Dal fango alle vigne, alla scoperta dell'emancipazione femminile della protagonista di Come brace coperta
Tutto comincia con l’acqua, che entra lenta sotto la porta, sale sulle sedie, affoga le radici. Siamo nelle campagne intorno a Rovigo, durante l'alluvione del Polesine del 1951. Una bambina di undici anni guarda il suo mondo scomparire sotto il fango. Si chiama Nora ed è il cuore pulsante di Come brace coperta, il romanzo di Alice Malerba che racconta non solo la lotta di una famiglia contadina la cui vita viene travolta dall’acqua, ma anche l'emancipazione femminile e potente della protagonista.
Quella di Nora, infatti, è la storia di una donna che affonda le mani nella terra e si sporca le scarpe del fango delle risaie, ma che sa anche sollevarsi, puntare dritto all’orizzonte, reinventarsi. Una storia di sopravvivenza, sì, ma anche di coraggio, orgoglio e grande ambizione.
Un racconto che viene dal passato, ma è più attuale che mai: negli ultimi anni, l’Italia è stata ferita da alluvioni sempre più frequenti e violente, come quella che si è scatenata in Emilia Romagna nel 2023. Le immagini dell'acqua che entra nelle case, che sommerge tutto, che trascina via oggetti, ricordi, identità, appartengono anche al nostro presente.
Abbiamo chiesto ad Alice Malerba di accompagnarci dietro le quinte del suo romanzo.
Una donna scomoda per il suo tempo: Alice Malerba racconta l'emancipazione femminile di Nora
Nora è arrivata prima della sua storia perché mi sono ispirata a una persona reale, o meglio alla tempra di una mia prozia veneta, emigrata da ragazzina in Piemonte, che ha dovuto affrontare molte sfide ed eventi drammatici nel corso della sua lunga vita.
La sua inesauribile forza vitale, unita a un temperamento determinato e molto schietto, mi hanno guidato nella definizione della mia protagonista. Mi serviva però trovare l’espediente giusto che innescasse il viaggio della mia eroina e non soltanto a livello fisico e spaziale.Facendo ricerche sulle zone agricole del Veneto, dove il bracciantato era più diffuso, mi sono imbattuta nel Polesine e inevitabilmente nella devastante alluvione del novembre 1951. L’intuizione è stata immediata: la storia di Nora doveva cominciare con il fango, che è un misto di terra, l’elemento fondante e imprescindibile dei contadini e di acqua, che invece travolge e distrugge. Mi è sembrata la connotazione simbolica più giusta per spingere Nora verso la sua furente voglia di riscatto: ripulirsi per sempre da quel fango, dall’odore della loro rovina.
Lei non lo capisce subito. Ha solo quattordici anni quando la sua famiglia si arrende alla realtà di una terra ormai troppo fragile, e decide di partire. Giunti nelle risaie del vercellese, si renderanno ben presto conto di aver lasciato la loro terra, il loro dialetto e la loro stessa dignità per una condizione ancora peggiore. Non c’è soltanto uno sguardo nuovo che si posa su di loro, quello della diffidenza che si riserva ai forestieri più disperati, ma il beffardo scherzo del destino di dover lavorare per intere giornate dentro il fango.
Il corpo di Nora non ce la fa, scalpita, rifiuta di immergersi ancora dentro quell’elemento che li ha marchiati per sempre. Ed è a questo punto che in una notte tersa e stellata, dopo essere scappata dal caldo soffocante delle loro baracche, che Nora darà inizio alla sua rivolta contro un destino apparentemente già segnato.
La sua ascesa sarà lenta ma inarrestabile. Le braci che covano dentro di lei non si spengono neppure dopo aver sposato il figlio dei loro padroni, ricchi proprietari terrieri del Monferrato, dove la sua famiglia, grazie a lei, trova finalmente condizioni lavorative più umane e un luogo dove potersi sentire accolti. Il suo sguardo fiero, sempre più duro e irremovibile la porterà a fiutare un grande affare e a diventare proprietaria di una rinomata cantina di vini.
Dal fango all’elemento più raffinato e divino che esista, Nora sembra poter finalmente toccare quelle stelle, alle quali molti anni prima ha rivolto la sua promessa disperata. Ma la libertà esige il suo prezzo e il fango torna a ricordarle che non ci si salva rinnegando il proprio passato.
Volevo raccontare una storia di identità e appartenenza attraverso la lotta solitaria di una donna troppo scomoda per il suo tempo e la sua condizione sociale, inarrestabile e incendiaria come la “bronza cuerta”, la brace ancora viva, nascosta sotto la cenere.
Alice Malerba