La vita con emoglobinuria parossistica notturna: pazienti, caregiver e medici si raccontano

Compatibilità
Salva(0)
Condividi

Erika Greco, ricercatrice di ISTUD Sanità e Salute, racconta il progetto di medicina narrativa PANTERA, che ha indagato la quotidianità dei pazienti con EPN

Com’è la quotidianità di un paziente con emoglobinuria parossistica notturna? Qual è il carico fisico ed emotivo che la rara patologia ematologica porta all’interno di una famiglia? Quali sono gli aspetti più critici, nel percorso che porta dalla diagnosi alla gestione della patologia, passando per una presa in carico, si spera, efficace? Sono solo alcune delle domande a cui ha provato a rispondere il progetto “PANTERA - Vivere con l’Emoglobinuria Parossistica Notturna: una ricerca di medicina narrativa”, una ricerca di medicina narrativa realizzata nel 2023 dal ISTUD Sanità e Salute e destinata a pazienti, familiari/caregiver e clinici, con il supporto incondizionante di Alexion AstraZeneca Rare Disease.

Per approfondire che cosa è emerso dall’analisi delle tracce raccolte da ISTUD abbiamo rivolto qualche domanda alla dottoressa Erika Greco, una delle ricercatrici che ha ideato e realizzato la ricerca.

Dottoressa Greco come avete differenziato la comunicazione per il coinvolgimento non solo dei pazienti ma anche dei familiari e dei clinici?

I nostri progetti di medicina narrativa vogliono promuovere una cura più centrata sulla persona e contribuire a una cultura di benessere e salute collettiva, allineandosi perfettamente con l'obiettivo di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, di garantire buona salute e benessere per tutti.

La comunità è chiamata a condividere la propria storia di malattia con l’obiettivo finale di rafforzare il tessuto sociale e creare senso di appartenenza. Coinvolgere tutti i soggetti interessati è quindi fondamentale per la riuscita del progetto in cui i partecipanti sono chiamati a esprimersi su un tema così forte. Abbiamo quindi adottato un approccio multidimensionale differenziando la comunicazione tra pazienti, familiari e clinici, sulla base delle diverse esigenze e aspettative. Per pazienti e familiari abbiamo utilizzato materiali informativi visivi (brochure e poster) con linguaggio semplice e accessibile. Abbiamo poi dedicato sul nostro sito medicinanarrativa.eu una sezione al progetto con accesso diretto al database di raccolta delle testimonianze anonime. Inoltre, sui nostri canali digitali, forniamo aggiornamenti sull’andamento del progetto e i vari milestones nello svolgimento dello stesso.

Allo stesso tempo era fondamentale l’ingaggio dei clinici che mediano la comunicazione con pazienti e familiari. Ai 14 medici dei 7 centri coinvolti abbiamo fornito strumenti visivi (le brochure) da consegnare ai pazienti a visita. Per coinvolgere gli stessi clinici invece utilizziamo una newsletter bisettimanale in cui forniamo aggiornamenti sui dati del progetto, stralci delle narrazioni raccolte in anonimato e curiosità sulla medicina narrativa e le health humanities

Anche la costruzione della stessa traccia narrativa utilizzata segue criteri diversi target-specifici.  Per pazienti e per i familiari abbiamo utilizzato un illness plot, una traccia semi-strutturata pensata per permettere loro di superare il blocco da foglio bianco. Le parole scelte sono quelle del Metalinguaggio semantico naturale: parole semplici e universali. Per raccogliere la testimonianza dei medici, invece, utilizziamo la Cartella Parallela (o parallel chart), uno strumento proprio della Medicina Narrativa che vuole affiancare la cartella clinica. La cartella parallela è pensata per permettere al medico di condividere i propri pensieri, sentimenti e impressioni rispetto a una specifica esperienza di cura di un paziente.Quali sono gli aspetti più comuni evidenziati dai pazienti nel narrare la propria vita con EPN?

Ogni storia di vita è unica e non riproducibile come gli individui che le condividono. Eppure abbiamo individuato alcuni temi ricorrenti all’interno di uno stesso gruppo e tra gruppi diversi di narrazioni. Il sintomo più frequentemente riferito dai pazienti con EPN è la “fatica”, la stanchezza costante e la fatica nel compiere le attività quotidiane. 

Inoltre pazienti, caregivers e clinici offrono una descrizione di un corpo debilitato, affaticato che “perde progressivamente colpi”.  Il tema cardine per questa patologia è quindi quello del limite metaforico. Non solo limite “fisico” ma anche limite “nell’autonomia”. Dai racconti dei curanti scopriamo che i pazienti hanno una limitata autonomia negli spostamenti, dovendo recarsi regolarmente in ospedale per la terapia. Gli stessi curanti definiscono il trattamento infusionale una “salvezza e condanna” e riconoscono tra gli obiettivi terapeutici una migliore qualità di vita per il loro assistito, con particolare riferimento all’indipendenza. Parlando sempre di limite, la vita con EPN limita il quotidiano del nucleo familiare e talvolta i pazienti si sentono di peso per i loro familiari. Passando poi all’impatto sulla vita personale, abbiamo riscontrato una generale interruzione di hobbies, attività sportiva e lavoro. I pazienti riportano di aver perso in media 64 giorni lavorativi annui (su 252 giorni lavorativi, il 25%) a causa della malattia. Ultimi temi comuni nelle storie di EPN sono il ritardo diagnostico e la percezione del tempo. Per avere un inquadramento dell’impatto sociale della patologia i pazienti convivono con la malattia (in media) da 13 anni ma hanno ricevuto una diagnosi solo dopo 7-8 anni.  Se nelle manifestazioni acute delle patologie la diagnosi è un rito di passaggio con l’obiettivo di ripristinare lo stato di salute del paziente riportandolo a prima della malattia, un malato cronico, allo stato di prima del morbo, non tornerà più. Per un malato cronico quindi, l’ospedale non è lo spazio di cura e della risoluzione ma lo spazio del contenimento. L’ospedale allora smette di essere uno spazio e diventa un processo e il tempo delle cure diventa il tempo dell’attesa. Il paziente cronico è un paziente perpetuo e il tempo non gli appartiene. Imparare ad aspettare è quindi la prima strategia di sopravvivenza. 

Le difficoltà emerse si concentrano più nel periodo prima della diagnosi o in quello successivo?

Le difficoltà fisiche e psicologiche che i pazienti e i loro familiari vivono sono comuni a entrambe le fasi. In tal senso la medicina narrativa può giocare un ruolo cruciale, offrendo uno spazio per l'ascolto e la condivisione delle esperienze. 

Prima della diagnosi i pazienti manifestano una serie di sintomi (emoglobina nelle urine, affaticamento, dolore) ma non sempre ricevono una diagnosi nell’immediato. Il periodo prima della diagnosi è quindi un lungo viaggio di ricerca di risposte, caratterizzato quindi da una forte incertezza che può durare anche svariati anni. Dopo la diagnosi, le sfide riguardano gestione e adattamento alla nuova condizione. La gestione della malattia può richiedere farmaci immunosoppressori o trasfusioni di sangue, con potenziali effetti collaterali e quindi limitazioni nella vita quotidiana. La fatica e i sintomi possono poi limitare la capacità di lavorare o partecipare ad attività sociali. Per imparare a gestire questa nuova condizione i pazienti devono spesso modificare il proprio stile di vita. Tutto ciò può far sì che si sentano soli nella loro esperienza, specialmente se non hanno accesso a gruppi di supporto. E così le loro famiglie. Non da ultimo spiegare la malattia a familiari e amici può essere complicato, portando a incomprensioni.

Quali aspetti di gravosità della malattia rilevati da clinici e caregiver si sono rivelati gli stessi evidenziati dai pazienti? Avete rilevato, anche a livello linguistico, una tendenza comune?

Anche a livello linguistico abbiamo questa percezione del limite che si esprime attraverso le parole ricorrenti e le metafore usate per descrivere la malattia.  Le metafore più frequentemente usate rimandano allo scorrere inesorabile e perpetuo del tempo “La malattia è… un deserto infinito” e all’idea della malattia come tormento: Nella mia testa la mia malattia è come un fantasma che mi segue costantemente”. Ricorrente e condivisa dai tre punti di vista è in generale la descrizione di una malattia vincolante, che limita la persona nella sua dimensione mentale e fisica, riducendo drasticamente l’autonomia: “la malattia è un essere umano alla catena”. Un caregiver descrive, ad esempio, la malattia del proprio caro come uno “scalatore di montagna con zaino pieno di pietre sulle spalle” immagine che rimanda alla fatica quotidiana e introduce un tema ricorrente nei loro racconti, quello degli innumerevoli viaggi mancati. La necessità di recarsi regolarmente nei centri limita la normale progettualità familiare. I clinici descrivono la malattia perlopiù con metafore naturali, protagonista una natura arida o esplosiva, “un muro a secco” e “un tornado”.

L’e-book completo, con la sintesi del progetto PANTERA è scaricabile a questo link.

SCARICA E LEGGI ANCHE L'INSTANT BOOK DEDICATO ALLA GIORNATA MONDIALE EPN 2024

Recapiti
info@osservatoriomalattierare.it (Alessandra Babetto)