In una lettera indirizzata al Ministro Calderone, i Consulenti del Lavoro evidenziavano criticità nella circolare n. 6/2025, recante prime indicazioni in materia di lavoro circa le disposizioni di cui alla Legge n. 203/2024. In particolare, riscontravano problematiche in relazione alla misura in materia di risoluzione del rapporto di lavoro disciplinata dall’articolo 19 di quella stessa Legge.
La circolare afferma che il termine di quindici giorni costituisce un limite minimo inderogabile, modificabile dal CCNL solo in senso favorevole, prolungandolo. I professionisti del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro sottolineano come il legislatore abbia lasciato ampio margine alla contrattazione collettiva per definire il termine, senza imporre limiti minimi ulteriori. In questo senso, il termine legale dovrebbe operare in via residuale, solo nei casi in cui il CCNL non disponga diversamente, garantendo così una maggiore flessibilità nell’adattamento alle specifiche esigenze dei vari settori e l’autonomia contrattuale sancita dalla normativa stessa.
Ancora, i CdL chiedono un chiarimento interpretativo circa la soluzione da adottare quando il datore di lavoro non ripristini il rapporto, ritenendo insufficiente la prova offerta dal lavoratore o non condividendo la verifica dell’Ispettorato o, di più, nell’ipotesi di presentazione delle dimissioni per giusta causa successivamente alla procedura menzionata.
In questo contesto, andrebbe verificato se la ricostituzione del rapporto di lavoro non possa essere disposta dall’ITL (Ispettorato Territoriale del Lavoro), ma debba essere oggetto di decisione del giudice, soprattutto laddove il datore di lavoro riceva la notifica di dimissioni per giusta causa da parte del lavoratore in un momento successivo all’avvio della procedura.
La risposta del Ministro
Il MLPS ha riesaminato gli aspetti critici di cui alla missiva ed ha risposto con sua propria lettera, nella quale ha stabilito che il limite legale dei quindici giorni di assenza ingiustificata, decorso il quale scatta la risoluzione di fatto del rapporto di lavoro, “opera in via residuale, in assenza di previsione contrattuale. Tuttavia, l’espressione utilizzata dal legislatore (art. 19, L. n. 203/2024) per la quale il termine deve ritenersi in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni, ha fatto propendere per la considerazione, di prudenza, della non agibilità della previsione di termini inferiori da parte della contrattazione collettiva”.
Nonostante l’articolo 19 sopra menzionato non preveda “espressamente” l’inderogabilità del termine dei quindici giorni – precisa il Ministero – la norma non consente “interpretazioni peggiorative della posizione del lavoratore”.
Sui dubbi espressi dal CNO sulle conseguenze per mancato ripristino del rapporto di lavoro, il Ministero evidenzia la necessità di distinguere tra le diversi ipotesi prospettate. Di conseguenza, se “superato il termine per l’assenza ingiustificata e comunicata la circostanza all’Ispettorato territorialmente competente, quest’ultimo verifichi l’insussistenza dei presupposti richiesti dal nuovo comma 7-bis dell’art. 26, D. Lgs. n. 151/2015, il rapporto di lavoro dovrà pur sempre essere ricostituito per iniziativa del datore di lavoro”. Se, però, quest’ultimo non ritiene valide le ragioni del lavoratore, il rapporto di lavoro non potrà ricostituirsi in automatico. Viceversa, ove il lavoratore, dopo l’avvio della procedura di cui al nuovo comma 7-bis, “ma prima che la stessa abbia prodotto il suo effetto dismissivo, comunichi le proprie dimissioni, queste ultime produrranno gli effetti previsti dalla legge dal momento del loro perfezionamento”.
In caso di dimissioni per giusta causa – prosegue il Dicastero – la verifica della sussistenza delle ragioni che hanno portato al recesso del lavoratore potrà essere oggetto in un successivo contraddittorio tra le parti, anche in sede giudiziale.
Redazione redigo.info