C’è qualcosa di profondamente sbagliato in un Paese in cui si continua a morire mentre si lavora. Non è un incidente. Non è fatalità. È la conseguenza di scelte precise, di ritardi colpevoli, di controlli insufficienti, di una cultura che considera la sicurezza un costo invece che un diritto. E la misura è colma.

Da gennaio a luglio 2025, più di 500 persone hanno perso la vita lavorando. Non sono numeri: sono storie, famiglie distrutte, figli rimasti senza genitori, genitori che non vedranno tornare i figli. Ogni morte è una ferita che si apre nel cuore del Paese. E troppo spesso, dopo l’onda di commozione, cala il silenzio. Finché non accade di nuovo. E di nuovo. E ancora.
Come CISAL non possiamo accettarlo. Non possiamo accettare che intere categorie – operai edili, braccianti agricoli, lavoratori della logistica – siano sistematicamente esposte a condizioni inaccettabili. Non possiamo restare in silenzio davanti a cantieri dove si lavora senza protezioni, a cooperative spurie dove il rispetto delle regole è un’eccezione, a magazzini dove i ritmi sono disumani.
La verità è che si continua a morire perché si continua a tollerare. Perché la politica non fa abbastanza, perché i controlli sono pochi, perché chi viola le regole spesso la fa franca. Ma anche perché manca una cultura della prevenzione vera, continua, quotidiana. La sicurezza non può essere una formalità da compilare su un modulo. Deve essere parte integrante del lavoro, dal primo giorno di formazione all’ultimo turno prima della pensione.
E lo Stato deve fare la sua parte, tutta. Non servono più parole. Servono risorse, ispettori, leggi semplici ma applicabili. Servono processi rapidi e pene certe. E serve la volontà politica di dire, una volta per tutte, che la sicurezza viene prima di tutto. Prima del profitto, prima della fretta, prima del risparmio.

Ma serve anche una presa di coscienza collettiva. Perché la cultura della sicurezza si costruisce ogni giorno: nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle aziende, nei sindacati. E noi, come CISAL, questa battaglia non la abbandoneremo mai. Continueremo a denunciare, a proporre, a stare accanto a chi lavora. Perché un Paese in cui si muore di lavoro non è un Paese civile. E l’unico numero accettabile, l’unica statistica che possiamo e dobbiamo accettare, è zero morti sul lavoro.
Non possiamo aspettare che sia l’ennesima tragedia a svegliare le coscienze. Il momento di agire è adesso.