La sofferenza del settore primario – che abbiamo visto sfociare come disagio sociale, ancor prima che meramente economico, tra il 2023 e il 2024 – è frutto della tempesta perfetta che ha travolto l’agricoltura europea. Eventi climatici estremi sempre più frequenti e poco prevedibili hanno ridotto le rese, i prezzi pagati ai produttori sono sempre più bassi e le aziende non coprono nemmeno i costi. Oltre a questo, da decenni le politiche agricole sono poco lungimiranti e confinano la produzione alimentare, seppur “eccellente” come volentieri si sottolinea riguardo a quella italiana, a un insalubre assistenzialismo. Ci siamo abituati all’idea che facendo agricoltura non si sopravvive: ancor più se si pratica un’agricoltura rispettosa dell’ambiente e si opera nella totale trasparenza e legalità.
Ma abbiamo una trave nel piatto: le regole applicate fuori dall’Unione europea per la produzione alimentare in termini ambientali (uso di fitofarmaci e limite dei residui tossici) e in termini etici (diritti di lavoratori e dei consumatori, benessere animale) non sono le stesse applicate all’interno dell’Ue.
Una beffa da ogni punto di vista: un pericolo per la salute dei consumatori europei, esposti a prodotti meno salubri; una forma di concorrenza sleale, poiché produrre in maniera meno rigorosa sotto il profilo della responsabilità ambientale ha costi inferiori; ma anche una minaccia per il benessere di produttori, animali, suolo ed ecosistemi nei Paesi esportatori.
Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia
L’articolo completo sarà disponibile a partire da martedì 8 luglio
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