Allevamenti intensivi: una delle principali cause di inquinamento - OIPA Italia

Compatibilità
Salva(0)
Condividi

Istituita nel 1973 con il tema “Una sola Terra”, la prima Giornata Mondiale dell’Ambiente si celebra il 5 giugno di ogni anno. Nonostante l’iniziativa abbia una portata globale, stupisce che una delle principali cause di inquinamento venga trattata solo in modo marginale

Stiamo parlando degli allevamenti intensivi, che contribuiscono in maniera significativa all’aumento dei gas serra.
Per comprenderne l’impatto, è necessario analizzare la logica produttiva che li caratterizza: moltissimi animali ammassati in spazi ristretti, grandi quantità di mangime (prodotto sfruttando enormi superfici agricole), uso massiccio di farmaci (per contrastare le malattie dovute alle condizioni igienico-sanitarie), consumo idrico elevatissimo, e conseguente produzione di enormi quantità di deiezioni.

Le deiezioni rilasciano grandi quantità di gas serra – in particolare metano e ammoniaca – che persistono a lungo nell’atmosfera e hanno un potere climalterante maggiore rispetto a quelli derivati dai combustibili fossili.
Nel settore agricolo, il 79% delle emissioni di gas serra è attribuibile all’allevamento.

Secondo le indagini ISPRA, gli allevamenti intensivi sono responsabili del 75% delle emissioni di ammoniaca in Italia (seconda fonte inquinante dopo il riscaldamento domestico), mentre il rapporto della FAIRR Iniziative, segnala che si tratta di attività che generano il 44% delle emissioni globali di metano.

Non solo.
Gli allevamenti intensivi sono una delle principali causa di spreco di acqua, consumo di suolo e deforestazione per creare nuovi spazi destinati agli allevamenti; inoltre provocano l’inquinamento delle falde acquifere, direttamente proporzionale al numero di capi allevati;

Ma c’è di più.
Oltre all’aumento degli inquinanti, gli allevamenti intensivi provocano anche altri problemi legati alla concentrazione massiva degli animali in spazi molto ristretti.
Un aspetto che porta al rischio di zoonosi (malattie che passano dagli animali all’uomo) e a resistenze antimicrobiche.

Già debilitati dalla mancanza di spazi adeguati, della possibilità di esprimersi secondo la loro natura, e dallo stress causato da una logica produttiva che li concepisce come semplici “macchine”, gli animali rischiano di ammalarsi molto facilmente.

Dunque nel tentativo disperato di mantenerli in salute in un ambiente che non hanno di salubre, vengono sottoposti a trattamenti antibiotici massicci che causano una compromissione delle difese immunitarie.
Non solo le malattie che contraggono possono favorire la nascita di ceppi resistenti e pericolosi anche per l’uomo, vedi il caso “mucca pazza”, ma nutrirsi con cibo sostanzialmente avariato, di certo non fa bene alla salute.

C’è, infine, un problema che non viene quasi mai toccato, che se fosse oggetto di una seria discussione potrebbe risolvere anche l’eterna questione della “fame nel mondo” e della sovrappopolazione, ossia la sottrazione di risorse alimentari all’uso umano.
Ampi territori sono destinati alla coltivazione di mangimi, quando invece potrebbero essere riconvertiti alla coltivazione di alimenti vegetali e cerealicoli per sfamare tutti gli abitanti del pianeta.

Un serio programma di investimenti potrebbe favorire la conversione verso aziende agricole non zootecniche, tutelando gli allevatori, e offrendo un’alternativa economicamente sostenibile ed ecologicamente responsabile.

Non serve di certo allevare gli insetti per risolvere il problema della sovrappopolazione né ricorrere all’acquacoltura, un settore in forte espansione.

Promossi e incentivati anche da UE e FAO per aumentare la produzione di cibo, gli allevamenti intensivi di pesci stanno compromettendo interi ecosistemi.

Il problema principale è l’inquinamento da sostanze chimiche, antibiotici e residui di cibo, che si diffondono liberamente nel mare, senza contenimento.
Secondo uno studio, un allevamento ittico che produce 100 tonnellate di pesce scarica in mare 9 tonnellate di azoto.

Come gli animali terrestri, anche i pesci allevati soffrono: vivono in condizioni di sovraffollamento, sporcizia e malattie, si feriscono per lo stress, si attaccano a vicenda staccandosi pezzi di carne.
Vengono poi rimossi dall’acqua e muoiono schiacciati o per asfissia, in un processo che nulla ha di etico né di sostenibile.

Passare a un’alimentazione vegetale è la soluzione più efficace per contribuire non solo alla salute del nostro ambiente, ma anche alla propria, e quella degli Altri Animali.

Forse ce lo siamo dimenticati, ma noi così detti “umani”, siamo animali tanto quanto altre specie viventi sulla Terra.

Recapiti
oipaitalia