Dal 2008 il mio pane quotidiano lo produco io.

Scelgo la farina, praticando una lievitazione tradizionale con pasta madre, consumandolo fino all’ultima briciola come mia nonna che trasformava il pane rinsecchito in pangrattato, schiacciandolo con un bottiglione di vetro.

Un atto ingenuo che mi permette di riflettere con le mani, oltre che col cervello, su un cibo simbolico che porta con sé tutti i paradossi di un sistema alimentare globalizzato e ingiusto. Negli ultimi decenni il cibo che mangiamo si è trasformato in prodotto industriale, in molti casi è diventato perfino potenzialmente nocivo per noi. Relativamente al grano, l’intervento genetico che ha subito (nanizzazione) è strettamente associato alla modificazione di una frazione del glutine, la “gliadina”, che lo ha reso meno riconoscibile all’organismo, da qui la diffusione di intolleranze.

Chi dice guerra dice fame

Il grano è stato da subito al centro della crisi bellica russo-ucraina. Secondo dati UN, il conflitto ha innescato una crisi che ha spinto 47milioni di persone verso la “fame acuta”: circa il 50% del grano bloccato nei porti ucraini è destinato a progetti del World Food Programme in Africa. L’India, inoltre, sotto la pressione di milioni di contadini eroici – spina dorsale del Paese -, nel 2022 ha vincolato l’esportazione di farine di grano ad autorizzazione governativa. Anche gli eventi climatici estremi, che interessano tutto il mondo, influiscono negativamente sulla produzione e i prezzi – guarda caso – sono strettamente legati proprio al modello agricolo industriale monocolturale che prevede altissimi input energetici esterni (come i pesticidi che spesso ritroviamo nella farina).

In questo quadro, il grano è considerato una commodity il cui prezzo è determinato nelle grandi Borse merci: Chicago, Parigi e Mumbai. I pacchetti più rilevanti di azioni sono in mano a fondi internazionali proprietari anche delle società produttive con un controllo totale del settore, incluse le retribuzioni del lavoro contadino, drammaticamente basse.

Pasta di grano marzellina, Presidio Slow Food

Quindi dacci oggi il nostro grano quotidiano che valorizzi l’agrobiodiversità italiana e che racconti le storie delle comunità e dei territori con le loro innumerevoli diversità. Grani autoctoni che si sono evoluti per secoli nella nostra penisola, resilienti, meno produttivi magari, ma una concreta opportunità per le aree interne: dove poter costruire filiere indipendenti dalle dinamiche globalizzate, che connettono produttori e cittadini e i mulini, capaci di determinare prezzi stabili ed eque retribuzioni (dal grano al pane, il prezzo aumenta di oltre 17 volte).

Dacci un pane agricolo frutto di una produzione cerealicola tradizionale che nel nostro Paese ha generato mille forme del pane.

Barbara Nappini, presidente Slow Food Italia
da Il Fatto Quotidiano di lunedì 13 gennaio 2025