“Cosa succederà qui tra quindici anni? Cosa vedremo passando tra queste colline?” Questo si chiedono gli olivicoltori delle mie zone, in Valdambra, Toscana.
Un paesaggio fortemente connotato dagli olivi sui terrazzamenti, un sistema olivicolo che per secoli ha garantito territori e comunità, un ecosistema complesso e prezioso, resiliente, fieramente identitario, consapevole delle interconnessioni tra le persone e gli elementi naturali. Olivicoltori che custodiscono competenze, esperienza e storie, che riconoscono gli errori anche agronomici degli anni Sessanta, che hanno imparato a fare un olio eccellente e chiedono di poter continuare a farlo e sostenersi col loro lavoro.
Slow Food ha creato un Presidio nazionale che promuove il valore ambientale, paesaggistico, salutistico ed economico dell’olio extravergine italiano e dell’olivicoltura e ogni anno pubblica una Guida agli Extravergini. Un progetto, quest’ultimo, che non deve essere inteso solo come valutazione qualitativa dei prodotti, ma come valorizzazione del lavoro che ci sta dietro. Se sosteniamo produttori e materie prime di qualità, lo facciamo perché essi creano sistemi locali del cibo, con ricadute positive a trecentosessanta gradi.
Per contro, il sistema di oliveto superintensivo, fortemente meccanizzato che arriva fino a una densità di 1600 piante per ettaro, viene promosso come la panacea a tutti i mali.
Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia
L’articolo completo è disponibile dal pomeriggio di martedì 8 aprile.
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