Posted at 13:17h in Books, Senza categoria
Anche se ho trascorso gran parte della mia vita a scrivere storie, ho finito per rendermi conto che tutte fanno parte di una sola e unica storia, che ho modificato e ampliato nel corso del tempo, ma senza mai allontanarmi da quello che è per me il suo nucleo centrale. Credo che tutto risalga a quel giorno di gennaio in cui avevo sedici anni. Stavo tornando a casa da scuola con il mio migliore amico, Gene Stoddard, e sentimmo il suono delle sirene. Non riuscivamo però a capire da dove giungesse. Ma il loro lamento – l’unione di più strilli – era così vicino che ci convincemmo che auto della polizia, camion dei pompieri e ambulanza non dovessero essere molto lontani da noi. Corremmo verso quel suono sperando di intravedere i veicoli e magari di capire dove fossero diretti.
Quando arrivammo al parco giochi della scuola elementare Will-Moore – con la neve fresca calpestata e schiacciata dagli stivali di centinaia di bambini fino a rivelare, in alcuni punti, il terreno sottostante – vedemmo un’auto della polizia e un’ambulanza che acceleravano lungo la Fourth Street. Erano gli ultimi veicoli accorsi.
Era ovvio che non saremmo riusciti ad avvicinarci ulteriormente a loro e a quel mistero, perciò ci fermammo, i nostri respiri ansanti e lenti che riempivano di nuvolette l’aria gelida. Gene e io vivevamo entrambi a pochi isolati di distanza, in Keogh Street. (Questa strada si trovava in una zona abbastanza nuova di Bismarck, nel North Dakota, e la moglie del tizio che aveva edificato il quartiere, una studentessa di storia, aveva fatto in modo che alcune delle vie di quella zona della città portassero i nomi degli ufficiali – Keogh, Yates, Cooke, Reno – del comando di Custer quando Custer e il Settimo Cavalleria avevano lasciato Fort Abraham Lincoln, appena a ovest di Bismarck, per la loro sfortunata campagna terminata a Little Bighorn.) Durante tutti quegli anni, io e Gene avevamo fatto insieme la strada per andare e tornare da scuola. Tuttavia, di recente, la situazione aveva cominciato a cambiare. Un paio di nostri amici avevano già l’auto e uno di loro di solito veniva a prendere me e Gene la mattina. Ma entrambi facevano parte della squadra di basket, e gli allenamenti richiedevano che si trattenessero a scuola più a lungo. Inoltre, Gene aveva iniziato a frequentare una ragazza del secondo anno, Marie Ryan. Stava spesso con lei dopo la scuola, ma quel giorno Marie stava facendo le prove per un concerto del coro. E così ci eravamo ritrovati a fare di nuovo la strada insieme e avevamo in programma di andare a casa sua o a casa mia. Dovevamo imparare a memoria il discorso del pugnale di Macbeth per la lezione di inglese di Miss Cordell, e provare le nostre interpretazioni. Per un attimo fummo tentati di fare una deviazione per cercare di scoprire dove fossero dirette tutte quelle sirene. Il loro lamento sembrava essersi fermato e non troppo lontano. Era forse uno di quei negozi del centro commerciale sulla Third Street? O il Campidoglio, solo pochi isolati a nord di noi, sulla Fourth Street? Oppure erano andati in qualche casa privata in una delle strade o dei viali residenziali che ci circondavano?
Forse, se non avessimo avuto quei compiti da fare a casa o se non avesse fatto così freddo – la neve scricchiolava quando spostavamo il peso da un piede all’altro – o se a uno di noi fosse stato consentito l’uso dell’auto di famiglia, avremmo potuto seguire la direzione del suono ondeggiante che ancora aleggiava nell’aria cristallina dell’inverno. Ma non lo facemmo. Alzammo i baveri dei nostri cappotti di lana (anche se prima della fine del decennio questa moda avrebbe preso la direzione opposta, all’epoca, nel 1961, gli adolescenti copiavano ancora l’abbigliamento degli adulti), abbassammo i nostri berretti fino alle sopracciglia, curvammo le spalle e proseguimmo ingobbiti. Sarebbe cambiato qualcosa se non ci fossimo incamminati subito verso casa? No. Le sirene suonano quando le azioni sono già state compiute.
Traduzione di N. Manuppelli