Quanto l’intelligenza artificiale (IA) può supportare processi di inclusione lavorativa di persone con disabilità e in particolare di soggetti neurodivergenti? Lo abbiamo chiesto ai nostri amici di Ideabili e Winclusive che abbiamo conosciuto a In&Aut Festival nel 2024 e nello stesso anno sono stati fra i protagonisti dello Speciale FormidAbili Social TV per il Salone della CSR e dell’Innovazione Sociale di Milano. Jean-René Gain, socio di Ideabili e responsabile del progetto lavoro Winclusive (nell’immagine è insieme a Vincenzo Giacalone, co-fondatore di Ideabili), ci racconta come sta andando la sperimentazione dell’IA.
Perché l’IA per l’inclusione?
Perché l’IA può rappresentare un validissimo partner nell’ambito dell’ecosistema di persone e organizzazioni che ruotano intorno alle persone neurodivergenti, contribuendo al loro sviluppo di competenze e di autonomia nella prospettiva dell’inserimento lavorativo.
Qual è stato il vostro approccio?
Nell’ambito del gruppo dei volontari Winclusive, attualmente una quindicina di persone, verso fine 2024 abbiamo definito un gruppo di lavoro e individuato una persona con esperienza nell’IA e capace di guidarci a capirne principi, potenzialità, applicazioni. Abbiamo iniziato ad operare micro-estrazioni di dati dalla nostra piattaforma. Poi con questi dati abbiamo iniziato a fare test con una serie di motori di IA, anche in collegamento fra loro, cioè utilizzando i risultati offerti da uno per alimentare l’altro.
In quali fasi avete visto che il contributo dell’IA può essere più importante?
Il progetto Winclusive prevede che attraverso un’interfaccia online, cioè il sito, si raccolgano due tipologie di profili: di soggetti neurodivergenti, e professionali o oggetto di percorsi formativi. Quando riceviamo questi profili, avviamo una procedura di estrazione dei dati nella piattaforma di lavoro. In termini generali, la nostra attività sui dati avviene in tre momenti: una fase di generazione di dati, che va a sviluppare nuovi contenuti; una fase di analisi dei dati; e una di interpretazione dei dati. Nelle nostre sperimentazioni abbiamo visto che l’utilizzo dell’IA può aggiungere valore in ciascuna di queste tre fasi: generazione, analisi e interpretazione dei dati. Bisogna tener presente, però, che si tratta di un processo trasversale, che interseca varie dimensioni: la dimensione delle competenze, quella del valore aggiunto, la dimensione stessa del nostro approccio, cioè del modo in cui stiamo sviluppando e condividendo esperienza in quest’ambito.
Può farci qualche esempio?
Consideriamo un’ipotetica impresa senza particolare esperienza in progetti di inclusione. Iniziamo a raccogliere informazioni sulle sue attività e sulle caratteristiche del lavoro nelle aree oggetto di possibile inclusione. Con questi dati andiamo ad alimentare l’IA insegnandole il modo in cui desideriamo che raccolga e produca le informazioni. A questo punto ci sono tutte le condizioni per poter chiedere all’IA di identificare e descrivere, per quella determinata impresa, i 3-5 profili professionali più idonei. Poi, di identificare i processi lavorativi, all’interno di quelli già categorizzati da Winclusive, che caratterizzano quei profili. Ancora, di identificare, per ognuno di quei processi, il livello (basso-medio-alto) di competenze necessario, all’interno delle aree critiche di competenze già da noi categorizzate, come verbalizzazione, socializzazione, abilità motoria, e le probabili principali criticità del contesto lavorativo. Ecco, quando abbiamo fatto dei test come questo, il più delle volte siamo rimasti a bocca aperta.
In che senso?
Sebbene tutti gli output che l’IA restituisce vadano verificati, validati e spesso raffinati, in pochi secondi è stata capace di fare ciò che richiederebbe molte ore di lavoro di varie persone con competenze solide e multidisciplinari. L’IA perciò consente di accelerare moltissimo i tempi. Di operare su più progetti contemporaneamente. E di replicare le attività. Cosa quest’ultima che però dipende anche da quanto si è strutturato l’inserimento degli input e la definizione degli output desiderati, in altre parole dall’attività cosiddetta di prompt engineering.
In cosa consiste il prompt engineering?
Significa descrivere in modo preciso al motore di IA una serie di elementi, fondamentalmente il tipo di dati e informazioni su cui andrà a lavorare e il tipo di risposte che gli si chiede di produrre. Nel nostro caso abbiamo descritto con un alto grado di dettaglio ad esempio cosa fa Winclusive, com’è strutturata la nostra piattaforma, il formato di ogni servizio, come categorizziamo le informazioni su profili e livelli di competenze, come vogliamo che le informazioni vengano analizzate e rappresentate, e così via: una specie di manuale, insomma, che entra a far parte del bagaglio del motore di IA, che comunque ha già una sua esperienza acquisita. Più il prompt engineering è strutturato, più si riescono a ottenere risultati precisi e utili. Ma non dimentichiamo che abbiamo sempre a che fare con dei “bambini”, anche se super-intelligenti.
Come si tratta con questo “bambino super-intelligente” che è l’IA?
Possiamo sintetizzarlo così: repetita iuvant. Cioè non solo bisogna spiegare le cose con molta precisione, ma bisogna ribadirle spesso, con diligenza e costanza. Occorre verificare contenuti e fonti con occhio critico e segnalare mancanze o errori. Tutto questo per essere certi che l’IA abbia ben assimilato contesto, informazioni e richieste.
Oggi Winclusive è già in grado di offrire servizi che integrano l’IA?
Riguardo alle attività prioritarie del nostro progetto di IA, incluse quelle sopra descritte, siamo in fase di test avanzato e abbiamo già iniziato a condividere i risultati con le prime associazioni e imprese. Ci sono poi alcune dimensioni su cui abbiamo da poco iniziato a lavorare o intendiamo farlo nel prossimo futuro; da queste ci aspettiamo molto in futuro: nell’automazione di funzioni IA attraverso API (interfacce di programmazione che permettono a software diversi di comunicare fra loro, ndr), nello sviluppo e nella documentazione di processi lavorativi, nell’estrazione di profili da video, ad esempio, facendo sì che quando un soggetto neurodivergente ci sottopone un video-curriculum, possiamo estrarre da quel video dati necessari a costruire o integrare il suo profilo. In ogni caso, e posso dirlo per esperienza diretta, è la sperimentazione stessa dell’IA che ti apre automaticamente nuovi orizzonti.
A cosa si riferisce?
Noi lavoriamo su progetti di inclusione con imprese e associazioni. Con le imprese, spesso si sconta un’enorme lentezza e uno scetticismo di fondo: è un mondo fatto ancora troppo di parole, dove concretezza e voglia effettiva di sperimentare sono rare. Con le associazioni, l’ostacolo è dato invece da un atteggiamento di chiusura, oltre che dalla mancanza di risorse. Con l’IA questi problemi si possono affrontare e risolvere: perché combatte la lentezza, struttura e automatizza processi, facilita la replicabilità, rompe barriere, toglie paure, stimola a ideare nuovi servizi. Winclusive perciò incoraggia con forza a sperimentare l’IA, proprio perché lo stiamo facendo in casa nostra: le competenze che stiamo sviluppando sono al servizio di chi vuole impegnarsi in percorsi di collaborazione, in progettualità condivise che aggreghino soggetti e risorse, puntando a risultati concreti e replicabili.
Vi rivolgete a qualche interlocutore in particolare?
Per esempio al mondo della sanità, dalle istituzioni agli specialisti, e delle grandi aziende anche operanti su scala internazionale: partendo dalle potenzialità offerte dall’IA, siamo a disposizione per strutturare modelli, soluzioni, protocolli da validare, tutto ciò che può aiutare l’orientamento e l’ingresso al lavoro di soggetti neurodivergenti. E poi ci rivolgiamo al mondo dello sport, che notoriamente ha una funzione strategica nel consolidamento e sviluppo di numerose competenze necessarie ai fini dell’inclusione lavorativa (proprio nei giorni scorsi, dal 9 all’11 maggio, si è svolta a Lodi la 19a edizione di Laus Open Games-Giochi Special Olympics, ndr): l’utilizzo dell’IA potrebbe accelerare l’ideazione, l’implementazione e la comunicazione di progetti anche innovativi.
Ha un messaggio finale da lanciare?
Noi stiamo toccando con mano il ruolo che l’IA già oggi può avere per spingere l’inclusione. Con ogni probabilità è un ruolo destinato a espandersi grandemente, forse illimitatamente, in futuro. Non bisogna avere paura di lavorarci, anzi: facciamolo insieme.