European Accessibility Act: il processo di adeguamento per le PA

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European Accessibility Act: il processo di adeguamento per le PA. L’approfondimento da FORUM PA 2025

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L’entrata in vigore dal 28 giugno dell’European Accessibility Act impone nei paesi europei l’obbligo a tutte le società con fatturato superiore ai 2 milioni di euro che operano sul web con piattaforme e applicazioni di garantire la piena accessibilità digitale. Un’accelerazione notevole che rafforza uno standard tecnologico di inclusione a cui le pubbliche amministrazioni già da tempo avevano dovuto allinearsi. Del processo di adeguamento all’EAA e dei prossimi passi da compiere per rendere davvero accessibile a tutti piattaforme e servizi si è discusso nel corso della tavola rotonda “Countdown all’European Accessibility Act: l’accessibilità digitale diventa realtà”, che si è tenuta nel corso dell’edizione 2025 di FORUM PA. Un momento di approfondimento delle implicazioni normative e delle soluzioni pratiche per costruire un’esperienza digitale accessibile a tutti, in linea con i principi di trasparenza, partecipazione e collaborazione. Al talk, oltre a personalità istituzionali e manager pubblici, hanno partecipato anche gli esperti di AccessiWay

15 Luglio 2025

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Manlio Serreti

Giornalista

FORUM PA 2025. Palazzo dei Congressi - Roma | Foto Rina Ciampolillo

La data del 28 giugno 2025 ha suscitato un’attesa crescente al suo approssimarsi come uno spartiacque fondamentale per tutti coloro che esistono e operano nel Web. L’entrata in vigore dell’European Accessibility Act (EAA) è stato un passaggio cruciale sul tema dell’accessibilità digitale, uno step particolarmente importante della transizione tecnologica non solo in Italia, ma in tutti i paesi Europei. Il tema è stato al centro della tavola rotonda che si è tenuta in occasione dell’edizione 2025 di FORUM PA dal titolo “Countdown all’European Accessibility Act: l’accessibilità digitale diventa realtà”, organizzata da AccessiWay, con la partecipazione di importanti ospiti istituzionali e relatori esperti di accessibilità. L’evento, in particolare, ha acceso un focus sul ruolo della pubblica amministrazione come motore del cambiamento, che è sia sfida tecnologica, che opportunità di inclusione. Si è trattato di un’occasione speciale per un confronto aperto su come mettere a terrà l’accessibilità nel modo più diffuso ed efficace possibile, trasformando un obbligo normativo in una leva strategica per una PA virtuosa, che non lasci nessuno indietro e sia veramente al servizio di tutti i cittadini.

Cos’è l’EAA e quali le implicazioni per aziende e PA

La Direttiva Europea 882/2019, conosciuta appunto come “European Accessibility Act”, è stata recepita in Italia con il Decreto Legislativo 82/2022. In sintesi, le aziende private con un fatturato superiore ai 2 mln hanno l’obbligo di adeguare i loro siti web, portali e applicazioni mobili ai nuovi standard accessibilità alle persone con disabilità, rimuovendo le barriere digitali che impediscono di accedere ai loro servizi, soprattutto se essenziali. Obiettivo europeo dell’EAA è di migliorare il funzionamento del mercato e di promuovere una società più inclusiva: le aziende che non si conformeranno in tempi brevi alla normativa sono ora passibili di sanzioni, azioni legali e danni alla loro reputazione. L’unica deroga prevista all’applicazione della Direttiva sono le microimprese, mentre le PMI possono derogare solo a determinate condizioni, cioè invocando “l’onere sproporzionato”. Il timore da alcuni agitato di un nuovo spauracchio europeo sta lasciando il passo a ciò che realmente rappresenta: un potente driver di sviluppo e una sfida eccezionalmente ricca di opportunità.

A dirlo sono i numeri stessi della platea interessata dall’applicazione dell’EAA in Italia, esposti nel corso dei suoi saluti istituzionali dell’Onorevole Luciano Ciocchetti: “Penso ai 2 milioni circa di persone con disabilità visive, ai 3 milioni con limitazioni funzionali importanti, 2.5 milioni con daltonismo, 500 mila con epilessia, 3 milioni con DSA, il 7% degli adolescenti con diagnosi con DHD. È solo una parte di una realtà che ha un diritto assoluto avere accessibilità come gli altri – sottolinea il Deputato di Fratelli di Italia –. E poi pensiamo a tutta la popolazione anziana. Ci sono 14 mln di italiano che hanno più di 65 anni. Persone che hanno difficoltà all’accesso digitale che dobbiamo rendere più semplice e più accessibile. È una grande battaglia che insieme a tanti amici stiamo cercando di portare avanti, insieme a tanti colleghi, per fare in modo che grazie dell’AgID, grazie al lavoro delle associazioni e al lavoro di tutti, si possa attuare in pieno il sogno della Legge Stanca e offrire a tutti davvero una grande accessibilità”.

A che punto siamo in Italia? Il ruolo dell’Autorità Garante Nazionale

Con l’EAA il quadro legislativo è completo, la consapevolezza cresce, diventa ora determinante il monitoraggio dell’applicazione della Direttiva e dei progressi dell’adeguamento degli attori del Web alla completa accessibilità digitale.

Da poco in Italia c’è un nuovo organo di controllo, l’Autorità Garante nazionale dei diritti delle persone con disabilità, che ha ricevuto ampia giurisdizione sulla materia:”L’Autorità Garante è neonata, ed è stata istituita con il D.Lgs 20/2024, uno dei decreti che ha dato attuazione alla grande legge di riforma in materia di disabilità, la Legge 227/2021. Siamo operativi da gennaio di questo anno – dice Maurizio Borgo, Presidente Autorità Garante nazionale dei diritti delle persone con disabilità –. È chiaro a tutti, e ce lo ha ricordato da ultimo l’anno scorso la Carta di Solfaniano, l’importantissimo documento che ha chiuso il primo storico G7 in materia di inclusione e disabilità ricollegandosi ai principi della Convenzione Onu, che l’accesso e l’accessibilità sono la precondizione per consentire alle persone con disabilità di partecipare appieno, a 360 gradi, a ogni momento della loro vita – prosegue Borgo –. La rivoluzione digitale, così importante, non deve mai produrre barriere di accesso. Purtroppo, invece, abbiamo già avuto segnalazioni di procedure portate avanti dalle PA, secondo il modello digitale che dovrebbe essere il più accessibile, che hanno prodotto barriere di accesso e quindi violazione dei diritti delle persone con disabilità. Questo non deve accadere, siamo già intervenuti e proseguiremo l’azione di monitoraggio: noi dobbiamo fare in modo che l’accesso delle persone disabili sia assicurata al massimo. Noi stiamo realizzando il nostro portale – conclude Maurizio Borgo –, abbiamo già deciso di sottoporre la versione beta alle persone con disabilità: saranno loro a dirci se è veramente accessibile”.

Importanza del monitoraggio, il vero collo di bottiglia

C’è ancora molto da fare: pochi dubbi emergono dalla tavola rotonda del Palazzo dei Congressi dell’Eur. La legislazione è più sempre più severa, e l’EAA arriva a dare uniformità europea a un percorso normativo che ha visto come apripista in Italia la Legge Stanca del 2004.

Adesso va implementata la qualità diffusa dei processi e un’analisi dall’interno delle soluzioni tecnologiche adottate, partendo dalle esigenze reali: “Il coinvolgimento delle persone con disabilità è importante perché siamo noi ad essere quelli più penalizzati da un sito, da un’applicazione non accessibili, e i più avvantaggiati nel momento in cui l’accessibilità funziona ed è pienamene rispettata. Il perché è che l’accessibilità ci consente l’autonomia. Ad esempio, possiamo acquistare attraverso l’e-commerce senza aiuto o violazioni della privacy – dice Stefania Leone, Presidente ADV Associazione Disabili Visivi –. Noi come associazione facciamo dei test di accessibilità, abbiamo un supporto interno. E noi non siamo ingegneri informatici, il test deve essere gestito a livello basic, però c’è un problema: nel momento in cui andiamo a fare le segnalazioni all’AgID o alle stesse aziende in primis, poi qualcosa si ferma. Perché non c’è una formazione importante – prosegue Stefania Leone –. Bisogna creare un pool di accessibilità, un pool di esperti opportunamente formati, perché altrimenti il processo si ferma. Noi diamo l’Ok o il Non Ok su alcuni aspetti, che solo le persone con disabilità, gli utenti finali, possono testare (non automatismi o pulsanti). C’è però bisogno di formazione all’interno delle aziende, grandi, piccole o medie. Consiglio alle aziende di specializzarsi su questo aspetto, perché anche la partecipazione alle gare pubbliche, alle gare di appalto che prevedono l’accessibilità, può essere un grosso punto di forza. E all’interno del pool di accessibilità bisogna coinvolgere le persone con disabilità. Si passa dall’essere obbligo ad essere risorsa, mettendosi a posto anche con la legge 68 del 99, oltre a quella sull’accessibilità. Esorto l’AgID – conclude la Presidente di ADV – ad attivare una cabina di regia forte e realizzativa, non solo per monitorare, ma anche per affrontare i problemi. Il monitoraggio è il collo di bottiglia e va fatto sistematicamente per poi affrontare i problemi. Non basta la dichiarazione di accessibilità”.

Utilizzo dei fondi, oltre la logica dei silos: la necessità di un approccio olistico

All’interno della più ampia e complessa strategia di adeguamento all’EAA, le amministrazioni devono seguire un processo olistico, che non trascuri nessun ambito e metta insieme tutti i cluster di una sfida complessa, a cominciare dall’utilizzo dei fondi pubblici.

“Il progetto PNRR Citizen Inclusion ha stanziato 80 mln di euro per la formazione che ha riguardato più di 61 regioni ed enti locali: una capacità di moltiplicare queste attività sui territori, dove le cose succedono; più 4000 mila dipendenti della PA locale formati; 1700 dipendenti della PA con disabilità che necessitano di tecnologie assistive – sottolinea Mario Nobile, Direttore Generale AgID –. Si è visto che coinvolgendo le associazioni del terzo settore, non era detto che la tecnologia assistiva fosse la migliore scelta per quella persona: quindi il primo punto è il rafforzamento culturale. Le attività si svolgono sul campo – prosegue Nobile –. Non possiamo chiedere ai parlamenti di entrare nei dettagli tecnici. Il dettaglio è che le cose avvengono, facendo formazione, facendo errori, migliorando, facendo il libro bianco, facendo le linee guida, sbagliando, ritornando indietro, correggendo l’errore. E su questo ho un altissimo ottimismo – afferma il Direttore Generale dell’AgID –. Secondo: c’è una vigilanza, ci sono delle sanzioni. AgID farà la sua parte fino in fondo. Verranno applicate, soprattutto perché dopo una prima fase di collaborazione, c’è un effetto di non-investimento nel dare i ruoli giusti, nel nominare le figure giuste all’interno delle imprese o del PA, nel dare gli investimenti giusti: AgID farà la sua parte! Terzo punto, la tecnologia evolve con velocità rapidissima. L’errore più grosso che possiamo commettere è imbrigliare la tecnologia, e di vedere i diversi modi di regolazione come silos indipendenti – prosegue Nobile –. Serve un approccio olistico. C’è un tema cyber, un tema privacy, l’accessibilità, la competitività: chi venderà al mondo i servizi più evoluti? Terzo punto, di speranza: il mio auspicio è che superiamo la logica dei silos. Siamo nati e cresciuti così, ma non possiamo più reggere un confronto di competizione in un mercato mondiale se andiamo a fare i pezzettini. Serve un bilanciamento di interessi, altra parola magica. E il mio auspicio che ci sia coralità rispetto agli obiettivi”. 

L’esperienza di Accessiway, professionisti dell’inclusione e dell’accessibilità

L’EAA è dunque un passo in avanti importante, ma serve un approccio corale, olistico, per illuminare le ancora troppe zone grigie. Una di queste è il tema del lavoro, una delle aree su cui intervengono con grande competenza e formazione gli esperti di AccessiWay, la società di Torino che si sta facendo strada nella consulenza sull’accessibilità: “La Costituzione si apre dicendo che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, e il lavoro stesso dà dignità alla persona. Le pubbliche amministrazioni, insieme alla Legge Stanca, sono state il banco di prova con la legge 68 del 1999 che ha aperto le porte all’accesso a persone con disabilità – sottolinea Dayana Gioffré, Chief Vision Officer di AccessiWay –. C’è però il tema della carriera. Il lavoro lo si può trovare grazie alla legge e alle quote, ma poi questa persona entra in azienda o nella PA, e vuole dare, anche come status, il proprio contributo nella società. Per questo ci sono le tecnologie assistive, lo fa l’accessibilità digitale attraverso i software, lo fanno i documenti digitali (oggi ancora poco accessibili) che consentono alla persona di ricoprire effettivamente il proprio ruolo, ed essere un collega tra colleghi, che svolge la propria mansione. Le leggi ci sono – prosegue Dayana Gioffré –. Il rischio è poi che la persona rimanga lì, con le mani in mano. Terzo cosa fondamentale, la persona non deve dire di cosa ha bisogno. Ci deve essere un esperto di accessibilità con cui studiare insieme le soluzioni, cucite su misura per lui. Bisogna studiarle assieme, essendoci le competenze, qual è la strada giusta sia nella PA che nel privato, capire insieme qual è la strada giusta per un percorso in cui la tecnologia e l’accessibilità digitale sia effettivamente strumento e non ostacolo”.                     

L’approccio olistico è il mantra che dà una direzione, ampia ma inclusiva; l’altro termine chiave è invece consapevolezza, ad ogni livello, e in questo i privati devono guardare come esempio le pubbliche amministrazioni che sono venti anni più avanti: “Oggi ci troviamo di fronte a una data che viene percepita come una scadenza, ma la scadenza segna l’inizio non la fine di un processo di cambiamento culturale – dice Jacopo Deyla, Chief Accessibility Officer di AccessiWay –. Questa è già la seconda onda. La prima è stata nel 2004, poi l’accessibilità è stata un po’ dimenticata. Per i privati oggi manca la consapevolezza, è un percorso lungo, che comincia da giugno. Bisogna sempre mettere gli utenti al centro e iniziare un percorso di una lenta ma costante messa a norma di tutto ciò che si offre in digitale. A cominciare dai documenti, che sono i più dimenticati, materia di scambio con le PA – sottolinea Deyla –. È complicato mantenere l’accessibilità nel tempo. È un percorso che si inizia ma che bisogna vigilare costantemente. Quello che vorrei che vi portaste a casa, come pubblica amministrazione, che avete un ruolo come Repubblica di favorire la partecipazione, che viene stimolata e offerta attraverso accessibilità, inclusione, partecipazione. Sono tutti prerequisiti, che in ogni momento possono essere lasciati dietro l’angolo. È già successo – avverte il Chief Accessibility Officer di AccessiWay –. Portiamo avanti la materia, l’attenzione, la vigilanza. Perché la consapevolezza delle persone è aumentata. La digitalizzazione è una parte fondamentale della nostra vita. La tecnologia prima non era così pervasiva, adesso lo è. Serve oggi tutto lo sforzo delle PA per tenere la barra dritta e stimolare i privati a seguire la strada giusta”.

Recapiti
di Manlio Serreti