Quando si parla di Corea del Sud, l’immaginario collettivo evoca grattacieli scintillanti, tecnologia d’avanguardia, cucina raffinata e cultura pop.
Ma esiste un volto meno patinato di questo paese, spesso taciuto o ignorato: quello delle unità abitative ultra-compatte, conosciute come goshiwon.
I goshiwon sono micro stanze, generalmente comprese tra 3 e 6 metri quadrati, dove vivono studenti, lavoratori a basso reddito, disoccupati, persone con disabilità fisiche o mentali, e altri soggetti economicamente fragili.
Nati alla fine degli anni ’70 nei pressi delle università di Seoul, i goshiwon offrivano inizialmente un rifugio silenzioso per studenti impegnati nella preparazione degli esami di Stato.
Il termine stesso, “goshiwon”, significa infatti stanza per esami.
Oggi, questi spazi minimalisti sono diventati simbolo di precarietà urbana.
Paragonabili alle famigerate “case loculo” di Hong Kong, spesso si tratta di ambienti senza finestre, con pareti sottili e arredi essenziali: un piccolo letto, una scrivania, un mini frigo. Bagni e cucine sono solitamente condivisi.
Economici, ma a che prezzo?
Il principale vantaggio dei goshiwon è il costo: l’affitto mensile oscilla tra i 200.000 e i 300.000 won (circa 140-213 euro), una cifra irrisoria rispetto al milione di won (oltre 700 euro) necessario per un monolocale tradizionale.
Inoltre, non sono richieste caparre o spese di agenzia, rendendoli accessibili a chi non può permettersi i canoni del mercato immobiliare coreano.
Alcune varianti più costose offrono il bagno in camera o una finestra.
Nei quartieri esclusivi di Seoul, come Chungdam-dong e Dokok-dong, esistono goshiwon “premium” da 400.000 a 600.000 won al mese, riservati a giovani lavoratori tra i 20 e i 30 anni, in cerca di indipendenza senza la zavorra economica di un contratto d’affitto tradizionale.
Un’emergenza abitativa mascherata
Secondo i dati ufficiali, quasi l’80% dei goshiwon si concentra tra Seoul e la provincia di Gyeonggi, per un totale di oltre 9.000 unità.
Ma dietro la praticità economica si nascondono rischi: scarse condizioni igieniche, isolamento sociale, pericoli legati a incendi e mancanza di ricircolo d’aria nelle stanze prive di finestre.
In un contesto dove il costo della vita cresce vertiginosamente, i goshiwon sono diventati la “soluzione tampone” per una larga fascia della popolazione.
Eppure, ciò solleva interrogativi più ampi sull’accessibilità alloggiativa, la dignità abitativa e il ruolo dello Stato nel garantire standard minimi di sicurezza.
Riflettiamo insieme
Cosa rappresentano davvero i goshiwon?
Un trampolino per studenti determinati o un triste rifugio per chi è rimasto indietro? Una scelta, o una mancanza di alternative?
Tu ci vivresti, anche solo per una settimana?
Raccontacelo nei commenti.
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