Figlia del temporale: il coraggio di una donna contro le leggi della montagna
Con Figlia del temporale, Valentina D’Urbano ci travolge in un viaggio potente, crudo e straordinariamente umano. Ambientata nelle montagne albanesi degli anni Settanta, la storia di Hira è quella di una ragazza che si ritrova improvvisamente orfana e costretta a fare i conti con un destino già scritto per lei: abbandonare la moderna Tirana, la scuola e la vita che conosceva, per perdersi in un mondo mosso dalle regole del Kanun, l'antico codice che regola la vita dei villaggi e impone alle donne una vita di sottomissione e silenzio.
Nella sua nuova vita a casa degli zii, Hira impara gradualmente a sopravvivere e adattarsi alle regole ferree della montagna. Grazie ai cugini, Danja e Astrit, la ragazza scopre i segreti del lavoro nei campi, il silenzio della natura e l’importanza di camminare in punta di piedi tra le regole di quei luoghi. È soprattutto Astrit, il cugino muto e misterioso, che occupa un posto speciale nei suoi giorni. Nasce un legame profondo, una comunicazione fatta di gesti e sguardi, capace di oltrepassare le parole. Almeno finché il destino non arriva e Hira viene costretta a un matrimonio combinato.
Per sfuggire a questa sorte, la ragazza sceglie di diventare una burrnesh, una vergine giurata che rinuncia alla propria femminilità per vivere come un uomo. Con il nome di Mael, si avventura in un cammino di ribellione senza precedenti, sfidando non solo la società patriarcale che la circonda, ma anche se stessa, i suoi desideri, i suoi confini. Ma dietro ogni passo di libertà, si nasconde una nuova catena, una nuova privazione.
Con una scrittura vibrante, tagliente e capace di arrivare in profondità, Valentina D’Urbano dà voce a una storia che brucia, che interroga e che non lascia spazio a compromessi. Figlia del temporale è un grido di ribellione e un inno alla libertà, un viaggio nelle pieghe più intime dell’identità, del corpo e della voglia di vivere secondo le proprie regole. Un’opera che ci cattura, ci scuote e ci costringe a riflettere su quanto siamo disposti a sacrificare per essere veramente noi stessi.
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- Figlia del temporaleci porta in un'Albania del 1974 e nelle tradizioni del Kanun, un antico codice di diritto consuetudinario. Cosa ti ha spinto a esplorare un contesto storico e culturale così lontano dalla nostra quotidianità?
Ogni romanzo si trasforma per me in un’occasione per studiare qualcosa di nuovo. È stato così con Tre gocce d’acqua, dove approfondivo le dinamiche che hanno portato alla rivoluzione del Rojava, e lo slancio degli internazionalisti che sono partiti per difendere la causa. Con Figlia del temporale volevo studiare e fare la conoscenza non solo delle Burrneshe, di cui si sa poco in generale e le cui figure spesso vengono relegate al folclore, ma anche della dittatura comunista albanese, che è stata una tra le più feroci, repressive e impenetrabili. È stato un lavoro di documentazione lungo e impegnativo, mi sono scontrata con molti muri, primo tra tutti quello di dover raccontare qualcosa che per nascita non mi appartiene. Mi sono presa delle inevitabili libertà per amore della storia che volevo raccontare, che è appunto, un romanzo, e che non ha a che fare solamente con il luogo in sé. Volevo anche riflettere sul corpo e sull’autodeterminazione delle donne; lo trovo un argomento più che mai attuale, e il personaggio di Hira mi sembrava un paradigma efficace per portare avanti questa riflessione.
- La protagonista Hira, che poi diventa Mael, è un personaggio di grande complessità. Sceglie di diventare una burrnesh per sfuggire a un matrimonio imposto, rinunciando alla sua femminilità: un atto di ribellione che si trasforma in una nuova prigionia. Come hai affrontato la narrazione di queste identità contrastanti, tra maschile e femminile?
Hira mette in atto una sorta di transizione obbligata: per liberarsi da un matrimonio che non vuole decide di sacrificare il suo corpo e i suoi desideri, sceglie di cancellarsi, di eliminarsi, di diventare Mael. Ma Mael non esiste. Nel personaggio di Hira, il nucleo femminile per quanto represso rimane potente e immutato. Stando alle ricerche che ho svolto, questo lato non viene mai esplicitato, e non credo assolutamente che sia così per tutte coloro che nella vita reale hanno fatto la stessa scelta di Hira, al contrario. Quello che Hira sente non è una verità universale, anche perché le verità universali quando si parla di esseri umani, non esistono. Ma ero interessata alla sfida che questo dualismo si portava dietro, volevo calarmi nei panni di una persona costretta a rinunciare a qualcosa, raccontando nel contempo di una tradizione rara e quasi dimenticata che trovo profondamente interessante.
- Hira è un personaggio che lotta contro le aspettative della società e contro la propria natura. Quanto pensi che le sue sfide siano attuali anche oggi, in un contesto diverso e più moderno?
Come anticipavo, credo che a prescindere dalla storia che ha luoghi e tempi ben precisi, l’argomento sia più che mai attuale e declinabile in moltissimi aspetti della nostra vita. Da donna mi chiedo: a quanto dobbiamo rinunciare, a quali compromessi dobbiamo scendere per sentirci libere, o al sicuro, o pienamente soddisfatte e padrone di noi stesse e delle nostre scelte? E perché non possiamo essere mai tutte queste cose contemporaneamente?
- Il rapporto tra Hira e Astrit è uno degli elementi più intensi del romanzo: si sviluppa in modo non convenzionale, al di fuori delle parole e attraverso gesti e sguardi. Come hai costruito una relazione così intima e particolare?
Astrit è stato sicuramente complicato da gestire, soprattutto nel rapporto con Hira. Astrit non parla, è una creatura del bosco, si trova molto più a suo agio nella foresta che tra i suoi simili. È sicuramente un uomo atipico, ma Hira ha qualcosa in comune con lui, ed è per questo che forse riescono a connettersi anche senza bisogno di parole. Condividono la stessa idea di libertà, sentono le oppressioni della società nella stessa maniera. Fanno scelte forse incomprensibili per gli altri, ma che per loro hanno perfettamente senso. Si assomigliano molto, ed è per questo che a un certo punto cominciano a vivere l’uno in funzione dell’altra, anche se inevitabilmente separati. Non si tratta solo di amore romantico, quanto di fiducia sconfinata e condivisione.
- Guardando alla tua carriera come scrittrice, come si inserisce Figlia del temporale nel tuo percorso? C'è stato qualcosa di nuovo o di diverso in questo progetto rispetto ai tuoi lavori precedenti?
Ci sono alcuni elementi e alcune tematiche che rispetto ai libri precedenti sono rimasti immutati e che rispecchiano il mio percorso di autrice e il mio sentire, ma credo comunque che questo libro sia molto diverso dai precedenti, non solo per l’ambientazione o per la mole di ricerche. Sono uscita dalla mia zona di comfort perché credo che scrivere sia un modo per sfidare se stessi, per vedere dove si arriva, ed è un atto privo di confini fisici o strumentali. Volevo mettermi alla prova, di nuovo. Credo che se non lo facessi, se rimanessi sempre sulle stesse dinamiche collaudate o negli stessi luoghi che conosco bene, mi annoierei, verrebbe meno l’entusiasmo, forse smetterei di farlo.