Oggi esistono l’adozione aperta e l’adozione mite, ma non chiamiamole adozioni: sono una sorta di affido. Purtroppo, lo scenario che si sta affacciando è molto complesso, ma non c’entra nulla con l’adozione, poiché non si uniscono genitori a un figlio, ma famiglie a famiglie
Dopo aver spiegato quale sia il senso vero dell’adozione, partendo dalle lettere di una lettrice di AiBinews scritte dopo aver letto un articolo su come l’adozione mite e l’adozione aperta stiano trovando sempre maggiore applicazione nel nostro ordinamento, a discapito dell’adozione legittimante, la riflessione prosegue a partire da una domanda ancora più radicale: stando così le cose, l’adozione per come l’abbiamo conosciuta finora è morta? Per dare una risposta sincera, forse la prima cosa è mettersi d’accordo su cosa si intenda davvero per adozione.
L’adozione legittimante, allora, è morta?
Non per nulla, l’ulteriore lettera scritta da Francesca Preethi Airoldi per concludere le sue riflessioni parte dal ribadire come l’adozione sia sempre e soltanto “un bambino abbandonato senza genitori né legami [che] trova una mamma e un papà che non possono avere figli naturalmente”. Certo, la lettrice si rende conto che, ormai, altri tipi di adozione sono sempre più diffusi e, soprattutto, sostenuti sia sui social sia da alcune sentenze, ma se le cose stessero “semplicemente” così ciò significherebbe una cosa soltanto: che “l’adozione è morta”. Esistono, infatti, l’adozione aperta e l’adozione mite, ma – ribadisce Francesca: “non chiamiamole adozioni, sono una sorta di affido. Purtroppo, lo scenario che si sta affacciando è molto complesso, non c’entra nulla con l’adozione, i problemi ci sono e saranno sempre maggiori, poiché non si uniscono genitori a un figlio, ma famiglie a famiglie”. Di fronte a questo scenario sarebbe più onesto specificare che “non si parla più di adozione”, ma si parla di “bambini che sono cresciuti nelle loro famiglie biologiche per tanti anni e che solo successivamente vengono adottati”. In questo caso “ha senso parlare di origini”, ma “Io sono grata di essere nata in un tempo in cui l’adozione esisteva chiara, forte, limpida. Io non sono una minoranza, sono semplicemente di un altro tempo”.
Eppure la questione non può ancora essere risolta, tanto che Francesca ha sentito l’esigenza di specificare ulteriormente il suo pensiero anche in relazione al termine “accoglienza”, che può facilmente essere frainteso. Perché – sostiene– non penso che un bambino adottato voglia “sentirsi accolto”… Riferendosi alla sua esperienza, in particolare, specifica: “I miei genitori non hanno fatto un’opera di bene ad adottarmi, altrimenti avrebbero fatto una scelta diversa, loro volevano un figlio”!
D’altra parte – prosegue Francesca: se “ogni figlio è diverso da sé, naturale o no”, perché dare “tanta importanza all’essere madre di pancia o no? Nell’essere madre di pancia c’è una relazione con il bambino che non si ritiene essere di possesso?”. “Non mi sembra di sentir dire ai neogenitori o dai neogenitori che hanno accolto un figlio. Perché deve essere accolto e integrato un bambino adottato?”.
Il nodo focale è che la famiglia non può e non deve fondarsi su questo senso di “accoglienza”, perché su questo “si basano la solidarietà e i buoni sentimenti di fratellanza nell’essere umano, ma non l’amore viscerale che unisce figli ai genitori”.
Amare un figlio significa donarsi a lui
Francesca specifica come la sua non sia una riflessione su una “questione giuridica”, ma scavi molto più a fondo, In realtà – spiega: “Non vedo nulla di male ad avere una seconda nascita, soprattutto nei bambini che sono stati abbandonati alla nascita. Porto la mia esperienza personale: sono nata dalla persona che ringrazio di avermi messo al mondo… sono stata messa in uno istituto … gestito dalle suore … che ringrazio per avermi fatto vivere, ho vissuto quell’anno nel caos più totale e perché non dovrei avere il diritto di pensare di avere avuto il dono di avere due genitori che nel loro amore mi avevano fatto nascere nella loro mente? L’adozione ha effetto retroattivo e mentre i miei genitori facevano i corsi io nascevo. Perché io non posso godere del diritto di essere nata dall’amore, come dovrebbe essere per ogni creatura? L’dea del bambino che esiste da solo, ha vissuto un periodo in un Paese e poi è stato accolto da una famiglia con spirito di solidarietà è un’idea romantica che by-passa completamente il dolore che sta dietro. Di questo bisogna parlare, non cancellarlo assolutamente, ma solo i genitori lo possono fare”. L’adozione, in conclusione, non è la “favoletta” di “un bambino felice che arriva in una famiglia nuova”, ma è “un bambino con una voragine, in cui dobbiamo andare a fondo. Dobbiamo parlare del suo passato, ma la giustificazione di questo passato non proprio facile sono i genitori, che hanno effetto retroattivo. Se togliamo loro anche questo, cosa rimane?”. “Io non starei studiando medicina senza di loro – ribadisce Francesca – perché se fossi stata così come sono arrivata, sarei stata una persona insicura, con un buco nell’anima mai colmato; anzi, con l’aggiunta della consapevolezza di essere come un ospite, accolta dai miei genitori, che sarebbero stati coperti di un velo di estraneità. Non riesco neanche a pensare al senso di angoscia che avrei provato e che si sarebbe aggiunto al buco nell’anima di un abbandono”.
Conclude, allora, Francesca: “Per avere un figlio, adottato o naturale, la sola cosa che bisogna fare è amarlo e amare l’idea di amare un figlio, ovvero l’idea di mettersi da parte e donare se stessi a una nuova vita, non da protagonisti, ma da sostegno, sempre… Amare un figlio non significa accogliere, amare significa donarsi all’altro, sia per i genitori naturali sia per i genitori adottivi. I genitori adottivi non accolgono nessuno, vogliono avere un figlio, hanno un figlio”!