La Chiesa che uscirà dal prossimo Conclave avrà davanti a sé almeno tre sfide cruciali. Sfide che riguardano il suo rapporto con il mondo e altrettante che invece si rivolgono al proprio interno.
La sfida geopolitica
Il mondo è in fibrillazione. Le guerre, la fragilità economica nata dalla globalizzazione selvaggia e il pugno duro delle autarchie non può non interessare la Chiesa cattolica. Lo abbiamo visto ai funerali di papa Francesco, quando il mondo intero, i sovrani, i principi, i capi, i presidenti delle nazioni, insieme al popolo e ai rappresentanti delle altre religioni, hanno voluto tributare un omaggio a Francesco non solo affettuoso, ma anche di sostanza. Il mondo ha bisogno, oggi ancor più di ieri, di un Papa che sappia essere non solo il capo del cattolicesimo, ma un generoso interprete della tolleranza tra i popoli, del dialogo e del rispetto tra le nazioni, dell’eguaglianza e della fraternità. Nella geopolitica di un mondo frenetico e impazzito, le religioni hanno, ancora una volta, una loro fondamentale importanza. Ancor di più il cristianesimo. Una Chiesa che guarda al futuro, non può sottrarsi al suo mandato spirituale di pacificatrice dei cuori e delle coscienze di ogni angolo della terra.
La sfida del rito
Per poter guardare “fuori” con maggior slancio e autorevolezza, la Chiesa avrà bisogno di rivedere il suo rapporto con il rito, soprattutto nell’Europa ricca e sempre più secolarizzata. È vero che il Concilio Vaticano II ci ha condotti a rileggere la tradizione con un altro approccio, con uno sguardo nuovo e diverso. Non anzitutto dottrinale o disciplinare – scrive Andrea Grillo – «ma come narrazione e azione, come Parola e Sacramento. Il Concilio Vaticano II è un atto di fedeltà alla tradizione, che la libera dagli irrigidimenti dottrinali e disciplinari, e che esige di riconsiderare le “fonti” della tradizione». Ma è anche vero che il rito e la sua rappresentazione che è la liturgia, ha bisogno di un riappropriarsi dei suoi connotati estetici e, appunto, rituali.
Liturgia e tempio
Papa Francesco ci ha insegnato, attraverso il gesto della lavanda dei piedi durante la Messa in Coena Domini in un carcere, lavando i piedi anche alle donne, che quel gesto rituale è anch’esso liturgia. Insieme a questi gesti che abbracciano l’intera umanità, la liturgia ha bisogno di ritrovare nel suo tempio e nella sua estetica, la sua tradizione, certo rinnovata.
La sfida del rito (e dei riti) è forse il più grande impegno che la Chiesa si troverà davanti. Per guardare a sé stessa, al suo interno. Per ritrovare gioia e speranza in un rito che accoglie nel suo mistero e nella sua beatitudine.
C’è tanto da rimettere in gioco. Le Chiese dell'”altra parte del mondo” ci spingono a rivitalizzare la nostra liturgia europea, ormai completamente secolarizzata. La spiritualità proveniente dall’Asia, le Chiese d’Oriente con il loro simbolismo sacro, la liturgia popolare latino-americana e quella africana.
Per l’Europa è un’occasione da non perdere. La musica sacra, per esempio, incredibilmente lasciata fuori dalle messe ordinarie con un danno anche di trasmissione della fede incalcolabile, soprattutto verso le nuove generazioni. Ma anche tutto il resto che orbita intorno alla liturgia: dalle omelie lunghe e senza senso biblico alla ricerca di un silenzio meditativo che dovrebbe tornare a essere il principale attore dell’avvicinamento a una liturgia sobria e allo stesso tempo bella.
La sfida del sacerdozio
Aumentano i cattolici nel mondo ma calano i sacerdoti, secondo i dati statistici che emergono dall’Annuarium Statisticum Ecclesiae 2022 e dall’Annuario Pontificio 2024. Il numero totale dei sacerdoti nel mondo è sceso a 407.730 (meno 142 rispetto all’anno precedente). A segnare il calo è soprattutto ancora l’Europa (meno 2.745), seguita dall’America (meno 164). Viceversa, gli aumenti significativi sono in Africa (più 1.676) e in Asia (più 1.160), con l’Oceania, dopo il dato in aumento nel 2021, torna ora in negativo (meno 69).
Solo numeri, dunque?
No, c’è molto di più in gioco. La crisi del sacerdozio, non solo numerica, è oggi una crisi di funzione, di ruolo, pastorale. Costretti, nella gran parte dei casi, a essere gli amministratori delegati della “parrocchia multiservizi”, non trovano più il tempo per essere guide spirituali della comunità che è stata a loro affidata. In più, soprattutto dopo gli anni del Covid, i sacerdoti vivono spesso il loro (lavoro?) in una sorta di solitudine che a volte rende difficile la necessità di passare dall’ansia alla gioia missionaria. Le messe vuote, poi – vuote perché la partecipazione alla messa è scesa radicalmente e vuote, in tanti casi, di bellezza liturgica -, fanno il resto.
Eppure, mai come oggi, abbiamo bisogno di sacerdoti intelligenti e innovatori, sorridenti e aperti, e vere guide spirituali. Alla Chiesa il compito, non facile, di trovare soluzioni per la formazione dei preti, cominciando dai seminari che non sembrano più convincere in questo senso.
Il tempio ha bisogno del popolo di Dio e dei suoi pastori. Insieme. Inutile far finta di nulla. Ecco perché un ripensamento del ruolo dei sacerdoti e del loro essere missionari, diventa oggi una delle sfide più importanti per la Chiesa futura. E dietro le tre sfide cruciali per il “dopo” Francesco, non meno importanti, si celano le altre: una teologia rinnovata e creativa, il ruolo delle donne, e soprattutto una parola che il recente Sinodo dei vescovi sulla sinodalità ha messo al centro dei propri pensieri: la corresponsabilità tra laici e gerarchia.
Forse è arrivato il momento che questa parola diventi realtà.