L’espressione nuovi Ogm è potente e infastidisce i promotori di tali biotecnologie già da quando la Corte di Giustizia europea li confinò nella medesima normativa degli Ogm classici.
In Italia, nel tentativo di edulcorarne la narrativa, sono diventati tecniche di evoluzione assistita (Tea), ma la sostanza non cambia, rimanendo frutto di manipolazione genetica. È il tentativo di orientare l’opinione pubblica verso una positiva accettazione della deregolamentazione sui nuovi Ogm su cui si sta lavorando con tanta determinazione a livello europeo.
Dopo lunghi negoziati, è stato approvato un provvedimento che favorirebbe le multinazionali violando l’autonomia degli Stati membri di decidere a che modello di agricoltura affidarsi. Si tratta di una decisione piena di tecnicismi incrociati che tentano di distinguere il lavoro di miglioramento genetico in categorie che hanno un comune denominatore: dimenticarsi del ruolo degli agricoltori e dell’importanza dell’agricoltura nella conservazione di equilibri naturali in cui la tecnologia genetica rischia di entrare in modo inequivocabile.
Davvero si pensa che basti una ridefinizione semantica per alleggerire i vincoli normativi senza che i cittadini se ne rendano conto? Perché non accogliere la richiesta di indicazione chiara nell’etichetta dei cibi legati a nuovi Ogm?
Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia
L’articolo completo è disponibile dal pomeriggio di martedì 1 aprile.
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