Intervista al Direttore Marketing di Radeberger Gruppe Italia Lorenzo Bossi: “La birra è versatile, portiamola in cucina”
Dieci anni trascorsi insieme, con l’obiettivo di avvicinare due mondi – quello della birra e quello della cultura gastronomica – che per anni non si sono parlati e che oggi invece tracciano nuove tendenze che guardano al futuro. Dal 2015 QBA (Quality Beer Academy), il progetto di divulgazione e promozione della cultura della birra creato da Radeberger Gruppe Italia per diffondere un consumo consapevole e informato, è partner di Slow Food, sia attraverso gli eventi che i progetti: dieci anni nei quali «insieme abbiamo raccontato la qualità e l’abbiamo portata in giro, da Cheese a Slow Fish fino a Terra Madre Salone del Gusto, senza confini, fino ai progetti e le guide come l’Alleanza Slow Food dei Cuochi, Osterie d’Italia e Guida alle Birre d’Italia – ricorda Lorenzo Bossi, Direttore Marketing di Radeberger Gruppe Italia–. La birra ha una versatilità unica e lo dimostrano i laboratori e le degustazioni fatte in questi anni, in compagnia di produttori di ogni tipo: dai casari con i loro formaggi agli artigiani che lavorano acciughe, ostriche, cozze e vongole».
Lorenzo, tre parole chiave per raccontare questi dieci anni di collaborazione con Slow Food!
La prima parola è condivisione, intesa come il mettersi in gioco insieme per raggiungere traguardi ambiziosi, come entrare nelle osterie e raccontare al pubblico questo mondo. Le altre due parole sono sperimentazione e coraggio di andare contro i pregiudizi e le consuetudini: penso alle birre analcoliche e a quelle gluten free, e a tutto il mondo degli abbinamenti in cucina.
Qual è la tendenza degli stili di birre in questo momento?
Il mercato dice che crescono le IPA e anche le birre forti belghe, ma quelle che fanno più consumi in assoluto rimangono le Lager: sono tre culture molto diverse, ma se a tutti piacessero gli stessi prodotti sarebbe la fine della diversità. Oggi, poi, il settore che registra la maggiore crescita è proprio quello delle birre analcoliche. Io credo che tutto questo sia un arricchimento: oggi è una follia pensare che una birra debba necessariamente essere alcolica, forte, con un certo grado: una birra deve semplicemente essere buona.
E allora che cosa rende grande una birra?
Direi la voglia di berne un’altra. Molti sottovalutano che il corpo umano sia la più grande macchina per l’analisi organolettica: il corpo, se lo sappiamo ascoltare, ci comunica se un prodotto vale o no, e la sensazione che proviamo quando assaggiamo un buon prodotto è di desiderarne ancora.
Tornando un attimo sul tema del consumo di alcol: com’è il trend oggi?
In generale i volumi calano, perché le persone non hanno più voglia di bere tre o quattro pinte di birra, come magari facevano un tempo. Accade per diverse ragioni, che vanno dal costo al
tema della salute. Oggi un consumatore magari beve un’unica birra, ma quella birra deve appagare come le quattro di un tempo.
È finalmente finita l’epoca in cui la birra si considerava una cosa da uomini?
Sicuramente ci sono prodotti, penso alle Lager, tarati su palato maschile. Ma dove si cerca di fare cultura e si producono birre più particolari, le donne sono perfettamente a loro agio. E poi, come dicevo, c’è il tema dell’analcolico: oggi sovente molte donne, così come sempre di più i giovani, sentono l’esigenza di mantenere il controllo sui sensi: in questa direzione, l’alternativa analcolica è oggi sempre di più un elemento che può venire incontro al pubblico femminile. Nel nostro portfolio, ad esempio, abbiamo diverse birre analcoliche: una Lager, una Keller, una IPA tradizionale, una belga, due analcoliche senza glutine e una birra fatta con concentrato di sambuco e di ciliegia.
Fare birra è ancora un mestiere molto maschile o qualcosa sta cambiando?
A lungo la birra è stata considerata, anche all’interno della filiera produttiva, un prodotto maschile. Noi promuoviamo l’inclusione, tanto che oggi abbiamo nel nostro portfolio una birra, Deliria, prodotta solo da donne: non solo la ricetta è stata creata da una donna, ma è fisicamente lavorata da un gruppo di donne. E a proposito di donne, faccio un esempio che conosco bene: per cinque anni mia moglie Jessica ha guidato un pub che serviva 300 ettolitri di birra all’anno. Non sopporto i pregiudizi su uomo e donna né le distinzioni che, a mio avviso, oggi non hanno più senso.
A proposito della vostra azienda, ci racconti un po’ la storia?
La nostra azienda è nata nel 1970 come filiale italiana di un birrificio di Dortmund, Hansa Bier, successivamente entrato nel gruppo Radeberger. Fin dall’inizio la nostra mission è stata conservare e trasmettere il valore delle birre di Dortmund, anche contro la banalizzazione delle ricette e dei metodi produttivi imposta dai grandi player globali e dalla corsa al prezzo al ribasso avvenuta negli anni ’90. QBA, Quality Beer Academy, è un progetto nato più recentemente per estendere alle birre di tutto il mondo il nostro concetto di cultura, con l’obiettivo che la birra venga servita nel miglior modo possibile al cliente. Questo, per noi, è l’unico modo per offrire un’esperienza che valga la pena di essere vissuta: bere non deve essere qualcosa di fine a sé stesso, ma trasmettere elementi di valore ed essere appagante.
Che cosa significa, oggigiorno, cultura della birra?
Faccio un esempio. Oggi tutti i grandi gruppi possiedono impianti produttivi dislocati in luoghi diversi nei quali si producono le stesse birre: per poterlo fare, si sono standardizzate le ricette. Noi abbiamo 16 stabilimenti in Germania e ognuno produce i suoi prodotti di origine: la birra Dab si fa solo a Dortmund, la birra Radeberger solo a Radeberg, la birra Jever solo lì e così via. Il motivo? Non è solo il desiderio di mantenere una tradizione, ma è perché i tedeschi sono fortemente legati a tutto questo. Racconto un caso emblematico: abbiamo una birreria a Norimberga e un’altra nella confinante Fürth: quando si è ritenuto necessario ottimizzare i processi produttivi facendo un unico impianto, lo si è costruito esattamente sul confine. Non scherzo: la sala cottura ha una linea disegnata in terra, con metà dei tini da una parte e metà dall’altra, così che ogni birra viene prodotta nella città d’origine.
Quali sono i segreti per abbinare correttamente una birra e come valorizzarla come ingrediente in cucina?
La regola di base per l’abbinamento è semplice: una birra si abbina più per affinità che per contrasto. Bisogna farsi guidare dalle note, dall’intensità del gusto e soprattutto non lasciarsi frenare dai pregiudizi. Mai fermare la sperimentazione: osare aiuta a proporre qualcosa di più interessante. Ma se dovessi dare un consiglio generale, direi che per le lunghe cotture la birra è una fedele compagna, e più una cottura è lunga più si possono usare gradazioni alcoliche alte.
Se dovessi scegliere uno stile di birra, in quale ti identificheresti e perché?
Domanda impossibile! Se è una birra per tutti i giorni scelgo sicuramente una Pils, se devo berne una al pub con gli amici cerco qualcosa di particolare che mi trasmetta un’emozione insolita, se devo festeggiare qualcosa andrò sicuramente su una Gueuze.
Per chiudere, uno sguardo al futuro: quale sarà la sfida più grande da affrontare insieme nei prossimi dieci anni?
In questi dieci anni abbiamo collaborato molto bene con tutte le persone del mondo Slow Food. Spero quindi che i prossimi dieci anni possano seguire il solco tracciato, cercando di portare in giro e raccontare la qualità delle birre: credo fortemente che ogni prodotto abbia una sua dignità e un valore che va trasmesso nel modo corretto. Se devo pormi un obiettivo ambizioso, direi che è arrivare sempre di più ai formatori, agli osti, ai cuochi, ai camerieri, per creare progetti coerenti con le nostre filosofie.