Il 20 maggio (anche se per alcuni storici la data da considerare sarebbe il 20 giugno) ricorderemo il 1700° anniversario dall’inizio del Concilio di Nicea, il primo dei primi quattro concili ecumenici (Costantinopoli I 381, Efeso I 431, Calcedonia 451) riconosciuti ancora oggi dalle principali confessioni di fede cristiana.
Fu l’imperatore Costantino, che dopo l’Editto di Milano (313) e la vittoria su Licinio, convocò a Nicea l’ecumene dei vescovi per fondare la sua forza politica sulla pace religiosa. In particolare il Concilio era chiamato a risolvere la violenta disputa ariana intorno alla confessione cristologica e la questione pastorale-disciplinare della data di Pasqua.
Oltre 200 vescovi provenienti da tutto l’Impero Romano si riunirono nella città di Nicea, oggi Iznik in Turchia, stabilirono che la Pasqua sarebbe caduta la domenica successiva alla prima luna piena dopo l’equinozio di primavera. Con la riforma del calendario gregoriano (1582), le chiese occidentali e le chiese orientali iniziarono a celebrare la festività pasquale in date divere. In questi ultimi decenni, si è intrapreso un vivo dialogo ecumenico per arrivare all’unificazione della data di celebrazione della Pasqua.
«La consostanzialità» del Padre e del Figlio
Per quanto riguarda, invece, il dibattito teologico sulla natura di Gesù Cristo (come pensare Dio e le sue relazioni? Come pensare il Figlio davanti al Padre? Come pensare il coinvolgimento dell’uomo nella dinamica trinitaria e quindi la salvezza?), i padri conciliari formularono «la consostanzialità» del Padre e del Figlio e, con le successive precisazioni fornite dai Padri cappadoci e con l’appoggio degli imperatori, tale professione di fede pose le basi per il Credo niceno-costantinopolitano, completato nel 381 e ancora oggi recitato in molte Chiese cristiane.
Inoltre, il Concilio di Nicea formulò 20 canoni che rimandano alla discussione dei problemi che la Chiesa era chiamata ad affrontare in quel tempo storico: questioni attinenti alla elezione e al ministero del clero, accoglienza e cammino penitenziale degli scismatici e degli eretici, riconciliazione di coloro che nel tempo della persecuzione avevano rinnegato la fede.
Nel segno dell’unità
Il Concilio di Nicea esprime il desiderio di ricercare e custodire una “parola condivisa” che manifesti l’unità attorno alla fede professata e condivisa. Un’unità, come sappiamo dalla storia, fragile e molte volte disattesa ma primariamente dono del Signore Gesù che ci invita a divenire strumenti della sua carità per realizzare una comunione sociale che dia speranza ad ogni persona. «In Gesù, homooúsios al Padre, Dio stesso viene a salvarci, Dio stesso si è legato all’umanità per sempre, al fine di portare a compimento la nostra vocazione di esseri umani. In quanto Figlio Unigenito, ci conforma a sé come figli e figlie amati dal Padre per la potenza vivificante dello Spirito Santo. Coloro che hanno visto la gloria (doxă) di Cristo la possono cantare e lasciare che la dossologia si trasformi in annuncio generoso e fraterno, cioè in kerigma» (Commissione Teologica Internazionale, Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore, n. 121).
Per un annuncio credibile
Nella memoria del Concilio di Nicea, le Chiese cristiane possono con fiducia verificare il loro stile sinodale, aperto al dialogo ecumenico, consapevoli che ciò che davvero unisce e rinnova la vita ecclesiale è la stessa fede in Gesù Cristo, figlio di Dio. «Tutta la Chiesa è sinodale/conciliare a tutti i livelli della vita ecclesiale – locale, regionale e universale – sotto la guida dello Spirito Santo. Il mistero della vita trinitaria di Dio si riflette nel carattere sinodale o conciliare della Chiesa, e le strutture della Chiesa danno forma a questo carattere per realizzare la vita della comunità come comunione» (Commissione “Fede e costituzione” del Consiglio ecumenico delle Chiese, La Chiesa: verso una visione comune).
Il credo dei discepoli di Cristo deve essere “lettera viva”, ha bisogno cioè di essere raccontato, vissuto e trasmesso all’interno delle nostre comunità ecclesiali e civili. Esso è al centro della vita della Chiesa ma può ancora oggi parlare alla vita del mondo per guidare al senso autentico della vita: nel dono di Cristo riscoprirsi “fratelli tutti”.