologia, con la speranza che, nell’arco dei prossimi anni, i protocolli di cura del glioblastoma possano essere estesi e che nuove combinazioni terapeutiche riescano ad aumentare il tasso di sopravvivenza dei pazienti.