Per noi che siamo fortunati e viviamo nel Nord del mondo opulento e scontento, è normale trovarsi davanti aun piatto di cibo 3-5 volte al giorno.

Eppure in quel piatto, spesso, c’è una trave e non ce ne rendiamo conto, ci sono tutti i paradossi di un sistema alimentare globale ingiusto che considerail cibo merce e ne subordina produzione e distribuzione a logiche finanziarie mortifere.

E di questi giorni la firma del controverso accordo Ue-Mercosur: un complesso patto commerciale le cui trattative sono iniziate negli anni Novanta, tra l’Unione europea e alcuni Paesi latino-americani: Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay. Il cui risultato è un abbattimento di barriere per i commerci che potrebbe favorire la reciproca esportazione di prodotti, oltre alla partecipazione a gare d’appalti e così via, creando la zona di libero scambio più vasta del pianeta, con 700 milioni di cittadini.

La trave nel piatto che non vediamo però è che, ancora una volta, questo accordo si impernia su dinamiche speculative che perpetuano gli squilibri tra il Nord e il Sud del mondo, rilancia un modello agroindustriale estrattivo che ha reso la produzione alimentare tra le cause primarie di emissioni climalteranti, devastazione della biodiversità, allevamento intensivo di decine di miliardi di animali nel mondo, scellerato sfruttamento di risorse naturali, in primis suolo e acqua dolce. Questo tipo di paradigma ci serve violenze contro le comunità indigene latino-americane che vengono spinte fuori dai loro territori, avvelenate con prodotti agrochimici tossici, le cui foreste vengono disboscate, smantellando così lapossibilità di una concreta transizione verso pratiche agroecologiche e la sovranità alimentare.

Perplessità e resistenze si sollevano anche in Europa, dove gli agricoltori stessi ritengono di essere penalizzati da un accordo che li mette ancor più sotto pressione: favorendo la concorrenza sleale da parte di produzioni importate realizzate a costi nettamente inferiori e in base a standard più bassi quando non inesistenti (relativamente all’uso di pesticidi, antibiotici, ormoni, alle condizioni di lavoro, al benessere animale, …), alimentando preoccupazioni ambientali e sanitarie. I cittadini – e gli agricoltori – hanno fame di un onesto ripensamento della produzione alimentare nella direzione di un futuro collettivo senza sfruttamento, incardinato sul rispetto della terra e del vivere tutto.

Barbara Nappini,
presidente Slow Food Italia

da Il Fatto Quotidiano di lunedì 16 dicembre 2024