Una nuova Europa nasce dalle lotte di liberazione - Azione Cattolica Italiana

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Noi italiani siamo soliti pensare alla Resistenza come a un evento drammatico ed eroico, controverso e sanguinoso, marcato dalla violenza e dalla guerra civile tra fascisti e partigiani. Per alcuni, la Resistenza armata è stata dominata dai comunisti, mentre i cattolici si sarebbero concentrati sul soccorso agli indifesi e ai perseguitati. Il tutto, poi, si sarebbe svolto tra l’8 settembre del 1943 e il 25 aprile del 1945. In ogni caso, l’orizzonte geografico è esclusivamente quello dell’Italia centro-settentrionale. C’è molto di vero, naturalmente, in queste convinzioni. Ma anche molto di incompleto (Una nuova Europa nasce dalle lotte di liberazione è il primo articolo del dossier dedicato al 25 aprile su Segno nel mondo 2/2025, in uscita domani con Avvenire).

Usciamo dai confini nazionali

In Europa, la Resistenza contro i tedeschi è durata quanto la guerra mondiale, dal 1939 al 1945 e si è svolta anche contro il Regio esercito, nei Balcani occupati, dove gli italiani hanno reagito usando metodi molto simili a quelli nazisti. In tutta Europa, uomini e donne di ogni tendenza politica e religiosa si sono opposti agli invasori con crescente convinzione. I comunisti vi sono entrati solo a cose iniziate, dopo il 22 giugno 1941, data dell’attacco della Germania all’Unione Sovietica. Essi hanno dato un contributo essenziale, ma una certa pretesa di monopolio della Resistenza da parte loro non ha motivo di esistere. Ovunque, dalla Norvegia alla Francia, dai Paesi Bassi alla Grecia, troviamo in prima linea militari di carriera e di leva, preti e suore, credenti e non credenti, di destra e di sinistra. 

Basta usare un qualsiasi motore di ricerca nella rete per avere notizie su donne straordinarie. In Francia, per esempio, Geneviève de Gaulle (cattolica), Germaine Tillion (laica), Danielle Casanova (comunista) e madre Marija (monaca ortodossa); in Polonia, Zofia Kossak (cattolica) e Wanda Krahelska (socialista), animatrici di una vasta rete di soccorso agli ebrei. Per non parlare di quanto avvenne nello stesso Reich, dove l’opposizione al regime nazista si manifestò soprattutto attraverso la propaganda clandestina e l’obiezione di coscienza. Furono numerosi gli oppositori che finirono sotto la lama della ghigliottina, a cominciare dai giovani della Rosa bianca (straordinaria esperienza ecumenica), arrivando a Max Josef Metzger, il prete pioniere dell’ecumenismo e della pace tra i popoli europei.

Già, l’Europa

Si è polemizzato in questo periodo sul Manifesto di Ventotene. Pochi (o nessuno?) hanno ricordato che quel testo è solo la punta più visibile di una montagna di testi che, in tutto il continente, sono stati diffusi per sostenere la causa del federalismo, visto come condizione necessaria per evitare una nuova guerra civile tra gli Stati europei.

Gli scritti clandestini della Resistenza cattolica, in Italia, Francia, Germania, testimoniano questa speranza, anche come modo per non soccombere di fronte alle superpotenze americana e russa (Quanta attualità in certe frasi di allora).

Che dire allora dei cattolici?

Tra il 1939 e il 1945 essi si divisero ed è inutile negare che ci fu pure chi guardò con simpatia alla causa delle dittature. Ma la parte migliore e più vivace delle comunità cristiane scelse in modo differente. Ovunque, le reti di soccorso per tutte le categorie di perseguitati videro preti e suore in prima linea. 

Nei lager più spaventosi finirono anche tante suore, come lafrancese Marie Élisabeth de l’Eucharistie (Élise Rivet), morta eroicamente a Ravensbrück. Preti coraggiosi si trasformarono in lavoratori per assistere i giovani connazionali costretti al lavoro nelle fabbriche tedesche: l’esperienza dei preti operai nascelì. Le baracche di Dachau, destinate a sacerdoti di tutti i paesi, furono un piccolo-grande incubatore dell’ecumenismo. 

Soci e socie dell’Azione cattolica parteciparono in prima persona a questa lotta quotidiana. Non solo in Italia, ma in Francia, in Belgio,in Germania e Austria… Insieme a loro giovani aderenti allo scoutismo cattolico o ad altre forme organizzative.

E le armi? 

Negli ultimi decenni si è in qualche modo affermata l’idea che i cattolici di quel tempo ragionassero come quelli di oggi. La memoria diffusa ha insistito sull’opera di soccorso, quella che abbiamo appena rievocato. Ebbene, nulla di più parziale. La Resistenza dei cattolici fu anche lotta armata, perché quelle generazioni erano state educate a obbedire ai rispettivi governi, anche quando comandavano di entrare in guerra e di uccidere. 

Due, semmai, erano i problemi per i cattolici. 

Il primo, specie in Francia e in Italia (dove diverse autorità si contendevano il titolo di legittimità), era quello di capire a chi si doveva obbedire. Teologi illustri – come Pierre Chaillet, Henri de Lubac e Charles Journet – sposarono la tesi della Resistenza e ammisero la liceità dell’uso delle armi. Giovani di forte spiritualità – come i nostri Gino Pistoni, Luigi Pierobon, Teresio Olivelli – militarono in formazioni armate, come tantissimi altri.

Il secondo problema fu costituito dai criteri da usare nella lotta armata. Da noi e nella vicina Francia si diffuse il principio dell’”uccidere senza odio”. Con quell’espressione si voleva ribadire la necessità di porre dei limiti: evitare la violenza superflua (come le torture), così come i rischi di rappresaglie sulle popolazioni civili, ma anche rifiutare l’incitamento all’odio ed essere pronti a soccorrere il nemico ferito e a trattare con umanità il prigioniero.

Studiare le vicende delle Resistenze, italiana ed europee, significa dunque cogliere una ricchezza di persone e di temi che va custodita gelosamente. Sia per onorare chi ha costruito la nostra libertà e chi ha sognato un’Europa diversa, sia per alimentarsi alla fonte di tante donne e tanti uomini coraggiosi.

Ma anche per costruire insieme una memoria europea, una strada obbligata se vogliamo evitare di far i conti con un’Europa solo delle burocrazie e delle banche.

Recapiti
Giorgio Vecchio