Qualche tempo fa, così papa Francesco affrontava il tema esistenziale della malattia e della sofferenza, rivolgendosi ai partecipanti della plenaria della Pontificia commissione biblica: «Tutti vacilliamo sotto il peso di queste esperienze e occorre aiutarci ad attraversarle vivendole in relazione, senza ripiegarsi su sé stessi e senza che la legittima ribellione si trasformi in isolamento, abbandono o disperazione». Nella Bolla di indizione del Giubileo ordinario dell’anno 2025, Spes non confundit, ritroviamo tra i segni di speranza la cura offerta agli ammalati e una maggiore inclusività verso chi sperimenta la debolezza.
Gesù ha annunciato il regno di Dio come dono di salute e di salvezza per tutti gli uomini soprattutto attraverso l’incontro con i poveri, i malati e i sofferenti. La Chiesa, contemplando il mistero della sua passione, morte e risurrezione, rende presente la speranza, dono della Pasqua di Cristo, attraverso l’annuncio della parola, la celebrazione dei sacramenti e la preghiera, i segni della comunione fraterna e del servizio amorevole e competente verso quanti soffrono.
La sofferenza è una chiamata alla salvezza. E una vocazione
La risposta derivante dell’incontro con Cristo conduce alla risposta all’interrogativo sul senso della sofferenza: essa è una chiamata, una vocazione. Cristo non spiega in astratto le ragioni della sofferenza, ma invita l’uomo a prendere parte all’opera di salvezza del mondo, che si compie per mezzo della sua sofferenza. La risposta di Gesù è vitale, è fatta di compassione e di solidarietà, si accosta all’uomo entrando nel suo mondo soggettivo, per comprenderlo e assumerne la sofferenza e, così, salvarlo. Cristo ha trasfigurato il nostro dolore fino in fondo, si è caricato della nostra sofferenza, ha offerto la sua vita come dono d’amore: «dalle sue piaghe siete stati guariti» (1 Pt 2,25).
La compassione che, permette di accostarsi all’altro, e contribuire alla sua guarigione, trae origine e forza dal riconoscimento, accettazione e integrazione delle proprie ferite e sofferenze. Associando spiritualmente la propria croce alla croce di Cristo, si rivela davanti a noi il senso salvifico della sofferenza. E allora l’uomo è in grado di trovare nella sua sofferenza la pace interiore e perfino la gioia spirituale (cfr. Lett. Ap. Salvifici doloris, 26).
Il buon samaritano
In definitiva, credo sia necessario lasciarsi illuminare dall’icona del Cristo buon samaritano, che offre alla nostra attenzioni alcune caratteristiche preziose: intensità affettiva verso l’uomo e il suo desiderio di felicità, opposizione al male e alle malattie, costante atteggiamento di servizio all’uomo, impegno a reintegrare il malato nella comunità. Ogni cristiano è chiamato ad avere gli stessi sentimenti del buon samaritano che vide il malcapitato, ne ebbe compassione, gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Ogni forma di responsabilità inizia con la consapevolezza esterna del vedere che si coniuga con la risposta interiore, con il fremito del cuore, il quale si lascia commuovere facendosi vicino, prendendosi cura, facendosi compagno di cammino.
Sono ancora illuminanti le parole di papa Francesco: «Attraverso l’esperienza della sofferenza e della malattia, noi, come Chiesa, siamo chiamati a camminare insieme a tutti, nella solidarietà cristiana e umana, aprendo, in nome della comune fragilità, opportunità di dialogo e di speranza».
- La sofferenza è una chiamata alla salvezza è stato pubblicato su Segno nel mondo-Avvenire dell’11 marzo