La ricerca della casa
È il 2019 e Henry vive da 3 anni con la famiglia in un appartamento, a pochi chilometri dal centro di Bologna, per cui paga regolarmente l’affitto. L’edificio viene però messo in vendita e il nuovo proprietario comunica a Henry che presto inizieranno i lavori di ristrutturazione e che, entro il 2021, dovrà andarsene. Così inizia la ricerca, che si dimostra ben presto più difficoltosa di quanto pensasse.
“Quando chiamavo, mi chiedevano subito se ero straniero e mi dicevano che l’appartamento non era più disponibile. Però io qualche settimana dopo ripassavo da lì e vedevo che il cartello c’era ancora”. Henry vede gli annunci delle agenzie immobiliari e le contatta per avere informazioni o fissare un appuntamento, ma non riesce mai a ottenere né le une né l’altro. “Appena sentivano il mio accento trovavano una scusa per chiudere in fretta, senza nemmeno farmi parlare”: non è mai riuscito nemmeno a spiegare la sua condizione, quella di una persona con regolare permesso di soggiorno, doppiamente laureata, un lavoro stabile, un’automobile di proprietà e un contratto di locazione già in essere.
Intanto, i lavori all’edificio in cui viveva iniziano e Henry e la sua famiglia non possono fare altro che conviverci mentre continuano a cercare.
Il contatto con Nausicaa
Sono i Servizi Sociali che segnalano il suo caso, nel maggio del 2024, indirizzando Henry verso il Progetto Nausicaa e gli uffici di Arca di Noè.
Così inizia il suo percorso di accompagnamento abitativo: una serie di incontri personalizzati con l’educatrice della Cooperativa per imparare a orientarsi e muoversi meglio nel mercato immobiliare. “Ho capito come fare la ricerca su internet, quali siti vedere e cosa guardare per capire se l’annuncio era adatto a me o no. E poi ho imparato a inviare delle email di presentazione prima di telefonare, per rassicurare l’agenzia sulle mie credenziali e la mia serietà”.
Nelle settimane di affiancamento è riuscito a superare la barriera di diffidenza che incontrava all’inizio. Ha allargato il raggio della sua ricerca, spingendosi fino a San Felice sul Panaro e Molinella, e ha visitato alcuni appartamenti. “Ce n’era uno molto bello, a Monterenzio, ma poi il proprietario non ha voluto proseguire”.
Da gennaio 2025 Henry vive in un appartamento di poco più di 50 mq non troppo distante dal luogo di lavoro, con un affitto mensile quasi doppio rispetto a quello precedente ed un contratto a canone concordato. Con il suo stipendio deve far fronte anche alle rate mensili per la restituzione di un prestito alla banca, ottenuto per poter integrare il titolo di studio della moglie che ha un diploma da infermiera non riconosciuto in Italia. Proprio sua moglie, tornata temporaneamente in Nigeria, lo raggiungerà di nuovo qui a Bologna tra qualche giorno, e vedrà per la prima volta la loro nuova casa. “È piccola, ma dignitosa e quando la mostro a mia moglie in video è molto contenta ed eccitata all’idea di tornare qui. E questo mi rende felice”. Dopo poco aggiunge: “Mi sento un po’ egoista a dirlo, ma io sto bene solo se riesco a far stare bene la mia famiglia, altrimenti non mi sento a posto con me stesso”.
L’abitazione in cui si trova è stata reperita tramite il passaparola della parrocchia che frequenta Henry. “Ma oggi, se so cercare una casa, lo devo a Nausicaa” – dice Henry – “mi hanno anche supportato economicamente, per coprire alcune spese iniziali. È stato un grande aiuto!”.
A questo punto del racconto, gli chiediamo di parlarci dei vicini e dei contatti con loro: sappiamo infatti che in molti casi la diffidenza verso le persone di origine straniera si ripercuote anche nei rapporti tra condomini. Lavorando di notte e dormendo di giorno, non ha avuto molte occasioni di conoscere gli altri abitanti del palazzo, ad eccezione di una coppia di persone anziane. “Si sono presentati da me un pomeriggio con una torta in mano. Mi hanno detto che era un tipico dolce bolognese (il certosino – ndr) e mi hanno chiesto se per favore potevo evitare di fare andare la lavatrice, un po’ vecchia e rumorosa, in certi orari, perché li disturbava”. Un gesto che Henry ricorda come una cosa speciale: “Loro avevano una richiesta giusta, però per farmela mi hanno portato un dono. È stato un modo per aprirsi e venirsi incontro e credo che questa strada sia l’unica possibile per convivere bene”.
“Se io scrivo 6 e tu leggi 9, abbiamo ragione entrambi”
Prima di salutarci, facciamo a Henry un’ultima domanda: cosa consiglieresti a chi, da persona migrante, arriva qui a Bologna per restare e cosa diresti, invece, ai residenti? “Di avere pazienza”, risponde senza esitazione. Lo direbbe a tutti. “Prima di tutto a noi, che siamo qui e dobbiamo capire la vostra cultura e accoglierla, perché questo ci arricchisce. E poi a voi, perché purtroppo, come in ogni gruppo di persone, anche tra chi ha origine straniera ci possono essere individui che vivono momenti difficili, ma non per questo si può generalizzare o alimentare stereotipi”.
Ci sono aspetti dell’identità culturale altrui che possono risultare fastidiosi, spiega Henry, come ad esempio gli odori della cucina. In Nigeria il cibo è molto speziato e questo può far storcere il naso a qualche vicino, che prende per puzza ciò che per altri è profumo di casa.
“Se io disegno sulla terra un 6 e tu sei di fronte a me e leggi 9, non hai sbagliato. Abbiamo ragione entrambi. Dobbiamo solo trovare il modo di comprendere il punto di vista l’uno dell’altro”. Questo è il segreto dell’integrazione.
Ringraziamo Henry per aver condiviso con noi la sua storia, il suo vissuto e la sua saggezza.