Se in passato organizzare team building veniva considerata come una sorta di moda aziendale o la scusa utile per pianificare un momento di svago fuori dall’ufficio, oggi questa visione è stata completamente e definitivamente superata.
Questo genere di attività si configura infatti come un vero e proprio investimento strategico che incide in primis sul benessere fisico e psicologico dei dipendenti e poi, per riflesso naturale, sulla produttività aziendale.
Il motore di questo cambiamento è il nuovo volto del mondo del lavoro, che si muove a velocità sempre più sostenute, richiedendo flessibilità, capacità di adattamento e intensa competitività.
Le aziende si trovano oggi ad affrontare sfide che in passato non esistevano, come quella legata all’interconnessione, che necessita di contributi trasversali da più funzioni e competenze diverse. Si tratta quindi di realtà che evolvono rapidamente, con team chiamati a prendere decisioni agili e coordinate e operare ad alta intensità emotiva, con carichi cognitivi e stressanti che possono logorare i rapporti interpersonali.
In questo nuovo contesto, la semplice somma di competenze non basta più. Serve costruire un sistema di fiducia reciproca, sviluppare una comunicazione autentica e far emergere una motivazione collettiva che spinga le persone a muoversi tutte nella stessa direzione.
Da qui la collaborazione come fondamentale valore aziendale, indispensabile per costruire una vera squadra che insegue obiettivi comuni con una visione comune e valori comuni.
È un processo che ha a che fare non solo con le abilità tecniche e l’efficienza organizzativa, ma anche con le emozioni.
Ed è proprio in questo scenario che il team building è passato dall’essere una basica attività ricreativa a trasformarsi in uno strumento neuroscientificamente fondato, capace di incidere direttamente sulle reti neurali che regolano fiducia, empatia e gestione dello stress.
I principi della neuroscienza in riferimento alla collaborazione
Nel corso degli anni, le neuroscienze si sono concentrate sul lavoro di squadra, andando ad analizzare quali sono i fattori che possono renderlo più efficace e funzionale.
Questi studi, oltre ad aver reso maggiormente comprensibile perché alcune dinamiche di gruppo funzionano e altre falliscono, hanno anche portato luce sui meccanismi profondi del cervello sociale.
Il primo paradigma riguarda la connessione tra sociale e ossitocina.
Il cervello umano è naturalmente programmato per creare legami. Quando questo avviene, ovvero quando ci si trova di fronte ad una persona di cui ci si può fidare, il cervello rilascia
ossitocina, un ormone peptidico che:
- riduce i livelli di cortisolo
- potenzia l’empatia
- aumenta il senso di tranquillità
- incrementa l’apertura mentale
- facilita la collaborazione
Questo significa che, se si trova il modo giusto di sollecitare la produzione di ossitocina, di conseguenza si può incrementare il livello di collaborazione.
Un altro concetto approfondito dalle neuroscienze, sempre in merito alla collaborazione, è legato alla reazione del cervello di fronte alle minacce.
Secondo i modelli neuroscientifici come il SCARF (Status, Certainty, Autonomy, Relatedness, Fairness), il cervello umano non distingue nettamente tra una minaccia fisica (un pericolo reale) e una minaccia sociale (non pericolosa).
In entrambi i casi, percepisce semplicemente una sensazione di pericolo che innesca un allarme, che a sua volta rilascia cortisolo e attiva quelle aree connesse a sentimenti come paura e bisogno di sopravvivenza, innescando comportamenti di difesa o chiusura.
Semplicemente mettendo le persone in una condizione di “non pericolo”, ad esempio in un ambiente psicologicamente sicuro, si elimina il rischio di provocare timori e si aiuta il cervello a sentirsi protetto e sereno e, di conseguenza, a stimolare creatività e apertura.
Molto interessante anche lo studio sui Mirror Neurons, ovvero i neuroni specchio: cellule cerebrali che si attivano sia quando una persona compie direttamente un’azione, sia quando osserva qualcun altro farla.
Accendendosi, generano quella che viene definita risonanza empatica, ovvero la capacità di sincronizzarsi emotivamente con gli altri, innalzando il senso di unità e sintonia e portando alla creazione di un legame empatico profondo.
Infine, le neuroscienze si sono concentrate su dopamina e motivazione.
Ogni volta che una persona raggiunge un obiettivo, il cervello rilascia dopamina, un neurotrasmettitore legato al piacere e alla ricompensa, che provoca soddisfazione e gioia.
Quando l’obiettivo viene ottenuto in gruppo, il cervello associa la sensazione positiva che prova sì al traguardo, ma anche al team stesso. Così la dopamina rinforza la voglia di collaborare e affrontare insieme nuove sfide.
Le moderne attività di team building sfruttano questi studi di neuroscienza per costruire esperienze capaci di agire direttamente su:
- la chimica del cervello (ossitocina e dopamina)
- i sistemi di sicurezza sociale (SCARF)
- le reti neurali dell’empatia (neuroni specchio)
Il risultato sono esperienze che favoriscono una collaborazione autentica e duratura e promuovono legami di fiducia, connessione emotiva e obiettivi condivisi.
In questo modo, il team building si trasforma in un vero acceleratore di coesione e performance, aiutando le Aziende a ottenere risultati incredibili: team che lavorano insieme in modo più naturale, efficace e soddisfacente.
Come i team building traducono la neuroscienza in collaborazione aziendale concreta ed efficace
I team building di nuova generazione, come quelli progettati dalla Società italiana Teambuilding Experience, trasformano i principi neuroscientifici in pratiche reali, capaci di incidere sul clima aziendale e sulla qualità delle relazioni professionali.
Si tratta infatti di attività che vanno a favorire la fiducia e ad incoraggiare la condivisione personale. Questo costruisce connessioni più profonde, alimenta l’empatia e stimola il rilascio di ossitocina, riducendo le tensioni.
Altro obiettivo del team building è stabilire regole di ingaggio chiare: quando ciascuno sa cosa aspettarsi e quali sono le “regole del gioco”, il cervello percepisce un ambiente più stabile e sicuro, abbattendo l’ansia derivante dall’incertezza. Questo permette di allontanare stress, preoccupazione e tensione, generando una maggiore serenità e apertura.
Le esperienze vengono poi sviluppate per creare sfide comuni, che richiedono collaborazione, ma senza inasprire eccessivamente la competizione. Così si innescano dinamiche di supporto reciproco e problem solving condiviso, che cementano la coesione del gruppo e vengono portate anche al di fuori del gioco.
Fondamentale è anche celebrare i successi di squadra, perché il riconoscimento collettivo attiva i circuiti della dopamina, legati alla gratificazione. Questo consolida l’orgoglio di appartenenza e rende le persone più motivate a ripetere comportamenti cooperativi.
Infine, tutti i team building prevedono momenti dedicati ad allenare l’ascolto empatico: questi esercizi aiutano i neuroni specchio a “sincronizzarsi”, potenziando la capacità di sintonizzarsi emotivamente con gli altri, di capirne stati d’animo e bisogni.
Le nuove attività di team building si configurano quindi come un vero e proprio ponte pratico tra neuroscienza e realtà aziendale, trasformando concetti teorici essenziali in esperienze vive che migliorano la collaborazione, rendendola estremamente efficace.
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