Tra cultura della sicurezza e dell’eticità dei comportamenti, è la parola responsabilità condivisa ad aver animato l’evento dedicato al lavoro dignitoso, organizzato lo scorso 26 ottobre a Bologna dal Movimento Lavoratori di Azione Cattolica (MLAC) e dalla sezione provinciale delle ACLI di Bologna, e moderato dalla presidente delle ACLI di Bologna Chiara Pazzaglia.
Il MLAC che ha anche colto la palla al balzo, del giorno antecedente e successivo alla tavola rotonda di confronto, per riunirsi nell’Equipe nazionale e confrontarsi sulle verifiche delle ultime iniziative (campiscuola estivi, contest Parrocchie Ecologiche 2024), sugli incontri di formazione online per segretari e vicesegretari diocesani MLAC, sul ventennale delle Giornate di Progettazione Sociale e sul Giubileo del Lavoro del 1-4 maggio 2025.
C’è tutto un percorso internazionale che ha portato l’ILO (International Labour Organization) a coniare il concetto di Decent Work, ossia di Lavoro Dignitoso, istituzionalizzato formalmente nel 2008 con la Dichiarazione sulla Giustizia Sociale per la Globalizzazione Giusta.
Ma quando un lavoro si può definire dignitoso?
“Quando vengono promosse condizioni e valori etici propri del lavoro”, ha asserito il membro dell’Equipe nazionale del MLAC, Alessandro Canelli.
“Ma anche quando viene promosso l’umano, la giustizia, la fraternità, la convivenza pacifica tra i popoli”, ha evidenziato il presidente nazionale di Azione Cattolica, Giuseppe Notarstefano.
“Quando lo si ricorda, in modo martellante, tutti i giorni”, ha ricordato il segretario nazionale del Movimenti Lavoratori di Azione Cattolica, Maurizio Biasci.
“Quando ci ribelliamo rispetto a situazioni che etiche non sono, come la realizzazione e vendita di capi di abbigliamento, a bassissimo costo economico ma a gravissimo costo umano in termini di manodopera, prodotti a Taiwan o in Cambogia o in Cina”, ha sottolineato il membro dell’Equipe nazionale del Settore Adulti di Ac, Donatella Broccoli, a nome del presidente dell’Ac diocesana di Bologna, Daniele Migliozzi, assente per impegni precedentemente presi.
“Soprattutto quando consideriamo e ci prendiamo cura concretamente di ogni tipo di lavoratore, e non solo dei dipendenti”, ha precisato la presidente delle ACLI di Bologna Chiara Pazzagli, che ha moderato il dibattito e le numerose domande dal pubblico.
Un lavoro è dignitoso quando è fonte di dignità personale
Ora, se è vero che un lavoro è dignitoso quando è fonte di dignità personale, di stabilità familiare, pace nella comunità, democrazia e crescita economica, la meditazione proposta dal direttore della Pastorale Sociale di Bologna, don Paolo Dall’Olio, ha colto nel segno, partendo dal brano di Vangelo della parabola dei lavoratori della vigna presi a giornata (Mt 20,1-16), dove gli ultimi contattati percepiscono quanto quelli della prima ora.
Un elemento d’ingiustizia, a seguire esclusivamente il ragionamento umano, che però ha il pieno sapore della giustizia sociale, se pensiamo che il lavoro non va inteso come strumento di prevaricazione tra persone, ma come accompagnamento nella costruzione della cura delle relazioni tra persone e tra persone e creato. Quello di Gesù è, ha sottolineato il sacerdote, un incoraggiamento proprio al lavoro dignitoso. E, quindi, alla capacità di sognare e sostenere un umanesimo del lavoro.
Costruire un ambiente di lavoro sano ed etico
Il lavoro, sicuramente anche come profitto delle aziende in termini di utili e di paghe dignitose, ma certamente non come mera mercificazione delle persone o come produttività cinica. È l’esempio portato dal direttore delle Risorse Umane e membro del CdA del Marchesini Group, Valentina Marchesini, un gruppo leader nel settore del packaging per i settori della farmaceutica e della cosmetica, rispetto al rapporto con i dipendenti, destinatari di diverse attività ricreative-aggregative, ma anche educative all’interno dell’azienda. Come, per esempio, la possibilità per i dipendenti di fare spesa stesso in azienda presso coop. agricole sociali che danno lavoro a persone svantaggiate, di partecipare a sedute di palestra e di corsi di riequilibro posturale, di usufruire di indicazioni del nutrizionista e di avvalersi del servizio di pasti da asporto per la cena.
Sono solo alcuni dei tanti provvedimenti che, nel corso degli ultimi anni, la Marchesini Group ha intrapreso per costruire un ambiente di lavoro sano ed etico e scoprire, così, la forza di essere un gruppo che va nella stessa direzione.
Fare comunità in azienda significa avere cura del lavoro
“Non è importante solo il perché lavoro – ha rimarcato con passione Marchesini – ma anche il ‘per chi’ lavoro, in quale luogo di lavoro, com’è l’ambiente in cui lavoro, quale ambiente cerco e come lo voglio rendere. Comprendere, cioè, che in quel luogo di lavoro, dove passo la maggior parte del tempo della mia giornata (e, forse, della mia vita), dovrebbe sempre formarsi una comunità aziendale. Essere e fare comunità in azienda significa avere cura, prima di tutto, degli stessi valori di chi conduce l’azienda del posto dove lavori. Il tuo lavoro, cioè, deve corrispondere allo stesso valore di quel posto.
E, quindi, è chiaro che non tutti i posti di lavoro sono giusti e indicati per tutte le persone, seppur in presenza casomai di curriculum con fior fiori di competenze di qualità. Puoi avere le migliori competenze, e noi pretendiamo da noi stessi di assumere le migliori, ma non condividere mission e vision di quel luogo di lavoro. In quel caso, quel lavoro sicuramente fa per te, ma non quell’azienda, se non ne condividi gli stessi valori etici”.
Generare relazioni e valori condivisi e corrisposti
Si genera lavoro dignitoso se si generano relazioni e valori condivisi e corrisposti. Le esperienze raccontate con passione dal direttore del CAF delle Acli di Bologna, Simone Zucca, a favore del reinserimento sociale lavorativo di detenuti e detenute della Casa Circondariale, e dalle dinamiche operatici della Caritas diocesana presso la zona dell’Inteporto, Giulia Altieri e Serena Cattalini, che hanno messo in piedi un centro di accoglienza e confronto, rivolto soprattutto agli oltre 6.000 lavoratori del Polo logistico che purtroppo non sempre vivono in condizioni economiche ottimali, hanno mostrato un altro spaccato della cura da garantire alle persone.
Altrimenti tutto rischia di ridursi a lavoro “mercificato” ben poco umano, ampiamente presente purtroppo nei vari contesti territoriali, senza accorgersi delle esigenze e bisogni di chi ci sta di fronte, presi come siamo dai ritmi sfrenati e incalzanti di un mercato che, per essere competitivo, si fa sempre più accelerato, vorticoso e schiacciasassi. E a pagarne prezzi altissimi sono sempre le persone. Promuovere un lavoro dignitoso significa anche ascoltare, accogliere, accompagnare, passo passo, il lavoratore, facendosi attenti compagni di viaggio, attivando relazioni autentiche, costruendo reti significative di competenze e di umanità per offrire nuove prospettive e opportunità concrete e trasformarle in motori di speranza e pilastri del futuro. A partire dal presente che si vive.
Giovanni Pio Marenna è incaricato regionale Mlac-Campania