Grazie agli spunti di una lettrice, torniamo a ragionare sull’adozione legittimante e su come sia solo questa a racchiudere il senso vero dell’adozione. Perché non potrà mai essere la ricerca delle origini ciò che cancella il male dell’abbandono
Lunedì 1 luglio abbiamo pubblicato sul sito AibiNews un articolo su come l’adozione mite e l’adozione aperta stiano trovando sempre maggiore applicazione nel nostro ordinamento, a discapito dell’adozione legittimante. Un tema non nuovo e su cui è giusto mantenere l’attenzione, perché nodo centrale per il senso stesso dell’adozione!
E che il tema sia molto sentito dalle famiglie e dai figli che hanno vissuto in prima persona l’adozione lo dimostrano le lettere e i commenti che sono arrivati in redazioni proprio in relazione al nostro articolo. Una lettrice, in particolare, ha voluto condividere il suo pensiero, mandando diversi testi che spiegano perfettamente, e in maniera molto sentita e partecipata, il perché l’adozione legittimante sia la “vera” adozione.
La mia origine l’ho avuta… quando sono arrivata dai miei genitori
Scrive Francesca Preethi Airoldi (questo il nome della ragazza, che ringraziamo anche per aver acconsentito alla pubblicazione delle sue lettere) proprio in relazione al tema del “ritorno alle origini”: “Sinceramente credo che porre vicino la parola adozione al ritorno alle origini sia equivalente a formulare un ossimoro. Per me l’adozione è sempre stata qualcosa di matematico: un bambino abbandonato, dichiarato abbandonato dalla legge con un lungo processo che eviti qualunque dubbio, viene dato in adozione a due genitori che non possono avere bambini”. Questo, in estrema sintesi è il senso ultimo dell’adozione legittimante, che equipara in tutto e per tutto i figli adottivi ai figli biologici.
Da qui deriva la successiva domanda: che cosa significa parlare di “origine”? Francesca non ha dubbi: “Ringrazierò per tutta la vita la persona che mi ha messo al mondo, le suore che i miei genitori mi hanno raccontato si presero cura di me e l’associazione che mi ha permesso di avere una mamma e un papà. Tuttavia, l’identità della persona la danno i genitori, quindi di fatto la mia origine io l’ho avuta… quando arrivai dai miei genitori, o forse quando pensarono di fare domanda di adozione ed io ero ancora in cielo, forse quando fui abbinata a loro… Ma di una cosa sono certa: la mia origine sono loro”. Perché, come spiega più oltre nella sua lettera: “In realtà è l’amore ciò che conta sempre”.
Non sono le origini a poter cancellare il senso di abbandono
Chiaramente: “Questo non implica che non abbia passato momenti difficili, ma non è dando ragione all’ignoranza cercando delle origini che non esistono che si risolve la questione… L’unica cosa che contraddistingue un bambino adottato da uno nato naturalmente è il senso di abbandono, che ci porteremo sempre dietro. Questo non cambierà”. Ma non è attraverso le origini che si può curare questo male dell’abbandono. È umano cercare, in ogni campo, “sempre la massima certezza”, ma – conclude Francesca: “Le origini mettono solo ancora più angoscia e incertezza sulla propria identità, scalfendo una base solida costruita dai genitori su un terreno risalente ai primissimi mesi di vita, già di per sé molto fragile”. Certo, esistono “casi particolari di ritorno alle origini [e] posso capire che se ne parli, ma sarebbe meglio specificarlo, perché altrimenti non ha alcun senso trattarne e sarebbe un’offesa per tutte le famiglie che sono nate con l’adozione”.