In materia di lavoro e autismo, una delle migliori pratiche in Italia e non solo è Auticon, società multinazionale di consulenza informatica che assume esclusivamente persone nello spettro autistico. Ne parliamo con Alberto Balestrazzi, Ceo di Auticon Italia.
Com’è arrivata Auticon in Italia?
Auticon era presente in Germania, dov’è nata, in Inghilterra e in Francia quando ricevetti la telefonata di un amico che me ne parlò. Non sapevo nulla di autismo ma pensai subito che era un’opportunità per mettere al servizio dell’autismo la mia esperienza di consulente strategico d’azienda. Il primo febbraio 2019 avviammo Auticon Italia, che oggi conta una quarantina di persone. Mentre Auticon nel mondo è arrivata ad essere presente in 14 Paesi.
Quali sono stati i momenti più difficili, le sfide più complesse?
Non ci sono mai mancati i clienti, tanto che già alla fine del primo anno ne avevamo numerosi e importanti. Semmai il timore nei primi periodi, di cui racconto nel libro uscito di recente “Cambiare prospettiva. Viaggio alla scoperta della (neuro)diversità”, era capire se potevamo mantenere le promesse che facevamo ai clienti. Ricordo anche l’imbarazzo dei primi incontri con i candidati, quando non sapevo cosa dire o chiedere. Ma sono bastate le prime esperienze per confermarmi che avevo a che fare con grandi professionisti. Un altro momento difficile, per noi come per tutti, è stata l’emergenza Covid, anche perché eravamo appena partiti. Però non ci siamo fermati e l’abbiamo presa come un’opportunità per testare il lavoro da remoto, che tuttavia non è il nostro modus operandi preferito perché le persone autistiche tendenzialmente passano già molto tempo a casa. Più complicata è stata la fase successiva all’invasione russa in Ucraina, perché i grandi clienti con cui lavoravamo dovevano fronteggiare altre priorità e abbiamo avuto dei rallentamenti. Ma siamo riusciti a superare tutto grazie anche al grande attaccamento al lavoro dei nostri consulenti. Oggi abbiamo strutture di progetto in tutta la Lombardia, in Emilia e presto anche nel Lazio, e siamo attivi in una varietà di progetti, non solo nel testing di sistemi informatici come all’inizio. Siamo consulenti ad esempio su tre progetti per l’Istituto Nazionale di Astrofisica. E lavoriamo sulla programmazione di motori di intelligenza artificiale (IA) per grandi realtà finanziarie.
È corretto affermare che l’IA sia un campo d’interesse speciale per le persone autistiche?
L’IA adesso è sulla bocca di tutti ma le prime ricerche datano fine anni ‘80 del secolo scorso. Oggi ha trovato sbocco sul mercato grazie a due fattori: le enormi capacità computazionali raggiunte e l’enorme mole di dati di cui disponiamo. Auticon se ne occupa, investendo moltissimo anche in formazione, perché l’IA ha potenzialità gigantesche e se vogliamo avere un futuro dobbiamo occuparcene. Quanto al rapporto tra autismo e IA (sul sito di (RI)GENERIAMO lo abbiamo affrontato nell’intervista a Winclusive, ndr), le persone nello spettro autistico guardano all’IA in una prospettiva che consente loro di vedere cose che altri non vedono. Non amo la parola “genio”, ma i talenti delle persone autistiche nel settore tecnologico, e nell’IA soprattutto, sono molto rilevanti, grazie alle loro capacità innate cognitive e logico-matematiche. Simon Baron-Cohen, celebre studioso inglese di autismo, al riguardo parla di cervelli “super-sistematizzanti”. In Auticon non abbiamo fatto altro che coniugare opportunità di mercato con persone che hanno speciali capacità per coglierle.
Come selezionate le persone che entrano in Auticon?
Cerchiamo persone diplomate e laureate in materie STEM (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica). Ma più del curriculum contano interesse, capacità effettiva, insomma il potenziale. Faccio un esempio: il nostro miglior sviluppatore di sistemi IA è una persona con diploma in meccanica che quando ci ha scritto lavorava come ATA in una scuola media. Si è formato da solo, ha un’intelligenza e una passione strepitose che abbiamo poi sviluppato con la formazione. Forse altre aziende, fermandosi al CV, non l’avrebbero selezionato.
Cosa spinge i vostri clienti a scegliere Auticon?
Vari fattori. Intanto ci vedono spesso come una “bestia” strana e ciò incuriosisce, permettendoci di parlare con chiunque con discreta facilità. Contano anche i tanti e prestigiosi clienti che abbiamo, con cui di solito collaboriamo per anni, il che testimonia la qualità delle nostre performance e tranquillizza i potenziali nuovi clienti. Credo però che in ultima istanza il fattore vincente sia la capacità delle nostre persone di fare bene il lavoro richiesto. In generale molte aziende hanno ancora timore ad affrontare l’autismo: sono frenate da scarsa conoscenza, paura del diverso, a volte pregiudizi. Certo, ci vuole tanta pazienza a farlo e noi stessi in azienda abbiamo tre job coach esperti di autismo che ci supportano. Ma poi accade, quasi sempre, che chi ci ha scelto ci chiama dopo qualche giorno e chiede: veramente sono persone autistiche? E spesso ci confessano di lavorare meglio con le nostre persone neurodivergenti che con i loro colleghi neurotipici. Perché è proprio così, le persone nello spettro sono lavoratori eccezionali.
Cos’è che li rende lavoratori eccezionali?
Ogni persona, ogni lavoro, ogni caso fa storia a sé. Ma emergono alcune caratteristiche generali. Le persone autistiche sono precise e puntuali, anche perché soffrono la mancanza di puntualità. Non ti “fregano”, dicono sempre la verità, ad esempio quando vanno in malattia non hai bisogno di fare controlli perché ti inviano subito tutta la documentazione. Sono lavoratori serissimi e attentissimi, capaci di enorme concentrazione e se confermano di poter realizzare un lavoro entro una data scadenza, puoi star certo che lo faranno. Non ambiscono alla carriera in senso tradizionale, ma vogliono specializzarsi, diventare sempre più bravi in ciò che fanno. Tutto questo, inoltre, non dipende dal fatto che in Auticon lavoriamo con persone autistiche ad altissimo funzionamento, perché vale anche per chi è a medio-basso funzionamento. Un’esperienza che lo dimostra è quella di Sbrisolaut, un’impresa a impatto sociale, di cui mi onoro di essere fra i fondatori, che produce pasticceria da forno con ricette tipiche del territorio mantovano e impiega appunto persone autistiche a medio e basso funzionamento.
Cosa insegna l’esperienza di Sbrisolaut?
Ciò che mi ha spinto a collaborare a Sbrisolaut è proprio il fatto che molti ritenevano che l’esperienza di Auticon fosse “facile” per via delle elevate capacità cognitive delle nostre persone. Non è così: l’autismo ha le sue fragilità ad ogni livello, che vanno comprese e supportate. Sbrisolaut è nata nel 2022 grazie all’iniziativa di Laura Delfino, psicologa, responsabile di Spazio Autismo e oggi amministratore delegato di Sbrisolaut, che da vent’anni lavora con l’autismo e mi convinse, anche qui con una telefonata, a sostenere il progetto. Sbrisolaut attualmente impiega una dozzina di persone autistiche nella produzione della Sbrisolona, famosa torta mantovana, un dolce semplice ma che richiede la sua attenzione, e di recente ha aperto uno “Sbrisobar” a Cerese di Borgo Virgilio (MN). La sfida di Sbrisolaut è stata ridisegnare l’attività di produzione in modo lineare, semplice, strutturato, basato su regole e procedure, per esaltare le caratteristiche delle persone autistiche: attenzione al dettaglio, precisione, puntualità, capacità di non stancarsi nell’effettuare azioni ripetitive. L’insegnamento di Sbrisolaut, allora, è quello di Laura Delfino: tutti possono lavorare. Il problema è adattare le attività alle persone, mentre in azienda si fa esattamente il contrario. Serve cambiare la prospettiva, a prescindere dal fatto che si tratti di sistemi informatici o di torte. Mettendo in conto che ci vogliono tempo, volontà, conoscenza. E che non si improvvisa.
Cosa si sente di dire a chi, come si accennava, ha ancora molti timori e pregiudizi quando si parla di autismo e lavoro?
Che la diversità, che va rispettata, dovrà diventare la normalità. Del resto è proprio quando lavori con la diversità che ti rendi conto che non c’è. Ma bisogna crederci. Solo così riusciremo a recuperare persone che non hanno opportunità di lavoro non perché non siano capaci, ma perché le strutture preposte provano a includerle senza cambiare nulla. Cambiare, invece, sarà la sfida del futuro. Perché le nuove generazioni, i lavoratori e i consumatori di domani, non accetteranno di lavorare o di essere clienti di aziende che non avranno saputo affrontare questa sfida. Per loro la diversità sarà un valore non negoziabile.