Turismo e sfruttamento animale: quali attività sono da evitare - OIPA Italia

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Agosto è il mese delle ferie per eccellenza. Chi non è partito nei mesi scorsi, ha probabilmente in programma un viaggio per le prossime settimane. Le mete possono essere tra le più disparate: dalle coste caraibiche ai templi della Thailandia, dalle grandi città europee ai deserti africani. Ogni Paese è un pot-pourri di colori, sapori e tradizioni che spesso, però, coinvolgono gli animali. Antiche usanze hanno dato vita, col passare dei secoli, a immagini stereotipate che ormai associamo alle aree turistiche più famose. Esempi sono le file di dromedari nel deserto, gli elefanti ammaestrati del sud-est asiatico e le corse dei tori spagnole.

Attirati da immaginari fantastici, e spesso un po’ idealizzati, finiamo col prenotare le ferie in luoghi che basano gran parte del business turistico sullo sfruttamento degli animali, costretti a uno stile di vita inadeguato se non completamente contrario a ogni principio di benessere. Non sempre è facile riconoscere una scena di maltrattamento, può essere che all’apparenza l’animale ci sembri star bene, soprattutto se si tratta di specie a noi poco familiari. Per questo è fondamentale essere consapevoli di ciò che si nasconde dietro a quella che può sembrare un’innocua attrazione turistica. Evitare di parteciparvi contribuirà a ridurre progressivamente il numero di animali sfruttati.

Vediamo, quindi, quali sono le attività di intrattenimento più facilmente proposte ai turisti che includono la sofferenza animale.

Escursioni in groppa a elefanti o dromedari

Le passeggiate in groppa a elefanti, dromedari o cammelli sono tra le attrazioni più richieste dai turisti, desiderosi di provare un’esperienza completamente nuova e indimenticabile a stretto contatto con la natura. Basta poco, però, per scorgere segni, anche ben evidenti, di maltrattamento. Esattamente come avviene per le esibizioni nei circhi, anche nel caso di queste “escursioni” gli animali sono costretti a pratiche innaturali e costrittive. Per addomesticarli al punto da essere utilizzati come “taxi”, vengono, il più delle volte, catturati da cuccioli e addestrati a suon di pungoli e bastoni. Non occorrere comunque assistere al “dietro le quinte” per notare il loro dolore. Basta vedere le catene legate ai piedi degli elefanti o le corde che legano i dromedari gli uni agli altri, così strette da impedire loro di muoversi e scomporre “la fila”. Privati della loro libertà e forzati a turni massacranti, questi animali sono le vittime più evidenti del peggior business turistico.

Incontri ravvicinati con animali esotici

Tra tigri, leoni, pappagalli, elefanti e scimmie, non è raro avere l’occasione di imbattersi in animali esotici detenuti in cattività e costretti a vivere al centro di un flusso costante di visitatori, tra schiamazzi, selfie e contatti inopportuni. Si tratta, spesso, di presunti santuari “etici” che, principalmente nei luoghi del sud-est asiatico, attirano i turisti con l’illusione di poter conoscere da vicino la fauna locale senza dover infliggere alcuna sofferenza. In realtà, per adattare un animale selvatico all’interazione con l’uomo, occorre un addestramento fatto di ore e ore in catene con tanto di minacce di punizioni, necessarie ad abituare l’animale a essere il più calmo e docile possibile. Diffidiamo sempre, quindi, da proposte che possono sembrare innocue come i bagni con gli elefanti o le nuotate con i delfini. Tutti loro dovrebbero poter vivere in libertà senza essere al servizio dei capricci umani.

Spettacoli, corride e pali

In Spagna, ma anche in Messico, la corrida è una tradizione che resiste al passare del tempo, così come la corsa dei tori. Tradizione vuole che i tori vengano uccisi dai matadores con una spada dopo essere stati trafitti con alcune lance. La sofferenza inflitta a questi animali è enorme, per questo le autorità stanno virando su alternative “meno cruente”, come quelle di Città del Messico, che prevedono spettacoli senza uccisioni. Nonostante ciò, rimane evidente che i tori siano sottoposti a uno stress inutile e contrario al loro benessere.

Lo stesso accade nel caso di show che coinvolgono animali marini, in cui pesci o cetacei si ritrovano a vivere in vasche troppo piccole o sovraffollate, in cui devono, a volte, “esibirsi” in giochi e spettacoli acrobatici. Anche se gli addestratori raramente utilizzano metodi violenti, foche o delfini sono sottoposti al disagio psicologico derivante dal vivere in cattività e dal dover ripetere comportamenti indotti dall’essere umano.

Acquisto di souvenir tipici e prodotti tipici

Molti souvenir sono realizzati con parti di animali selvatici, che siano piume, pellicce, crini, ma anche carapaci di tartaruga e zanne di elefante. Questi oggetti possono derivare sì dal bracconaggio e dal commercio illegale di specie protette, ma anche da attività regolamentate, come l’allevamento di animali per l’utilizzo delle loro pelli. Anche se legale, ogni tipologia di business che sfrutta gli animali non può essere considerato etica.

Tra i prodotti tipici di un territorio non possiamo non citare quelli alimentari. A seconda del Paese, possiamo ritrovarci di fronte ai piatti più disparati che, molto spesso, contemplano l’utilizzo di ingredienti di origine animale. Meglio preferire, quindi, le alternative vegetali. Sia in vacanza che nella vita quotidiana.

Giri in carrozza

Non occorre andare dall’altra parte del mondo per vedere un chiaro esempio di maltrattamento che ha come teatro le città con più afflusso di turisti: le carrozze trainate dai cavalli. Questa usanza, spacciata per tradizione storica, implica condizioni di lavoro disumane: i cavalli sono obbligati a trainare pesi considerevoli nel bel mezzo del traffico cittadino, tra smog, rumori assordanti e veicoli che sfrecciano a pochi centimetri da loro. Tutto questo avviene a prescindere dalla condizione metereologica, quindi anche d’estate sotto il solo cocente. Il rischio di incidenti e di malori è costante e alcuni casi di cronaca ne sono gli esempi. Evitare di sovvenzionare questo tipo di attività può essere essenziale per dare un chiaro segnale alle amministrazioni comunali: lo sfruttamento animale non è gradito.

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