Un cittadino italiano che ha lavorato in Italia per due diverse società dal 2015 al 2018, trasferendosi poi in Francia, e che nel gennaio 2025 intende rientrare in Italia per lavorare nuovamente nella stessa azienda in cui aveva lavorato nel periodo 2015-2016, potrà beneficiare del nuovo regime agevolato per i lavoratori impatriati. Sarà applicabile un periodo di 6 anni invece dei 7 previsti per la permanenza minima all’estero.
La norma prevede infatti una durata maggiore se il datore di lavoro rimane invariato dopo il trasferimento. Questo è quanto contenuto nella risposta n. 41 del 20 febbraio 2025 dell’Agenzia delle Entrate.
Il contribuente aveva sollevato il dubbio che, tornando a lavorare per la stessa società per cui aveva lavorato in Italia nel 2015 e 2016, il periodo di permanenza all’estero necessario per usufruire del regime agevolato sui lavoratori impatriati dovesse essere di 7 anni, come previsto dalla normativa, anziché di 6.
L’Agenzia delle Entrate ha ricordato la normativa sul nuovo regime agevolativo (articolo 5, D.lgs n. 209/2023), che prevede un abbattimento del 50% del reddito complessivo, fino a un massimo di 600.000 euro annui, per i contribuenti che trasferiscono la loro residenza in Italia a partire dal periodo d’imposta 2024.
Requisiti necessari per i lavoratori impatriati
Per beneficiare di questo regime, i lavoratori devono risiedere fiscalmente in Italia per almeno 4 anni e non devono essere stati residenti fiscalmente in Italia nei tre anni precedenti al trasferimento. Se il datore di lavoro italiano è lo stesso di quello estero o appartiene allo stesso gruppo, il requisito di permanenza minima all’estero diventa:
- sei periodi d’imposta, se il dipendente non ha lavorato in Italia in favore della stessa società per cui ha lavorato all’estero, o di una società del suo stesso gruppo;
- sette periodi d’imposta, se il dipendente ha lavorato in Italia, prima del trasferimento all’estero, per la stessa società o una del suo gruppo.
Inoltre, per fruire del regime, è necessario che la maggior parte del lavoro venga svolto nel territorio italiano e che il lavoratore abbia una qualifica elevata.
Nel caso specifico, l’Agenzia delle Entrate ha osservato che, poiché il cittadino tornerà a lavorare per la stessa società per cui aveva lavorato in Italia fino al 2016 (ma non subito prima del trasferimento all’estero), in base ai principi introdotti dalla normativa sul rimpatrio, il periodo minimo di residenza all’estero richiesto sarà di sei periodi d’imposta.
Questo perché, come confermato dal contribuente, non c’è coincidenza tra il datore di lavoro (società o gruppo) per cui aveva lavorato in Italia immediatamente prima del trasferimento all’estero e quello presso cui inizierà a lavorare al suo rientro in Italia.
Redazione redigo.info