Il quinto referendum abrogativo dell’8 e 9 giugno prossimo è un quesito in materia di cittadinanza. Si propone di ridurre il periodo minimo necessario di residenza anagrafica continuativa in Italia per gli stranieri extracomunitari, da 10 anni, come lo prevede attualmente la legge, a 5 anni, per presentare la richiesta di naturalizzazione per motivo di residenza. La naturalizzazione per motivi di residenza rappresenta oggi circa il 40% delle concessioni della cittadinanza italiana.
L’abrogazione modificherebbe la Legge n.91/1992 (l’articolo 9, comma 1, lettera b), che aveva esteso da cinque a dieci anni la durata del requisito della residenza legale per la concessione della cittadinanza italiana. Il referendum propone quindi di tornare alla durata minima che era stata stabilita dalla legge 13 giugno 1912, n. 555 (con il comma 2 dell’articolo 4), abrogata nel 1992 durante la Presidenza del Consiglio di Andreotti. La riforma proposta nel referendum non modificherebbe le condizioni per l’ottenimento della cittadinanza per gli altri motivi previsti dall’attuale legge, ad esempio per matrimonio, che conta oggi circa il 20% dei casi di naturalizzazione, o discendenza (ius sanguinis). (Per leggere gli altri articoli, ciccare qui)
Il quinto referendum abrogativo
La riduzione della durata di residenza per richiedere la cittadinanza riavvicinerebbe l’Italia alle discipline in vigore in altri importanti Paesi europei, anch’essi caratterizzati da una consistente popolazione straniera extracomunitaria, come la Francia, la Svezia, i Paesi Bassi, la Germania e il Portogallo. Questi ultimi Paesi prevedono tra i requisiti per la naturalizzazione degli stranieri non comunitari ivi immigrati un periodo di 5 anni di residenza. Sebbene la Spagna richieda una residenza continuativa di 10 anni, prevede delle notevoli eccezioni, con una riduzione a due anni per le persone provenienti dai paesi iberoamericani, dalle Filippine o dalla Guinea Equatoriale. L’abrogazione della norma in questione, contenuta nell’articolo 9 della l. 91/92, avvicinerebbe tra l’altro il requisito della durata della residenza legale a quello attualmente vigente per gli stranieri comunitari (quattro anni), per gli stranieri aventi lo status di rifugiato (cinque anni) e per gli apolidi.
Cittadinanza agli stranieri, risorsa per l’Italia
Al 1° gennaio 2024 si contano ufficialmente in Italia 5.307.598 stranieri residenti, che rappresentano il 9% della popolazione complessiva. Per oltre il 70% sono cittadini non comunitari, cioè 3.714.000. Tuttavia, al momento i beneficiari diretti della riforma della cittadinanza oggetto del referendum sarebbero un numero molto inferiore. Secondo una stima pubblicata recentemente in un rapporto del centro studi e ricerche Idos, la riforma potrebbe rivolgersi teoricamente a 1.400.000 residenti non comunitari soggiornanti in Italia, cioè uno straniero su quattro di quelli che vivono regolarmente nel paese. Tra questi potenziali beneficiari individuati nella stima, 1.136.000 sarebbero adulti titolari di un permesso di soggiorno di lunga durata. I minori sarebbero 284mila, dei quali 229mila residenti di lunga durata e 55 mila che diventerebbero italiani nel caso in cui i loro genitori ottenessero la cittadinanza per motivi di residenza.
La stima Idos stabilisce la sua valutazione sulla base del numero degli stranieri non comunitari in possesso di permesso di soggiorno di lunga durata, che nel 2023 erano 2,139 milioni, di cui 347 mila minori. Tiene conto del fatto che una parte consistente di questi stranieri non comunitari non presenteranno la domanda di cittadinanza. In primis perché molti dei Paesi di origine non riconoscono la doppia cittadinanza, e questo costituisce spesso un freno alla volontà di naturalizzazione dello straniero, soprattutto di prima generazione.
Le condizioni economiche del richiedente
Peraltro, persistono evidentemente anche gli altri criteri che continueranno a essere applicati, come le condizioni economiche del richiedente. Il reddito minimo maturato negli ultimi tre anni di residenza anagrafica e fiscale, deve essere di almeno €8.263,00 annui, se il richiedente è solo, e più elevato se ha una famiglia a suo carico. Questo parametro, che dovrebbe attestare l’autosufficienza economica e l’inserimento sociale dello straniero, non consente a molti stranieri di soddisfare tutti i requisiti previsti dalla legge.
Inoltre, le formalità legate alla stessa richiesta possono rappresentare uno sforzo economico non indifferente per i nuclei familiari numerosi. Il cosiddetto contributo da pagare per la cittadinanza è stato aumentato di recente. I costi da affrontare per i richiedenti possono raggiungere oggi anche i 900 euro a persona in termini di contributo, bollo, ed eventuali onorari di consulenti, patronati o avvocati per elaborare e farsi assistere nel deposito della domanda. Gli altri criteri sono la buona condotta del richiedente con verifica dell’assenza di reati commessi o di procedimenti penali a carico, e la buona conoscenza della lingua italiana.
La concessione della cittadinanza
È utile considerare che la concessione della cittadinanza è comunque soggetta a un’ampia discrezione dell’autorità, e pur essendo un diritto fondamentale, il suo conseguimento non è scontato. Pertanto, l’esito positivo dell’iter istruttorio previsto non è garantito anche se in teoria il candidato dovesse soddisfare tutti i requisiti sopra indicati. Infatti l’art. 9 della l. 91/92 esordisce: «la cittadinanza italiana può essere concessa con Decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell’Interno (…)». E la stessa legge prevede un solo caso di acquisto automatico, all’art. 1, il cittadino per nascita, figlio di madre, o di padre cittadini italiani.
Il passaggio dai 10 ai 5 anni…
Secondo alcuni studi, il passaggio da 10 a 5 anni della durata minima di residenza continuativa, passato un primo momento di picco nelle richieste di naturalizzazione per residenza della platea attuale di interessati, si stabilizzerebbe in un secondo momento ai livelli degli anni precedenti.
Ciò si spiegherebbe dal fatto che, dopo l’abrogazione, si sovrapporrebbero le richieste delle persone che ad oggi hanno maturato i dieci anni di residenza, con quelle che al maturare dei cinque anni di residenza continuativa, potrebbero essere interessate a farne richiesta. Dopodiché, i livelli si stabilizzerebbero come nei periodi precedenti. Secondo il Rapporto Cittadini stranieri in Italia del Cnel, tra il 2011 e il 2023 si sono avute complessivamente circa un milione e 700 mila acquisizioni di cittadinanza, la maggior parte in favore di stranieri non comunitari.
Nel 2023 sono state 214 mila le concessioni della cittadinanza, il 92% delle quali a favore di cittadini non comunitari. Riguardo alle naturalizzazioni per residenza, quelle non comunitarie hanno raggiunto nel 2022 gli 86 mila casi. Inoltre, nel 2023, oltre alla naturalizzazione per residenza, sono da segnalare 20.000 naturalizzazioni per matrimonio e circa 60 mila casi di minori che diventano automaticamente italiani a seguito della cittadinanza acquisita da uno dei loro genitori.
Una riflessione profonda
L’abrogazione della legge attuale sulla cittadinanza non rappresenterebbe quindi, salvo che per un periodo limitato nel tempo, un consistente aumento delle naturalizzazioni per residenza. Gli altri criteri, in gran parte limitativi, continuerebbero a essere applicati, oltre al fatto che la richiesta sarebbe comunque soggetta alla piena discrezionalità delle autorità.
La riduzione della durata minima della residenza, e la quasi convergenza con la durata richiesta per gli stranieri comunitari, rappresenterebbe tuttavia un segnale positivo in termini di politiche di integrazione nei confronti di una popolazione completamente immersa nel tessuto sociale ed economico del Paese, tramite il lavoro, gli studi, i contributi fiscali, la lingua, e che ha dimostrato una piena adeguatezza con le norme e le leggi del paese.
Mantenere la durata minima di residenza a dieci anni prolungherebbe eccessivamente i termini per ottenere la cittadinanza, e quindi la piena integrazione civica, poiché raramente gli stranieri non comunitari riescono ad effettuare la richiesta appena scatta la fine del termine; inoltre, occorre ricordare i tempi notevoli di attesa della risposta da parte delle autorità, che possono superare abbondantemente anche il limite dei tre anni di durata dalla presentazione della domanda per l’istruttoria della pratica indicati dalla legge dal 20 dicembre 2020 (D.L. 130/2020).
La prospettiva demografica
Infine, dal punto di vista demografico ed economico, la capacità dell’Italia di dare una prospettiva di piena integrazione alla popolazione non comunitaria regolarmente soggiornante non è indifferente. In un Paese caratterizzato da un critico declino demografico (la popolazione italiana diminuisce in media di più di 300mila unità all’anno), dovuto a un drastico calo delle nascite (370mila nascite nel 2024) e a un’emigrazione massiccia dei propri giovani, la naturalizzazione degli stranieri non comunitari, ben integrati, rappresenta una risorsa cruciale. Calcolando soltanto le acquisizioni relative a soggetti residenti in Italia, i nuovi cittadini hanno registrato una crescita di +160% nel 2022, e del 30% nel 2023.
*l’autrice dell’articolo è docente di Scienze politiche e Relazioni Internazionali all’Università Sorbonne Paris Nord e PFTIM-sez. San Luigi