Il negazionismo di Trump ha generato un rigetto populista delle regole del Green Deal. Ma è un errore strategico madornale, perché la transizione sostenibile aumenta la competitività: non va gettato il bambino con l’acqua sporca

Guardiamo con realismo ai venti gelidi che spirano sul raggiungimento dei global development goals. L’avvento del negazionista Trump che firma ordini esecutivi per uscire da ogni processo negoziale multilaterale è un colpo durissimo all’idea stessa che le sfide globali debbano essere risolte in un quadro di cooperazione. Tuttavia in questo contesto mutato pare ancora più strategico tenere ferma l’ambizione europea sulla transizione ambientale, climatica e sociale. Come? Stabilizzando la cornice normativa introdotta fin qui senza furie iconoclaste; introducendo maggiore semplificazione; e riconoscendo che non tutto l’onere dei costi amministrativi che il sistema produttivo si deve sobbarcare per le transizioni sia interamente a suo carico. Piuttosto che tornare indietro, molto meglio prevedere la detraibilità di questi costi, e aiutare le aziende già incamminate verso la transizione ad essere più produttive e competitive. Al contrario, diluire e allungare i tempi per l’introduzione della direttiva sulla rendicontazione non finanziaria (Csrd) è un errore strategico, oltre che un danno alle imprese che stanno già provvedendo

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