Referendum, l'appello di Filice: “Solo un lavoro dignitoso produce pensioni dignitose” - SPI CGIL Veneto

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Verona, 21 maggio 2024. Contro l’uso indiscriminato dei contratti a termine, i licenziamenti illegittimi senza giusta causa o giustificato motivo; contro le catene dei subappalti e la deresponsabilizzazione dei committenti, per un lavoro sicuro, stabile ed equamente retribuito. Sono i temi dei quesiti referendari promossi dalla Cgil la cui raccolta firme è partita sull’intero territorio nazionale il 25 aprile scorso.

Per contribuire alla riuscita della campagna nel veronese, lo Spi Cgil Verona ha predisposto un nutrito calendario con oltre 250 banchetti sull’intero territorio provinciale che fino ai primi di luglio vedrà mobilitare attivi e simpatizzanti del sindacato.

Si può firmare online (è richiesto lo Spid) oppure di persona, recandosi ad uno dei banchetti programmati.

I 4 referendum sul lavoro promossi dalla Cgil riguardano anche i pensionati e le pensionate che in qualità di madri, padri, nonne o nonni non di rado si trovano a soccorrere figli e nipoti imprigionati nella trappola precarietà che rallenta o blocca il loro progetto di vita, e di un sistema del profitto che non risponde più alle aspettative di significato e di valori che le nuove generazioni attribuiscono oggi al lavoro” spiega Adriano Filice, Segretario generale Spi Cgil Verona.

Ma come pensionate e pensionati siamo interrogati anche su un altro aspetto decisivo – aggiunge il Segretario – perché oggi vengono messi in discussione, e spesso calpestati, i diritti e le tutele che le generazioni passate di lavoratrici e lavoratori hanno faticosamente conquistato con coraggiose lotte e grandi sacrifici. Solo una politica cieca e sorda può non vedere la voragine sociale che ci si apre davanti con la prospettiva di pensionati da massimo mille euro al mese (senza possibilità di integrazione sociale per le pensioni ancora più basse) che, come dicono tutte le proiezioni, sarà la norma con il numero regime del contributivo puro”.

“In tutti questi anni abbiamo assistito a giovani confinati nel precariato – prosegue Filice – talvolta costretti ad emigrare per trovare un lavoro dignitoso in grado di rispondere alle proprie aspettative, e comunque sempre sotto scacco della prospettiva di una pensione povera. Le pensioni povere sono una condanna civile, ingiusta ed iniqua, a fronte delle enormi complessità e l’elevato bisogno di cura e assistenza che il processo di invecchiamento oggi comporta. Oggi dobbiamo ripartire da un lavoro dignitoso per una pensione dignitosa. La lotta per la dignità sul lavoro, per un lavoro sicuro, per un lavoro che dia un futuro, è anche la lotta delle pensionate e dei pensionati”.

PER COSA CHIEDIAMO DI FIRMARE

I primi due quesiti referendari intervengono sulla tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo: nelle aziende con più di 15 dipendenti vogliamo tornare a dare a tutti i lavoratori le stesse tutele – superando il regime doppio definito dal Jobs Act tra assunti prima e dopo il marzo 2015 – e nelle imprese sotto i 15 dipendenti vogliamo superare l’importo massimo del risarcimento economico previsto per il lavoratore, lasciando al giudice la valutazione sullo stesso.

Il terzo quesito mira a riportare la necessità di una causale (cioè di un motivo) per attivare un contratto a termine. Oggi infatti quasi l’80% delle nuove attivazioni di rapporto di lavoro avviene con contratti a termine, in somministrazione, a chiamata. Senza alcuna motivazione si possono assumere lavoratori a termine, anche quando servono stabilmente nell’organico.

Il quarto quesito interviene affinché l’azienda che ha promosso un appalto (committente) sia anch’essa chiamata a rispondere in caso di infortunio di un lavoratore dell’azienda a cui l’appalto è stato affidato. L’obiettivo è agire sul sistema degli appalti, in modo da uscire dalla spirale delle continue esternalizzazioni e del meccanismo che ha consentito agli appalti di diventare strumento di riduzione dei diritti e abbassamento del costo del lavoro.

Leggi i quesiti referendari

COME SI FIRMA

Si può firmare online con SPID o Carta d’identità elettronica all’indirizzo www.cgil.it/referendum oppure in occasione delle raccolte firme organizzate dalla Cgil.

APPROFONDIMENTO RETRIBUZIONI

SALARI BASSI: COINVOLTI CIRCA 100 MILA LAVORATORI E LAVORATRICI VERONESI

SITUAZIONE ITALIANA. Per “basso salario” si intende una retribuzione inferiore al 60% della mediana delle retribuzioni annuali. Secondo uno studio condotto dall’Ufficio Economia dell’Area Politiche per lo Sviluppo della Cgil Nazionale, in Italia più di 5,7 milioni di lavoratori ricevono un salario annuo lordo medio inferiore a 11.000 euro. Ma il problema della bassa retribuzione coinvolge una fascia ancora più ampia della popolazione lavorativa: oltre 2 milioni di dipendenti guadagnano mediamente meno di 17.000 euro lordi all’anno. Lo studio analizza le ragioni di questa situazione, concentrandosi sulla discontinuità nell’occupazione, il part time involontario, il lavoro a tempo parziale e la precarietà contrattuale in Italia.

SITUAZIONE VERONESE. Nel veronese su 332.483 lavoratori del settore privato non agricolo, alla fine del 2022 (ultimi dati Inps disponibili) si contano 22.145 lavoratori e lavoratrici, senza grossa distinzione di sesso, che nel corso dell’ultimo anno lavorativo hanno lavorato meno di 12 settimane, con un salario mensile medio di 1.686 euro.

  • Altri 31.114 lavoratori e lavoratrici, nello stesso periodo, hanno lavorato dalle 13 alle 28 settimane retribuite con un salario annuo medio di 6.420 euro, anche qui senza grosse differenze di genere.
  • 55.509 lavoratori e lavoratrici hanno lavorato dalle 29 alle 51 settimane retribuite con un salario annuo medio di 14.555 euro e con una divario piuttosto rilevante tra le retribuzioni annue maschili (16.328 euro per 26.794 lavoratori) e femminili (12.901 euro per 28.715 lavoratrici).

Questo significa che 108.768 lavoratori e lavoratrici veronesi, pari al 32,7% del totale, non lavorano continuativamente tutto il tempo dell’anno; che per la stragrande maggiorazione di essi la retribuzione è ampiamente sotto agli 11 mila euro l’anno e che nessuno supera i 17 mila euro all’anno.

Passando infine ad esaminare i 223.715 che lavorano continuativamente lungo tutto l’arco dell’anno si osserva che 58.302 di essi, pari al 26%, ha lavorato con contratto a tempo parziale con una retribuzione media annua appena sopra ai 17 mila euro (17.192 euro) e che per la stragrande maggioranza sono: 44.496 lavoratrici full year e part time.

In definitiva, i veronesi che lavorano full year e full time con la possibilità di guadagnare uno stipendio medio annuo di 34.749 euro sono poco meno della metà dell’intera forza lavoro privata non agricola della provincia: 165.413 lavoratori, pari al 49,7% del totale, per la stragrande maggioranza maschi: 118 434 uomini (con reddito medio annuo di 36.107) e soltanto 46.949 donne, con stipendio medio annuo di 31.324 euro.

Il salario medio in Italia è stimato sui 31.500 euro lordi annui, cifra significativamente inferiore rispetto a Germania (45.500 euro) e Francia (41.700 euro).

APPROFONDIMENTO PENSIONI

RETRIBUTIVE VERSO LA SCOMPARSA, CONTRIBUTIVE SPADA DI DAMOCLE SUI GIOVANI

La pensione media a Verona di un lavoratore o lavoratrice proveniente dal settore privato è nel 2024 di 1.569,02 euro per gli uomini e di 850,18 euro per le donne.

Il grafico sotto mostra l’andamento negli anni delle pensioni pagate a Verona suddivise per regime di liquidazione e illustra la situazione all’inizio (1° gennaio) di ciascuna delle annualità indicate.

Dall’inizio del 2015 all’inizio del 2024 il numero delle pensioni di vecchiaia o di anzianità (l’insieme considerato si riferisce a questa tipologia di assegni con esclusione, quindi, di altre tipologie, ad esempio le pensioni sociali) è leggermente diminuito, da 217.010 a 212.295.

E’ invece marcata, costante e irreversibile la riduzione delle pensioni liquidate con il metodo retributivo (pensione calcolata sulla base degli ultimi anni di carriera lavorativa) che nella sua forma “pura” non esiste più: dalle 190.693 del 2015 questa tipologia di pensioni si sono ridotte alle 133.790 di inizio 2024 (meno 29,8%), mentre lenta ma costante è la crescita del contributivo puro (si riceve per quanto si è versato senza possibilità di maggiorazioni, nemmeno di tipo sociale): da 7.701 del 2015 alle 16.318 di inizio 2024 (+111,89%).

La progressione maggiore si registra comunque ancora tra i regimi misti (Dini e Fornero) che, sommati insieme, passano dalle 18.616 pensioni del 2015 alle 62.187 al primo gennaio 2024 (+234,05%).

I regimi misti rappresentano l’ultima scappatoia prima del regime contributivo, che sarà la tipologia di calcolo predestinata a tutti coloro che hanno cominciato a lavorare dopo il 1995 e che non potranno andare in pensione senza aver raggiunto determinati limiti di età e di cumulo contributivo fissati di anno in anno dall’Inps.

Attualmente le pensioni liquidate in regime contributivo puro sono per lo più limitate ai lavoratori parasubordinati ma tale regime è destinato a diventare maggioritario nel corso degli anni, con importi medi delle pensioni, secondo tutte le proiezioni non superiori ai mille euro lordi mensili.

Recapiti
SPI Ufficio Stampa