Seduto alla soglia di una delle Porte Sante aperte verso l’interno delle nostre Chiese, ricordo con un sorriso di coscienza il gesto di Francesco che apriva una Porta Santa e inaugurava un giubileo fuori tempo nel cuore dell’Africa dentro il suono continuo di morte, il grido di ingiustizia, che producono le armi; guardo con curiosità i volti dei carcerati che vorrebbero poter uscire dalla cappella di un carcere attraverso una porta che riconosca che sono cambiati, che sono degni di una vita tra le strade e le case e non solo tra le celle. Mi fermo a pensare sulla soglia e capisco ancora che la speranza è domanda di pace, è richiesta di giustizia, è grido di dignità. Ma se le porte sono pensate sante solo per entrare e non anche per uscire le cose faranno fatica a cambiare così da avere le stesse misure di quelle del Regno.
Eppure, quando Gesù entrò in sinagoga a casa sua, a Nazareth, e gli fu dato nelle mani il rotolo del profeta Isaia diede voce, la sua voce, a quelle parole di carne, grida di riscatto e di rovesciamento degli ultimi, che è ancora possibile vedere e riconoscere sulle soglie delle porte sante. E in sinagoga Gesù si fece misura di concretezza e di realizzazione di quelle promesse. Il giubileo è tempo fra gli uomini in cui le parole di carne diventano promesse. Parole di carne che si vedono e diventano speranza solo perché sono capaci di dirsi e di darsi come promessa per coloro che sono stati spogliati e derubati della loro dignità e della loro giustizia. Parole da Dio nella carne degli ultimi.
Di questa soglia è narrazione ogni Porta Santa. E la sua voce risuona ogni volta per tutti coloro che fanno giubileo. Perché chi sceglie di entrare (e di uscire) attraverso quella porta ne riconosce ancora la voce (come provò Gesù a spiegare a Pilato durante la farsa processo), entra in un vissuto della fede inedito. L’origine della fede, della mia fede, non è la scelta, non è il ragionamento, non sono io stesso, queste sono tutte cose in cui la fede accade come esperienza, ma la radice della fede è l’esperienza che lo Spirito ha donato del Risorto, riconosciuto e amato, ad un gruppo di poveri pescatori, di poche donne, di alcuni discepoli spaventati e disorientati. E il pellegrino della soglia, della voce del Risorto, si scopre capace di far parte di una esperienza evangelica che lo spinge fino all’origine della fede: l’incontro con il Risorto.
E qui, dentro una esperienza che gli è donata per grazia, e non per merito, secondo le misure della compassione che ha riconosciuto come voce alla soglia, e non secondo le misure del proprio io, contempla la bellezza che la fede percepisce: egli, il Risorto, il Vivente, è sempre tra di noi. Tutto ora gli parla di Lui: il Vangelo, la comunità, l’eucarestia, il perdono, i poveri.
Tutto è fatto in memoria di Lui e per mezzo di Lui. Egli è vivo. Non è un’idea, non è un valore, non è una religione. Il pellegrino della soglia allora percepisce il respiro d’anima: il timor di Dio. Il senso di Dio. Il Giubileo è il più grande atto della restituzione di Dio! Il senso di Dio, il respiro d’anima, l’ascolto della soglia. Ascolto, compassione, contemplazione. La santità della porta accanto è la santità della porta giubilare.