Canada: faide politiche interne e minacce di dazi Usa. I retroscena delle dimissioni di Justin Trudeau - wipconsulting.it

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Le dimissioni di Justin Trudeau da Primo Ministro canadese e da leader del Partito liberale, carica che ricopriva dal 2015 (seppure queste saranno esecutive successivamente alla nomina del nuovo leader del Partito), hanno suscitato vasta eco internazionale considerata l’importanza economica del Canada e la sua tradizione di paese politicamente stabile, accogliente nei confronti sia degli investitori stranieri sia di migranti in cerca di migliori condizioni di vita.

E benché siano ottimi i rapporti economici tra il nostro Paese e il Canada questa crisi può considerarsi emblematica.

Oltre alle faide interne al suo governo, a detta di molti osservatori, la decisione di Trudeau è stata accelerata in seguito alle minacce del neo eletto presidente Usa, Donald Trump, relative all’introduzione di dazi del 25% sulle merci provenienti da Canada e Messico, nonostante siano entrambi partner nell’accordo di libero scambio USMEC (United States, Mexico, Canada) in vigore dal 2020, che proprio durante la presidenza di Trump  ha sostituito il precedente accordo denominato NAFTA (North American Free Trade Association) entrato in vigore il 1° gennaio 1994.

Se la minaccia dell’imposizione di dazi accomuna molti paesi, in primis quelli dell’Unione Europea, per il Canada, legata economicamente a doppio filo con gli Usa, è una grande preoccupazione: verso il “vicino” statunitense, si dirige poco meno dell’80% dell’export totale, che genera una bilancia commerciale nettamente favorevole per 221 miliardi di dollari canadesi (2023). Se a questo si aggiungono gli attacchi personali di Trump a Trudeau – con la proposta ironica ma politicamente grave di un governatorato Usa sul Canada con Trudeau governatore – si ha idea di come tutto ciò possa avere influito sulla decisione del Premier canadese, anche se le motivazioni derivanti dalle lotte intestine alla sua compagine governativa sono state sicuramente predominanti.

Va anche detto che l’eventuale imposizione di dazi sui prodotti canadesi (e messicani) danneggerebbe anche i cittadini e le aziende statunitensi; basti pensare agli stabilimenti in Canada di Ford e General Motors, solo per citare due marchi statunitensi, e alla filiera di subfornitori che alimentano tutto il settore automotive situato negli Usa, compresi produttori giapponesi ed europei.

Paradosso destinato a riproporsi sia per quanto riguarda eventuali dazi da imporre all’Unione Europea sia, soprattutto, alla Cina in molti altri settori, compresi quelli ad alta tecnologia.

Oltre al rapporto bilaterale con gli USA, va considerato il ruolo a livello internazionale del Canada, che ha in vigore 15 accordi di libero scambio con 51 paesi, fra cui il CETA, in vigore dal 2017 con i 27 paesi della Ue, di cui hanno beneficiato molto aziende italiane, soprattutto del settore agroalimentare, in quanto questo accordo ha portato al riconoscimento di ben 41 Denominazione Geografiche italiane – dal Parmigiano Reggiano al Prosciutto di Parma – solo per fare i due esempi più noti, aprendo così la strada al mercato canadese.

Ulteriore considerazione: dal 1° gennaio 2025, il Canada subentra all’Italia alla Presidenza del G7.  Il Primo Ministro Giorgia Meloni, lo scorso 13 dicembre, ha avuto a questo proposito un colloquio con Justin Trudeau, nel corso del quale sono stati anche ribadite le eccellenti relazioni bilaterali, sia a livello politico che economico, cementate anche dalla presenza di una numerosa e stimata comunità che conta oltre 1 milione di cittadini canadesi di origine italiana.

A livello commerciale l’interscambio fra i due paesi ammonta a 8,1 miliardi di euro (2023) con un andamento stabile anche nei primi nove mesi del 2024, con una bilancia commerciale nettamente favorevole all’Italia, poiché di fronte ai 6,3 miliardi di euro di esportazioni, le nostre importazioni valorizzano 1,85 miliardi di euro.

I settori predominanti delle nostre esportazioni sono quelle dei macchinari, degli autoveicoli e mezzi di trasporto, degli agroalimentari e delle bevande. A tal proposito va menzionata la crescente quota del mercato canadese (in media il 4%) di alcune voci relative all’agroalimentare quali i formaggi, i salumi, l’olio d’oliva, il caffè torrefatto e il vino. Quote significative anche nel settore delle calzature e della pelletteria e del farmaceutico; relativamente ai macchinari l’Italia è leader nel settore delle macchine per imballaggio e della lavorazione di cellulosa e carta.

Se questo quadro di relazioni, tradizionalmente eccellenti, fra Italia e Canada, non subirà significativi cambiamenti con il successore di Trudeau, le vicende canadesi dei prossimi mesi, alla luce del prossimo insediamento di Donald Trump, meritano un’attenzione particolare in quanto emblematiche delle conseguenze, non solo economiche, che potrebbero avere in altri scenari geopolitici.

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