Prima che il calendario fosse dettato dal marketing e dagli interessi commerciali che hanno aggiunto e ampliato i momenti di svago, le feste, religiose e no, avevano un loro susseguirsi legato alla natura e al riposo, al divertimento e alla purificazione dell’anima e del corpo.
Una di queste, forse la più misteriosa e senza regole, è il carnevale.
Le radici di questa festa, scatenata e profana, sono molteplici, ebree, cristiane, pagane, ma a governarle c’è il ritmo del tempo che passa e dà una ragione alle azioni: perché non sempre è il momento giusto per ogni cosa.
Il carnevale non ha una data fissa, dipende dalla Pasqua. Infatti il periodo di carnevale, dal giovedì al martedì, cade la settima domenica che precede quella della resurrezione di Gesù. Una festa ricca di simbolismi che sono mutati nel tempo ma, nonostante la crisi climatica, conserva i riti legati alla cacciata dell’inverno.
Il ridere, le burle, le maschere, che in origine raffiguravano gli esseri infernali, gli spiriti, i morti, cioè le forze legate al sottosuolo che possono favorire il risveglio della terra, servivano ad allontanare la morte. In una sorta di rito di fertilità per un’annata propizia. Si cerca di invertire i ruoli sociali: i poveri si vestono da ricchi e questi da accattoni o giullari, uomini da donne e viceversa. Ma soprattutto è il tempo in cui si inizia a stare insieme, scendere in piazza e divertirsi. È il tempo delle grandi mangiate perchè “Quant’è bella giovinezza, / che si fugge tuttavia! / Chi vuol esser lieto, sia / di doman non c’è certezza”, cantava Lorenzo il Magnifico.
Sembra che il termine derivi da carnem levare (togliere la carne) o carne vale (carne addio) poiché anticamente indicava il banchetto che si teneva l’ultimo giorno prima del tempo del rigore e dell’ordine dettato dalla quaresima, dato che il Carnevale si conclude con il martedì grasso, il giorno che precede, nella tradizione cattolica, il mercoledì delle Ceneri.
«Era il tempo grasso, scandito dalla carne di maiale che veniva ucciso in questo periodo», ci dice Pier Carlo Grimaldi, antropologo ed ex rettore dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo.
A Carnevale il fritto vale
Ma è nei dolci che si esprime al massimo della diversità. Ogni regione ha i suoi (due libri per capire i segreti di alcuni di questi I dolci delle feste e Il mondo della pasticceria di Slow Food Editore) che il più delle volte hanno una differenza lessicale più che negli ingredienti. La maggior parte sono fritti, questo metodo di cottura permette di preparare velocemente i dolci rendendoli gustosi senza troppi ingredienti per offrirli a quante più persone possibile a basso costo.
Il dolce simbolo è la classica frittella il cui amore non conosce età. La loro origine sembrerebbe piuttosto antica: deriverebbero dalle frictilia, che si preparavano durante le Liberalia per propiziarsi le divinità protettrici della fecondità rurale. Ecco il profondo legame con il carnevale. Nel nostro Paese se ne contano circa duecento varianti e tutte derivano da impasti più o meno semplici. Eterogenee nelle forme, finiscono immancabilmente per essere tuffate nell’olio bollente e, dopo essere riemerse in superficie, richiedono un’attenta asciugata e una generosa spolverata di zucchero a velo o un’immersione nel miele.
Dolci elementari, battezzati con nomi diversi, ma simili nella composizione. Ritagli di sfoglia fritti, ora chiamati bugie e risòle (Piemonte), ora chisoi, ciaccier e manzòle (Lombardia), di nuovo bugie in Liguria, grostoi o grostoli in Trentino che, valicando il confine veneto, prendono il nome di crostoli ma anche di galani, di sassole, di carafoi, di castagnole (quest’ultimo appellativo è utilizzato anche a Foligno). Non sono cosa diversa le puttanelle (o fichette) marchigiane, le frappe umbre, i parafrittus (o frati fritti) apprezzati in Sardegna, i galluresi frisjoli longhi che possono raggiungere i due metri di lunghezza, i fiocchetti e le genuidde calabresi o i tipici giggi delle Isole Eolie. Non meravigliatevi se in qualche posto sentite parlare di frottole, di chiacchiere, di lattughe, di gale, di donzellini, di nastrini e di zeppole: il dolce in questione non si differenzia dai precedenti.
Numerosi sono anche i fritti ripieni: pensiamo ai fricieu piemontesi, frittelle dorate arricchite da pezzetti di mele renette, alle fritole veneziane nella cui farcia entrano uva passa, pinoli e pezzetti di cedro candito, ma soprattutto ai tortellini dolci di Mantova e Piacenza (turtlitt) confezionati con svariati ripieni, dai più semplici – farcia di mele cotte, sugo di mostarda di mele, biscotti sbriciolati – ai più elaborati come castagne, confettura, frutta candita, noci, pinoli, zucchero, cacao, scorza di limone grattugiata, liquore dolce e caramelle alla menta tritate.
L’elenco dei dolci potrebbe continuare ancora, pochi ingredienti, molta fantasia e soprattutto intatta la voglia di trasgredire.
pubblicato su Giovani Genitori di febbraio 2025
La ricetta
I FRITTI DI CARNEVALE
Tempo di esecuzione: un’ora e un quarto
Ingredienti
– mezzo chilo di farina
– di grano tenero
– 6 g di lievito per dolci
– 2 uova
– mezz’etto di zucchero
– semolato, mezz’etto di zucchero a velo
– un limone
– Marsala secco
– vino bianco secco
– mezz’etto di burro
– olio di semi di arachide
– un pizzico di sale
Grattugiate la scorza del limone e mescolatela sulla spianatoia con la farina, il lievito e lo zucchero semolato. Formate la fontana, rompetevi al centro le uova, aggiungete il burro ammorbidito a temperatura ambiente, il sale, un cucchiaio di vino e uno di Marsala. Impastate molto bene finché non otterrete una massa liscia e soda.
Dividetela e stendete con il matterello sfoglie di spessore non superiore ai due millimetri. Con la rotellina dentata ricavate rettangoli di circa 12 centimetri per 8 e praticate in mezzo da uno a tre tagli, lasciando unite le estremità.
Mettete sul fuoco una grande padella piena a metà di olio, scaldate e, quando raggiunga la temperatura di 150-160 °C, immergetevi, due o tre per volta, i pezzi di pasta. Quando appariranno gonfi, voltateli con delicatezza per farli dorare in modo uniforme, poi estraeteli con una schiumarola.
Man mano che li scolate, adagiateli su fogli di carta assorbente perché perdano l’unto in eccesso, quindi spolverateli con lo zucchero a velo. Dopo averne fritti una ventina, sostituite l’olio. Potete mangiarli caldi, tiepidi o freddi.
Il consiglio per una frittura a regola d’arte
Il segreto per fritti croccanti, asciutti e dorati? L’olio ben caldo, che coagula la superficie all’istante formando un guscio impenetrabile che lascia l’interno morbido e asciutto. Se non siete sicuri che l’olio sia a temperatura giusta, immergetevi uno stecchino di legno o un pezzettino di pane: se si formano delle bollicine tutto intorno vuol dire che è pronto!
Scegliete sempre oli che sopportino bene le temperature elevate e abbiano un punto di fumo (temperatura oltre la quale il grasso alimentare comincia a bruciare, sprigionando sostanze nocive) molto alto. Perfetto per fritture dolci e salate è l’olio di semi di arachide, con un punto di fumo di 180°C. Ancora più alto è quello dell’extravergine di oliva, ma il suo gusto deciso potrebbe non essere indicato per preparazioni dolci.
L’olio in padella deve essere profondo, ovvero ricoprire del tutto gli alimenti ed è indispensabile friggere pochi pezzi per volta per non rischiare di far abbassare la temperatura. Un ultimo consiglio: non utilizzate mai lo stesso olio per una nuova frittura, è poco salutare.
La ricetta e il consiglio sono ptratti dai manuali di Slow Food Editore. Rispettivamente:
I dolci delle feste
Collana: Ricettari slow
Confezione: brossura
Formato: 17×24 cm
Pagine: 304
Prezzo al pubblico: 14,90 €
Prezzo online: 14,16 €
Prezzo soci Slow Food: 11,92 €
Inverno
Collana: Slowbook
Confezione: cartonato mezza tela
Formato: 19×24,5 cm
Pagine: 256
Prezzo al pubblico: 22,00 €
Prezzo online: 20,90 €
Prezzo soci Slow Food: 17,60 €