C’è una dolcezza che non è debolezza. C’è una forza che non ha bisogno di urlare per essere ascoltata. E c’è un Papa, Leone XIV, che ha saputo intrecciare dolcezza e forza in un ministero che parla al cuore dei più fragili, dei più indifesi – ma anche dei più sensibili. Le sue parole sono carezze e scosse insieme. Come quando, con disarmante verità, ha detto: «Una malattia molto diffusa nel nostro tempo è la fatica di vivere: la realtà ci sembra troppo complessa, pesante, difficile da affrontare. E allora ci spegniamo, ci addormentiamo, nell’illusione che al risveglio le cose saranno diverse. Ma la realtà va affrontata, e insieme con Gesù possiamo farlo bene».
La stanchezza del vivere, l’anestesia dell’anima, l’illusione di evadere dalla fatica del reale: sono mali che attraversano il nostro tempo in profondità, e che trovano terreno fertile nella solitudine, nella sfiducia, nella precarietà dell’esistenza. Leone XIV non si limita a nominarli. Li prende per mano, li guarda in volto e li riconduce a una possibilità di rinascita: «insieme con Gesù possiamo farlo bene». Non un moralismo, non un rimprovero, ma un abbraccio e una proposta.
«La libertà non è solo un diritto da proclamare, è una conquista da vivere»
È con questo spirito che il Pontefice ha accolto, il 26 giugno scorso, nel Cortile di San Damaso, i partecipanti alla Giornata internazionale contro il consumo e il traffico illecito di droga. Le sue parole – «La vostra presenza è una testimonianza di libertà» – non sono state solo incoraggiamento, ma riconoscimento: la libertà non è solo un diritto da proclamare, è una conquista da vivere. E chi ha saputo risalire dall’abisso della dipendenza, non è solo un sopravvissuto: è un testimone, un profeta di speranza in un tempo che spesso smarrisce il senso della vita.
«Il male si vince insieme. La gioia si trova insieme. L’ingiustizia si combatte insieme» – ha detto ancora Leone XIV. Una teologia della fraternità che diventa prassi sociale. Il Papa denuncia con coraggio le logiche disumane che trasformano il dolore in profitto, i fragili in colpevoli, le vittime in numeri. Parole che pesano: «Troppo spesso si fa la guerra ai poveri, non alla povertà. Si riempiono le carceri di vittime, mentre chi tiene la catena resta impunito». È il Vangelo che si fa denuncia, che scardina le ipocrisie e chiama per nome le ingiustizie strutturali.
Eppure, accanto a questa forza profetica, c’è la tenerezza di chi non ha dimenticato il volto umano della sofferenza. «Se vi siete sentiti scartati, ora non lo siete più. Gli errori e le ferite, insieme al desiderio di vivere, vi rendono testimoni. La Chiesa ha bisogno di voi. L’umanità ha bisogno di voi». Leone XIV guarda al cuore ferito del mondo con gli occhi di Cristo. Non condanna, ma chiama. Non giudica, ma invita. E lo fa sempre con un’attenzione speciale per gli ultimi, per quelli che la società ha sepolto troppo in fretta nel silenzio o nel disprezzo.
Leone XIV: una Chiesa che sa essere madre e sorella
La realtà, ci ricorda il Papa, non va fuggita, né ignorata: va affrontata. Ma mai da soli. Occorre una comunità, una Chiesa che non abbia paura di sporcarsi le mani, di stare per strada, di ascoltare le storie più difficili. «Percorsi pastorali e politiche sociali devono cominciare dalla strada e non dare mai nessuno per perso». È questa l’immagine di una Chiesa che sa essere madre e sorella, capace di cura e di coraggio, di prossimità e di verità.
In un tempo segnato da conflitti, paure e chiusure, Leone XIV ci ricorda che «tutti abbiamo la vocazione ad essere più liberi e più umani. È la vocazione alla pace. È questa la vocazione più divina». E con parole che dovrebbero diventare preghiera quotidiana per ciascuno di noi, chiede: «Pregate per me, affinché il mio ministero sia a servizio della speranza delle persone e dei popoli».
E infine, la sua esortazione più semplice, più umana, più evangelica: «Coraggio sempre e avanti». Non ci serve altro, davvero.