Corte Costituzionale: sì all'integrazione al minimo per gli invalidi soggetti al sistema contributivo - SPI CGIL Veneto

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Lo Spi Cgil plaude alla sentenza delle Corte Costituzionale: “Ora allarghiamo questo principio anche agli altri pensionati poveri

All’apparenza può sembrare una sentenza intrisa di complicati tecnicismi, in realtà i suoi effetti sono (o meglio, saranno) molto semplici e immediati: anche i soggetti invalidi che percepiscono l’assegno/pensione di invalidità erogato tramite il sistema contributivo, hanno diritto all’integrazione al minimo.

È questo il cuore del pronunciamento (sentenza numero 94 del 2025) con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima una norma introdotta con la riforma Dini, ancora nel lontano 1995. Tale norma di fatto escludeva dall’integrazione tutti i soggetti che si sono iscritti al sistema pensionistico dopo la riforma, quindi dopo il 1995. Molte di queste persone, dunque, soggette esclusivamente al regime contributivo, fino a questa sentenza non godevano di quel meccanismo che consente di aumentare l’importo della pensione fino a raggiungere una soglia minima stabilita dalla legge che corrisponde, a livello quantitativo, all’importo dell’assegno sociale, ovvero 603,40 euro. Ora le cose cambiano (anche se con effetto non retroattivo). E per il sindacato dei pensionati del Veneto, questa è una bella notizia, considerando pure che la sentenza potrebbe allargare le proprie maglie a tutte le pensioni basse maturate nell’ambito del sistema esclusivamente contributivo.

Attendiamo la circolare Inps per capire bene la situazione – commenta Massimo Cestaro segretario dello Spi Cgil del Veneto -. Ma possiamo già dire che si tratta di un grande risultato, intanto per ragioni di equità ma anche perché introduce un principio a noi molto caro. Il sistema contributivo, cioè il sistema pensionistico basato su contributi effettivamente versati, è in sé un impianto ragionevole. Il punto è che ci sono tanti lavoratori che, non per volontà propria ma per condizioni di mercato, subiscono riduzione del loro tempo di lavoro a causa di part time involontari, contatti a termine, impieghi saltuari intermittenti e precari che rischiano di consegnare al paese una classe di pensionati non poveri ma poverissimi. Certo – conclude Cestaro – la sentenza si riferisce ai soggetti con problematiche sanitarie, a persone invalide. Ma la Corte Costituzionale apre la strada per affermare il principio che i rapporti di lavoro saltuari e intermittenti non possono e non devono determinare una pensione povera. Per questo ragioniamo da tempo su una pensione di garanzia. Dalla riforma Dini a oggi sono passati 30 anni. Sarebbe dunque il caso di effettuare un check up sul sistema previdenziale per vedere come ha funzionato e i correttivi da apportare”.

Immagine di jcomp su Freepik

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