«Siamo in presenza di una vita difficile, spesso precaria, il cui equilibrio in definitiva si compie regolarmente a danno dell’uomo, condannandolo senza remissione alla sobrietà. […] Si può dire, semplificando, che il Mediterraneo realizza il proprio equilibrio vitale a partire dalla triade ulivo-vite-grano».
Affrontando Mediterraneo Slow, viene naturale leggere o rileggere le pagine di Il Mediterraneo. Lo spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni, di Fernand Braudel. Il richiamo alle piante di civiltà, nel suo descrivere il rapporto degli uomini con una terra che costringe a un atteggiamento sobrio, non prevaricatore, sintetizza la storia agricola di queste terre, e ci porta, quasi naturalmente, a parlare con Danilo Alfonso Prete, che nei suoi terreni a San Vito dei Normanni, in provincia di Brindisi, di piante di civiltà ne coltiva ben due. Quelli di Tatamà sono gli olivi secolari o anche millenari di varietà Ogliarola salentina e Cellina di Nardò, da cui si ricavano oli monovarietali e blend, ma anche le spighe di grano Senatore Cappelli, che danno origine a diverse tipologie di pasta secca e taralli.
Tatamà
Fin da quando l’ho conosciuto, ero incuriosita da questo nome così musicale, così memorabile. E così gliene ho chiesto l’origine. «Tatamà è l’azienda, ma sono anche io» mi dice Danilo. «Vedi, al Sud le famiglie non sono conosciute solo per il loro cognome, ma anche per il soprannome. Il nostro soprannome, Tatamà, deriva dalla parola tata, che in pugliese significa “papà”, e da Mase, che è l’abbreviazione di Tommaso, il nome del mio bisnonno. Tatamase – abbreviato poi con Tatamà –, alla lettera, vuol dire papà Tommaso».
Fino al 2019 non era questo il nome ufficiale, però: «Prima l’azienda portava il nome della masseria, che è Marmorella, ma c’era un problema di omonimia con un’altra azienda vicina quindi, dovendo cambiare, grazie al consiglio di un’amica ho scelto il nome che avevo già in casa, la nostra storia e il nostro presente, e siamo diventati Tatamà».
Assorbire bellezza
Si può dire che la famiglia di Danilo, con pochissime interruzioni, sia da sempre dedita alla terra. La Masseria delle Marmorelle è del 1400-1500, e la prima visura catastale della masseria, che ricollega la famiglia a quei terreni, risale al 1860. I ricordi di Danilo partono dal nonno Alfonso, e dalle lunghe stagioni della sua infanzia trascorse in campagna, ad “assorbire bellezza”. «Mio nonno Alfonso si dedicava prevalentemente all’allevamento del suino Nero pugliese e alla coltivazione di carciofi. Anche mio padre seguì per un certo periodo la conduzione del podere, ma successivamente decise di trasferirsi a Roma e non poté più occuparsene».
Ed è a questo punto che tutta la bellezza assorbita da Danilo quand’era bambino rientra in gioco. Cosa può acquistare un ragazzo di 20 anni coi primi soldi che ha in tasca? Una macchina, un motorino? Danilo si comprò due ettari di oliveto. «Della mia infanzia mi era rimasta una connessione forte con la terra, con l’idea del lavoro agricolo. Spesi quei soldi con l’obiettivo di iniziare a produrre il mio olio, ma forse a quel tempo non ero ancora pronto, determinato a farne la mia scelta di vita. Ero ancora un ragazzino, se così si può dire, così ho mollato tutto per tornare alla terra nel 2012, e non lasciarla più».
Olivicoltori eroici
Ora Danilo la sua “vocazione” l’ha definitivamente scoperta. È quella terra nel brindisino coltivata da suo nonno e da molte generazioni prima di lui. Una terra che Danilo non usa più per allevarvi suini, e sulla quale si trovano olivi secolari di Ogliarola e Cellina dai quali ricava oli meravigliosi, parte del Presidio Slow Food. Un’agricoltura davvero eroica che si sta scontrando da una decina di anni con il dilagare dell’epidemia di Xylella e che, tuttavia, non è ancora riconosciuta come tale.
Nelle parole di Danilo emerge amarezza. «Si parla tanto di viticoltura eroica» mi dice, «perché i viticoltori hanno avuto la forza di proporsi come tali, di comunicarsi così alla stampa, alle guide e al più ampio pubblico. Il ruolo dell’olivicoltore eroico, invece, non è ancora riconosciuto, anche se a mio avviso siamo davvero eroici nel continuare a mantenere i nostri olivi, nel lottare per la loro sopravvivenza cercando di stressare il meno possibile le piante – e a volte non ci riusciamo – nel mantenere un paesaggio mediterraneo che è bello in modo commovente e nell’offrire un prodotto che rappresenta il legame con questa terra in maniera profonda».
«Da quando ho riscoperto la terra non ho più voluto lasciarla, anche se costa tantissime rinunce e sacrifici». Rinunce, sacrifici e una bellezza estrema che sta anche a noi consumatori riconoscere, premiare, acquistare. Non acquistando oli venduti a pochi euro al litro nei supermercati, e soprattutto capendo cosa c’è in ogni goccia di olio Tatamà: la storia di una pianta secolare, le sue radici espanse, il suo sapore che è meno spinto degli oli da Coratina barese, ma sempre autenticamente pugliese, autenticamente territoriale. Sta anche a noi, insomma, riconoscere questo eroismo e dargli voce, a partire dalle nostre tavole.
Tatamà a Mediterraneo Slow
Tatamà è una delle oltre 80 aziende presenti nel mercato di Mediterraneo Slow, in Piazza Immacolata e Piazza della Vittoria. Tra queste, molti produttori dei Presìdi Slow Food, dalla Puglia e non solo. L’elenco completo sarà visualizzabile alla pagina Mercato, non appena disponibile.
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Oltre all’olivo… Il grano e i carciofi
Non solo olivi. Sul terreno di Tatamà, infatti, si coltivano anche grani antichi per la produzione di pasta, frise e taralli, e insieme ad altri 3 produttori del territorio, si è anche riavviata la produzione del carciofo della Terra dei Messapi, oggetto di un recente Presidio Slow Food.
I coltivatori locali lo chiamano anche carciofo “brutto” perché i suoi capolini si notano tra gli altri esposti sulle bancarelle, per via del capolino più aperto. Ma l’aspetto non rende giustizia a questo ecotipo locale di carciofo che, al contrario, è di grande qualità. In un contesto agricolo spesso caratterizzato da un’agricoltura intensiva che impiega diserbanti, fungicidi, che concima con prodotti di sintesi, peggiorando una situazione ambientale già compromessa da realtà industriali a forte impatto, un nucleo di produttori di Carovigno, Ostuni, San Vito dei Normanni, San Michele Salentino e Ceglie Messapica ha scelto invece di intraprendere un percorso virtuoso, preservando un ecotipo locale e coltivandolo secondo tecniche sostenibili e rispettose della tradizione.
«Coi carciofi siamo solo all’inizio» mi dice Danilo. «Al momento, anche grazie a Marcello Longo, abbiamo unito le forze in quattro e abbiamo ripreso in mano la coltivazione di questa varietà locale che è anch’essa espressione di biodiversità, cultura, legame col territorio. Per ora si tratta perlopiù di giardini, la coltivazione avviene su pochi ettari di terreno, ma perseguiamo con costanza il nostro obiettivo di riportare questo carciofo sulle tavole, sia fresco sia sotto forma di sottolio».
Guardiamo allora a questi giardini mediterranei con amore, attesa, gioia. Perché sappiamo tutto il bello, e il buono che può nascerne.
di Silvia Ceriani, info.eventi@slowfood.it
Tatamà Azienda Agricola
Contrada affarano s.n., San Vito dei Normanni (BR)
tatamaaziendaagricola.com